diabete
Diabete e trapianti cellulari
Il diabete comprende una pletora di condizioni patologiche caratterizzate da una insufficienza relativa o completa nella produzione o nell’azione dell’insulina, il principale ormone prodotto dalle isole pancreatiche (isole di Langerhans). Nei casi piu gravi di diabete di tipo I, la distruzione selettiva delle cellule che secernono insulina (cellule beta delle isole di Langerhans), da parte di una reazione autoimmune, comporta una deficienza completa della capacità pancreatica di produzione di insulina endogena.
Le terapie cellulari per il trattamento del diabete sono ancora a livello sperimentale e hanno l’obiettivo di trapiantare cellule insulino-secernenti prelevate dal pancreas di donatori multiorgano deceduti. La tecnologia per l’estrazione su larga scala delle isole di Langerhans dal pancreas umano è stata sviluppata alla fine degli anni Ottanta del 20° secolo e rimane tuttora alla base delle tecniche utilizzate in trial clinici correnti. Il metodo include la perfusione del pancreas, attraverso il dotto pancreatico, con una miscela di enzimi proteolitici e collagenasi, che distendono l’organo permettendone la successiva digestione enzimatica in una camera di digestione a flusso continuo. Una fase finale di purificazione su gradienti permette poi di concentrare il tessuto pancreatico endocrino (isole) scartando la maggior parte del tessuto esocrino pancreatico. Il prodotto cellulare è quindi sottoposto a diversi controlli di qualità, prima del trapianto, che viene generalmente effettuato in radiologia interventistica, via cateterizzazione percutanea, transepatica, della vena porta, in anestesia locale. Le isole vengono poi infuse nel ricevente in maniera simile a una trasfusione di sangue, collegando al catetere intraportale una sacca con il prodotto cellulare in soluzione.
La prima serie di allotrapianti (trapianto tra un donatore e un ricevente geneticamente diversi) di isole di Langerhans che hanno avuto successo nel trattamento di pazienti con diabete, ottenendo periodi prolungati di indipendenza dalla somministrazione di insulina esogena (fino a 5 anni), è stata effettuata nel 1990. Questa prima serie di trapianti di isole è stata realizzata al Thomas E. Starzl Transplant Institute dell’università di Pittsburgh, da una équipe internazionale (proveniente da Milano, Miami e Pittsburgh), in pazienti con gravi forme di diabete indotte da pancreatectomia totale, per il trattamento di estese forme tumorali maligne. Questa forma di terapia cellulare è evoluta lentamente nei 15 anni successivi, anche a causa della complessità di una strategia multidisciplinare che richiede un intervento sequenziale e integrato tra specialisti che affrontano problematiche diverse: dall’estrazione di cellule metabolicamente attive (le cellule insulino-secernenti che rappresentano l’1-2% della massa pancreatica) dal pancreas umano, alla ricostituzione di una funzione biologica complessa in un sito di trapianto ectopico (come il fegato), al controllo della reazione immune post-trapianto mediante combinazioni appropriate di farmaci immunosoppressori e immunomodulatori, che permettano di bloccare le reazioni di rigetto immune o la ricorrenza di autoimmunità diretta contro le cellule beta trapiantate. Prima dell’introduzione del protocollo immunosoppressivo, soltanto in un terzo dei casi di trapianto di isole pancreatiche la funzione delle isole trapiantate persisteva oltre un anno dopo l’intervento. Nonostante i risultati clinici siano progressivamente migliorati, il trapianto di isole rimane indicato soltanto a livello sperimentale per il trattamento dei casi più severi di diabete di tipo I, in cui esista una probabilità di episodi di ipoglicemia grave tale da giustificare i rischi associati alla necessità di somministrazione cronica di farmaci immunosoppressori, necessari per prevenire il rigetto immune delle cellule trapiantate o la loro distruzione da parte del processo autoimmune che aveva eliminato selettivamente le cellule beta del pancreas nativo, all’esordio del diabete di tipo I.
Oltre alle strategie di terapia cellulare sostitutiva della funzione pancreatica endocrina compromessa, altre forme di trapianti sperimentali di cellule sono correntemente in via di valutazione e includono i trapianti di cellule progenitrici ematopoietiche (CD34+) o l’infusione di linfociti T regolatori, con l’obiettivo di indurre tolleranza specifica verso le cellule insulino-secernenti trapiantate o per trattare la condizione autoimmune che porta all’attacco immunitario delle cellule insulino-secernenti. Inoltre, trial recenti di terapia cellulare nel diabete di tipo II hanno utilizzato tecniche di autotrapianto di cellule prelevate dal midollo osseo dei pazienti stessi e reinfuse nel pancreas tramite arteriografia selettiva arteriosa, unitamente a un trattamento peritrapianto con ossigenoterapia iperbarica. I risultati iniziali di questi trial suggeriscono un possibile ruolo delle terapie cellulari anche nel campo della medicina rigenerativa del diabete, per stimolare in maniera diretta, o indiretta, la rigenerazione delle cellule insulino-secernenti contenute nelle isole pancreatiche, a partire da precursori o elementi immaturi pancreatici. Le terapie cellulari per il trattamento del diabete sono evolute nelle ultime due decadi del 20° secolo, con un miglioramento progressivo dei risultati clinici a breve e a lungo termine. Diversi gruppi negli Stati Uniti e in Europa sono correntemente impegnati in trial randomizzati per definire efficacia, indicazioni e prospettive delle terapie cellulari nel trattamento del diabete.