DIABETE (dal gr. διαβαίνω "passo attraverso"; ted. anche Zuckerkrankheit)
È una malattia del ricambio caratterizzata da una duratura eliminazione di zucchero per l'urina (glicosuria) dovuta a un permanente alto contenuto di zucchero nel sangue (iperglicemia) causato da deficienza dell'ormone pancreatico (v. insulina). Ma col termine di diabete s'indicano altri quattro stati patologici: diabete renale, diabete sperimentale florizinico, diabete bronzino, diabete insipido, molto diversi per la loro natura (v. appresso), mentre il diabete per eccellenza è quello sopra definito, e per distinguerlo dagli altri viene detto diabete mellito.
Diabete mellito.
Storia. - La scoperta di questa malattia nell'uomo si deve a Thomas Willis che nel 1674 rilevò il sapore dolce dell'urina di certi diabetici, la quale fu poi sottoposta alla fermentazione dello zucchero da F. Home. Claude Bernard con la puntura del pavimento del quarto ventricolo nel 1854 produsse glicosuria della durata di qualche ora e stabilì che lo zucchero che passava nell'urina derivava dai depositi di zucchero (glicogeno) nel fegato. Nel 1889 il De Dominicis in Italia e contemporaneamente J. F. Mering e O. Minkowski in Germania scoprirono che l'asportazione del pancreas negli animali determinava il quadro del diabete grave che si riscontra nell'uomo. Nel 1922 il Macleod, il Best, il Banting, il Collip isolarono dal pancreas l'insulina che poco dopo fu applicata in clinica, dove si vide che faceva scomparire l'iperglicemia, la glicosuria e la chetonuria nei diabetici, migliorando anche grandemente gli ammalati più gravi e in imminente pericolo di morte.
Patogenesi ed etiologia. - Si tratta d'una grave malattia del ricambio, quasi sempre costituzionale, che si presenta quale esponente di quel gruppo diatesico detto artritismo, di cui fanno parte altre malattie del ricambio come l'uricemia e l'obesità. È caratterizzata da una parte dall'abbassamento più o meno intenso, ma sempre notevole, del limite d'utilizzazione degl'idrati di carbonio (farinacei e zuccherini), con perdita continuata di zucchero per le urine e deficiente combustione di glucosio, ragione per cui all'organismo viene a mancare la sorgente principale e immediata del suo bilancio energetico a mantenere il quale supplisce, con tutte le conseguenze d'ordine patologico che ne derivano, la combustione eccessiva, e secondo i gradi, tumultuaria e incompleta, dei grassi e delle proteine; dall'altra, da una serie di fenomeni clinici (denutrizione, astenia) che pare solo in parte dipendano dalla glicosuria (G. Viola). Il fegato e i muscoli dei diabetici, infatti, sono poveri di glicogeno che pare tenda a fermarsi in altre cellule e specialmente nell'epitelio renale, nei corpuscoli di pus e nei leucociti (Gabritchewsky). D'altro canto, il piccolo valore del quoziente respiratorio dimostra che le combustioni si fanno a spese di proteine e di grassi e il confronto fra il tasso uricemico del sangue arterioso e venoso e la mancata diminuzione del contenuto dello zucchero del sangue dopo il lavoro, fanno fede della difficoltata ossidazione del glucosio. La trasformazione degl'idrati di carbonio in grassi nel diabete vero è per lo più anch'essa alterata, solo in alcuni casi è mantenuta, determinando i rapporti fra diabete e polisarcia. L'etiologia e il meccanismo di produzione del diabete, benché le recenti indagini sull'insulina abbiano portato molta luce, presentano tuttavia alcune incognite.
Tralasciando le numerose teorie che si sono susseguite, merita d'essere ricordata la cosiddetta dottrina del diabete epatico (B. Naunyn). Che possa l'alterata funzione glicogenetica del fegato dare origine a glicosuria è un fatto non dubbio e in certe malattie epatiche si può determinare una glicosuria permanente; ma essa non è il diabete, né è tale quello stato meiopragico del fegato che dà luogo frequentemente a glicosuria. Tuttavia non è da escludere che nel diabete possa anche la depressione glicogenica essere in parte legata a una deficiente funzionalità del fegato, rendendo più grave il disturbo del ricambio. La teoria che pone la possibilità del diabete nell'alterazione duodenale ha certamente valore ma pare che questo meccanismo debba essere riportato alle conseguenze che ne derivano sul pancreas. Appunto l'ablazione completa di quest'organo dà luogo nell'animale a un diabete molto simile a quello umano spontaneo. La soppressione del pancreas porta con sé la soppressione dell'ormone che influenza il ricambio degl'idrati di carbonio, che è segregato da formazioni epiteliali speciali del pancreas: le cosiddette isole di Langerhans, donde il nome d'insulina dato all'ormone da esse secreto. Nell'uomo la lesione del pancreas sarebbe data da affezioni diverse, come tubercolosi, infiammazioni, sclerotizzazioni, degenerazioni, arteriosclerosi pancreatica, neoplasm¡; tuttavia non deve né può escludersi una deficienza costituzionale preesistente nei riguardi della combustione degli idrati di carbonio. Cosicché l'eredità ha nel diabete, come in tutte le altre malattie del gruppo artritico, una parte importante. In quanto alle cause prossime capaci di determinarle sulla base d'una tendenza congenita meritano considerazione l'arteriosclerosi, le infezioni, come anche l'introduzione di proteine eterogenee per via parenterale (Eichhorst, K. von Noorden), gli stati emotivi. Il meccanismo d'azione dell'ormone pancreatico su tale ricambio è tuttavia oggetto di discussione. Secondo una dottrina ancora seguita, il pancreas agirebbe sulla scissione e ossidazione del glucosio nel sangue, o per azione diretta dell'ormone o attivando il vero fermento glicolitico prodotto dai leucociti e forse anche dai muscoli allo stato di zimogeno. Secondo un'altra ipotesi inibirebbe la trasformazione del glicogeno in glucosio epatico agendo come fermento antagonista di quelle amilasi che esplicano la loro azione sulle riserve idrocarbonate del fegato direttamente, o per mezzo dei centri e delle vie nervose che regolano il comportamento del glicogeno nel fegato (bulbo, simpatico). La scomparsa dell'ormone pancreatico renderebbe possibile un esaltamento della scissione del glicogeno. Secondo un'altra ipotesi, ancora, l'ormone pancreatico agirebbe in consenso con le paratiroidi e le ghiandole sessuali, in antagonismo al sistema cromaffine, alla tiroide e alla parte intermedia dell'ipofisi; tra i primi e i secondi s'ha un'azione inversa sulla conservazione, assimilazione e inibizione della scissione del glucosio.
Sintomi. - Nel diabete la concentrazione dello zucchero nel sangue, o glicemia, è più o meno elevata (fino a 9‰) e v'è un certo rapporto fra essa e la quantità di zucchero eliminato con l'urina, o glicosuria (Pavy), onde l'aumento del lavoro renale che s'esplica con l'eliminazione di grandi quantità di acqua (legge di Galeotti sul lavoro osmotico del rene), e spiega da una parte la poliuria, cioè l'aumento della quantità d'urina nelle 24 ore, dall'altra il prosciugamento dei tessuti onde la polidipsia, cioè il bisogno d'introduzione di grandi quantità d'acqua. Inoltre la deficiente utilizzazione degl'idrati di carbonio obbliga l'organismo per la necessità del bilancio energetico a un consumo eccessivo e tumultuario dei grassi e delle proteine, onde un bisogno d'elementi necessarî alla ricostruzione dei tessuti nel continuo rinnovarsi attraverso il lavoro e alla produzione del lavoro; n'è conseguenza la polifagia, cioè il bisogno di grandi quantità di cibo. A questo quadro dell'affezione s'aggiungono, in maggiore o minore misura nonostante la polifagia: dimagramento, senso d'astenia generale, facile stanchezza, stitichezza, palpitazioni cardiache, dolori nevralgici, crampi dolorosi alle sure. Spesso s'osserva ancora la diminuzione e l'abolizione del riflesso patellare, disturbi sessuali, che vanno da un fugace esaltamento, in primo tempo, a una depressione che porta all'impotenza. Nella donna talvolta le mestruazioni sono anticipate e irregolari, ma la gravidanza è quasi sempre molesta e difficoltata. Possono insorgere la cataratta, la retinite, l'atrofia del nervo ottico, le neuriti peribulbari e retrobulbari, le amaurosi; così pure disturbi della sfera uditiva, dell'olfatto e del gusto. Vi possono essere: secchezza della cute che diventa facilmente desquamabile, prurito, foruncolosi, ascessi sottocutanei, disturbi negli eventuali processi di cicatrizzazione. P. Marie ha anche accennato a emiplegie transitorie in cui non è ammissibile un'alterazione del cervello mentre è da dubitare che si tratti di spasmi arteriali (sindrome del Forlanini) legati a sclerosi renale e nefrite o ipertensione arteriosclerotica. Una serie di disturbi riguardano la psiche: diminuzione delle facoltà psichiche, indebolimento del giudizio, della memoria, della volontà. La nevrastenia non è rara e talvolta a sintomi eminentemente cerebrali (cerebrastenia). Secondo il Richardière vi sarebbe talvolta una tendenza alla narcolessia con una tendenza al sonno dopo i pasti e, nelle forme più intense, non appena l'attenzione degl'infermi non è tenuta desta. In qualche caso è stato descritto uno stato di psicosi, ma non sempre si può ammettere una vera relazione da causa a effetto. Il De Renzi ha descritto un caso d'atrofia muscolare progressiva tipo Aran-Duchenne.
Molto importante è il rapporto fra diabete e malattie intercorrenti, specialmente quelle che decorrono con elevata temperatura che aumentano il tasso glicemico, ma possono anche diminuirlo e farlo sparire temporaneamente. La sintomatologia del diabete s'aggrava talvolta fino al coma, come rispettivamente il diabete aggrava il decorso dell'affezione interferente. È frequente (50%) nel diabetico la tubercolosi polmonare e, insieme con la cancrena periferica che può seguire anche a lievi lesioni di continuo, rappresenta spesso la causa prossima della fine dell'infermo. La tubercolosi si riscontra specialmente nel diabete grave; e talvolta accade che il progresso tubercolare (come del resto può avvenire per altre affezioni) faccia scomparire, nel periodo di maggiore intensità, la glicosuria diabetica.
L'inizio del diabete in genere è subdolo; talvolta s'impernia su uno stato di glicosuria preesistente; ma nei casi nei quali la sindrome scoppia apparentemente improvvisa con segni manifesti ed evidenti è da ritenere che si tratti d'episodî d'un diabete ignorato, esplicantisi, con maggiore o minore intensità, per cause talvolta nettamente rilevabili: traumi psichici e fisici, disordini alimentari, ecc. Le urine (la cui quantità può raggiungere 4-5 litri, ma anche cifre molto più alte), sono pallide, limpide, ma esposte all'aria s'intorbidano presto per fermentazione agevolata dalla presenza dello zucchero; non lasciano sedimento apprezzabile; il peso specifico è più alto del normale e dovuto alla quantità di zucchero che contengono. Detta quantità può essere in rapporto, oltre che con l'intensità della malattia, anche con la dieta. In condizioni gravi si può avere una remissione della glicosuria e così anche in alcune complicazioni morbose dove appare diminuito l'assorbimento e l'eliminazione del glucosio; spesso si trova nell'urina albumina, per uno stato di nefrosi concomitante, se pur talvolta non coesista la nefrite. Si ha pure aumento di residui solidi, di ceneri organiche. L'urea è aumentata in rapporto al maggior consumo di proteine; così l'ammoniaca (Stadelmann). Infine, in condizioni di speciale gravità, vi si possono riscontrare dei corpi chetonici (acetone, acido acetacetico, acido β-ossibutirrico) in quantità scarsa o notevole.
Variabile gravità. - Usualmente si dice affetto di forma leggiera quell'infermo che alla sottrazione o all'estesa limitazione degl'idrati di carbonio risponde con una rapida e completa scomparsa di zucchero nelle urine. Noorden ammette una forma mediocremente grave in cui si ha una resistenza maggiore, anche a causa della persistente alimentazione proteica; e infine viene riguardata come forma grave quella che non è molto modificata o tanto meno soppressa dall'adeguata alimentazione e che s'accompagna a chetonuria e che resiste anche all'uso dell'insulina, almeno a dosi usuali. Tuttavia è da dire che il grado di denutrizione e d'astenia e la persistenza degli altri disturbi (segni clinici) malgrado la dieta, designano la gravità del diabete, più che il grado di tolleranza per i carboidrati (segni chimici). Il Viola anzi ammette che la sindrome clinica e la sindrome chimica possono, per così dire, dissociarsi: mentre la seconda in certi casi può sparire, o quasi, la prima permane. Egli fa dipendere dalla deficienza della funzione cellulare fissatrice-conservatrice dell'alimento, l'esaltamento compensatorio della funzione combustiva cellulare che si riscontra nei diabetici e a cui si dovrebbe l'impossibilità di rialzarne la nutrizione malgrado le ricchissime diete utilizzate quasi per intero. È da notare che il diabete insorto in età giovane ha per lo più decorso rapido e intenso, s'aggrava facilmente; tuttavia la causa immediata dell'insorgere dell'affezione e l'eredità neuroartritica hanno una parte importante nel determinarne la gravità.
Intossicazione chetonica. - L'evidenza più grave del diabete è costituita dall'intossicazione chetonica o acidosi che spesso è la causa diretta della morte del diabetico. La produzione dei corpi acetonici (acido β-ossibutirrico, acido acetacetico, acetone), sebbene si debba ammettere possibile che possa provenire dagl'idrati di carbonio attraverso la formazione dei grassi e dell'acido glicuronico e dalle proteine, tuttavia deve riferirsi all'alterato e tumultuario ricambio dei grassi provocato principalmente dalla mancata utilizzazione degl'idrati di carbonio che da questo punto di vista possono evidentemente comportarsi (sebbene con meccanismo molto oscuro) come dei veri elementi antichetonici. Gli amidi, gli esosî manifestano la maggiore efficacia antichetonica; poi seguono l'acido lattico, l'acido citrico, la glicerina, l'acido glicuronico, i pentosî.
La chetonemia si può riscontrare in diverse condizioni morbose: digiuno, febbre, malattie cachetizzanti, ma è naturale che nel diabete il processo di produzione chetonica debba trovare le condizioni più opportune e la qualità stessa del corpo chetonico sta in rapporto alla gravità del disturbo del ricambio degl'idrati di carbonio e anche alla quantità e qualità dei grassi ingeriti in quanto che gli acidi grassi più bassi (acido butirrico, capronico, valerianico, e, secondo Sath, anche l'acetico) provocano l'aumento della produzione dei corpi chetonici.
Il quadro dell'acidosi e chetonemia va dall'irrequietezza, spossatezza generale, tendenza al sonno, cefalea, disturbi visivi transitorî, al coma, seguito o non da morte. L'alito è d'un odore caratteristico di mele fradice, più o meno intenso. V'è dispepsia, stitichezza e diarrea; cardiopalmo, frequenza del polso con diminuzione della pressione arteriosa, disordini circolatorî spiegati dalla depressa tensione dell'acido carbonico nel sangue dove si riscontra ipoglobulia con oligocromemia, leucocitosi, diminuzione dell'alcalescenza, lipemia. Nello stato di coma l'infermo in decubito dorsale giace inerte; v'è lieve cianosi, sensibilità depressa ma non scomparsa, temperatura bassa, cute arida, respiro di Kussmaull (raro e profondo). Talvolta anche senza coma si può presentare la sindrome di Kussmaull, in cui l'alterazione del respiro è data molto probabilmente dall'azione degli acidi sul centro respiratorio. Le urine degli acidosici spesso diminuiscono di quantità e vi si riscontra: aumento dell'acidità, frequente diminuzione, spesso notevole, del glucosio, aumento dell'azoto ammoniacale con diminuzione di quello ureico, aumento dei sali. La presenza notevole dell'ammoniaca dimostra la gravità dell'acidosi in quanto l'ammoniaca è sottratta dagli acidi circolanti per la loro neutralizzazione, dopo che essi hanno utilizzato le altre basi (soda, potassa, calce, magnesia, ecc.) Il Noorden divide la chetonuria in tre gradi a seconda che vi sia acetone solo, con acido diacetico e anche con acido ossibutirrico.
Cura del diabete. - La cura medica non può guarire il diabete ma solo mitigarlo. Togliendo i carboidrati (farinacei, zucchero) dall'alimentazione e somministrando molti grassi, moderata carne, e abbondanti verdure, nel diabetico non grave cessa la perdita dello zucchero. Però il diabetico tollera male la completa privazione dei carboidrati, s'indebolisce facilmente e va incontro alla temibile chetonuria. D'altra parte il diabetico non grave può sempre sopportare una certa quantita di farinacei e alcuni sopportano meglio certi farinacei che altri, senza avere zucchero nell'urina. Si tratta dunque di stabilire bene la quantità e la qualità tollerata, la quale è vantaggiosa al diabetico e lo migliora nelle forze generali che nei casi gravi sono criterio migliore nel dirigere la dieta che non la stessa glicosuria. Se nel rendere un malato aglicosurio lo si vede indebolirsi è preferibile concedergli una tale quantità di carboidrati che, pur dando luogo a moderata glicosuria, eviti d'indebolirlo. Sta di fatto però che quando un diabetico è stato lungo tempo aglicosurico, tollera poi maggiori quantità di carboidrati che non prima: si ha quindi un effettivo sebbene sempre molto limitato miglioramento della malattia. La carne e gli alcoolici si devono usare moderatamente. I grassi (olio, burro, crema, formaggi molto grassi, mascarpone, grasso di carne e di prosciutto, lardo, pancetta, ecc.) si possono usare liberamente con la sola limitazione della tolleranza stomacale. Evitarne però l'abuso nei diabetici grassi. Fra i carboidrati è generalmente tollerata l'avena suggerita da Noorden, per cui si fanno "cure d'avena" nei diabetici. Anche le patate sono talvolta bene tollerate. Il latte è generalmente un ottimo alimento per i diabetici se non sono troppo gravi. La privazione del pane è dolorosa al diabetico: il pane per i diabetici (privato più o meno di carboidrati) e la pasta analoga sono poco graditi; meglio serve il pane di glutine. I legumi contengono solo il 3-5% di carboidrati e possono quindi essere dati con una certa larghezza (controllo dell'urina) come il latte. La frutta secca (noci, nocciole, mandorle) e i frutti non dolci possono similmente concedersi. Per edulcorare il caffè e i dolci si usa la saccarina.
Il riposo fisico e mentale e la protezione dalle emozioni (quest'ultime dànno talvolta glicosuria più facilmente che non gli errori dietetici) sono altri elementi di cura importantissimi. Giovano i cambiamenti di clima, le cure ricostituenti, i bagni arsenicali ferruginosi (Levico, Roncegno), la metodicità della vita con moto moderato. Molto giovano le cure stricniche ad alte dosi - fino a 15 millig. il giorno in due volte in forma progressiva (De Giovanni). In generale per curare bene un diabetico bisogna prima determinare la gravità della malattia e l'individuale sensibilità verso i varî carboidrati nonché la tolleranza gastro-intestinale. Si rende quindi necessario che il diabetico sia, almeno al principio della cura razionale, internato in una casa di salute o in un ospedale per un'esatta osservazione. I casi gravi e di media gravità si curano con l'insulina combinata con la dieta (che deve essere allargata quanto a carboidrati). Quando non si riesce più a rendere aglicosurica l'urina neppure con la totale soppressiorie dei carboidrati, s'usa altresì intercalare nella dieta giorni di digiuno assoluto, o di sole verdure, o di sola avena. L'insulina iniettata sotto cute o nel sangue ha la proprietà di far diminuire fino al normale lo zucchero nel sangue e quindi nell'urina, di permettere una normale alimentazione con carboidrati e di determinare un notevole aumento di peso dell'organismo con la scomparsa dell'intossicazione chetonica e il rialzo notevole delle forze generali e del benessere e dell'attività dell'organismo. Le cure d'insulina devono essere sorvegliate sempre personalmente dal medico con l'esame della glicemia e della glicosuria e con l'uso prudente d'una dosatura progressiva. Si giunge così a dosi massime in generale non superiori a 20-30 unità d' insulina iniettata mezz'ora prima dei tre pasti o dei pasti principali. Quando un diabetico grave va incontro per deficienza di cure al coma diabetico con imminente pericolo di vita, deve essere soccorso con dosi d'insulina molto più elevate, endovenose. La prima iniezione si fa di 30-50 unità, poi 20 unità ogni due ore. Quando s'è giunti a 100 unità si continuano le iniezioni con la contemporanea somministrazione di 20 gr. di glucosio in 200 gr. d'acqua per bocca o per clisma o endovenose. Si può giungere al massimo di 300 unità nelle 24 ore nel coma profondo. Allora le dosi che s'iniettano ogni due ore possono essere di 100 unità le prime volte e poi di 50 con contemporanea iniezione endovenosa di 20 grammi di glucosio. Nei giorni seguenti si diminuisce la dose parallelamente con la diminuzione della glicemia e col miglioramento. Se il malato è in pre-coma si salva molto più facilmente; se è già in coma la percentuale di mortalità aumenta del 50%. Nei giorni seguenti si farà una dieta vegetale abbondante per aumentare la riserva alcalina.
In tutte le cure con insulina si va incontro al pericolo di provocare il quadro clinico dell'ipoglicemia che s'inizia quando lo zucchero del sangue è sceso sotto il 0,7‰ a causa di dosi troppo forti d'insulina. A 0,7‰ compaiono i primi segni: nervosismo, debolezza generale, fame; a 0,5 pallore, sudore profuso, tachicardia, vertigine, bisogno di sdraiarsi; sotto 0,5 afasia, disartria, delirio, disorientazione, confusione mentale, tremore intenso, perdita di feci e urina; sotto 0,3 perdita di coscienza, collasso, coma. Ma vi sono diversità grandissime individuali nella tolleranza dell'ipoglicemia. Si sono avuti casi di morte per insulina durante il sonno per dosi eccessive somministrate col pasto della sera. Per curare prontamente il quadro ipoglicemico occorre subito far ingerire all'ammalato bibite zuccherine in abbondanza. Se i fenomeni sono accentuati si procederà all'iniezione endovenosa d'una soluzione acquosa di glucosio al 20% nella quantità di 10, 20, 50, 100, 200, ecc. unità, secondo i casi.
Malgrado così gravi inconvenienti, le cure in caso di necessità possono essere affidate ai pazienti stessi, quando siano intelligenti e sia bene stabilita dal medico la dose d'equilibrio in rapporto con una determinata dieta costante e il malato esamini la propria urina sempre tre ore dopo i pasti e sia bene edotto dei primissimi sintomi ipoglicemici, cui provvederà sollecitamente con bibite zuccherate e quando finalmente venga avvertito che in caso di diminuzione del pasto, si deve sospendere la somministrazione dell'insulina. Malgrado ciò il medico dovrà sempre rivedere il malato a non lunga distanza di tempo. Per agevolare la cura insulinica e renderla meno pericolosa è stata tentata la sua somministrazione orale, ma non ha dato finora buoni risultati. Invece per via orale s'è usata recentemente la sintalina derivato della guanidina, che nei casi di media gravità può sostituire l'insulina, ma non è tollerata bene dallo stomaco di molti pazienti. Meglio tollerata è la sintalina B (15-30 milligr. pro die e pause intercalate). Nell'acidosi diabetica dovuta al fatto che l'acido acetico e l'acido β-ossibutirrico (che sono acidi forti che si formano in grande quantità) sottraggono al corpo le basi alcaline che sono invece prodotte dall'organismo in modo molto limitato, è necessario, sia nel caso di semplice chetosuria, sia nel caso di coma, somministrare alcalini in dose sufficiente a compensare il deficit dell'organismo e a correggere quindi l'acidosi stessa. S'adoperano soluzioni di bicarbonato o citrato di sodio, o anche miscele di bicarbonato di sodio, di potassio con carbonato di calcio e di magnesio. Nei casi gravi (coma) infusioni endovenose. Si somministrano 20, 30, 40 e più grammi il giorno di bicarbonato di sodio e della miscela dei suddetti sali. Ma il più potente correttore dell'acidosi è sempre la cura insulinica stessa.
Diabete renale o diabetes innocens. - Non merita veramente come tale il nome di diabete, ma solo di glicosuria non diabetica. Manca tutto il quadro sintomatologico del diabete mellito e non ha a fondamento alcun errore di ricambio dei carboidrati. Dipende solo da uno stato particolare del rene il quale è incapace d'opporsi alla filtrazione di quel glucosio che normalmente è contenuto nel sangue. La glicosuria che ne deriva è generalmente assai moderata, è indipendente dall'assunzione dei carboidrati e s'accompagna a valori glicemici non superiori (come nel vero diabete), ma inferiori al tasso medio normale. Bastano questi dati per distinguere clinicamente la glicosuria renale da quella diabetica. Il rene normale oppone una certa soglia di resistenza al passaggio del glucosio, che nella sua altezza oscilla normalmente da individuo a individuo ed è misurata indirettamente dall'altezza della glicemia normale (da 0,8‰ a 1,3‰). Questa soglia per ragioni patologiche (nefriti croniche, arteriosclerosi) può molto innalzarsi: in tal caso quantitativi di glicemia del 2 e 3‰ dovuti a vero diabete possono non dar luogo a glicosuria e così se non si fa il dosaggio dello zucchero nel sangue il diabete rimane latente.
Viceversa in altri casi patologici si ha l'abbassamento patologico della soglia renale e la glicosuria renale. Però in questi ultimi anni s'è veduto che dopo un lungo decorso di diecine d'anni il diabetes innocens si trasforma in diabete mellito vero e proprio e d'altra parte l'ereditarietà dell'una malattia si confonde con quella dell'altra. Così s'è finito col considerare queste due entità morbose non più come di natura totalmente differente, ma l'una (diabetes innocens) come lo stadio prodromico dell'altra. Quindi il nome di "diabete" dato alla glicosuria renale, ch'è per sé improprio, può oggi essere nuovamente giustificato.
Diabete florizinico. - La florizina è un glucoside che si trova nella corteccia della radice del melo, susino, ciliegio; J. F. v. Mering ha scoperto (1886) che l'introduzione di piccole dosi di florizina per bocca provoca una forte glicosuria nel cane alla dose d'un grammo per ogni chilogrammo di peso del cane. Essa dura 2-3 giorni e il glicogeno scompare quasi tutto dai depositi nel fegato e nei muscoli. Continuando la somministrazione si continua la glicosuria malgrado l'esaurimento dei depositi; il von Mering sostenne l'origine renale del glucosio nel senso che il glucoside somministrato è decomposto dalla cellula renale in glucosio e floretina; il glucosio s'elimina per l'urina e la floretina si lega nuovamente al glucosio del sangue formando nuova florizina che torna a decomporsi nei reni. La glicosuria florizinica non si produce se il rene è ammalato o si produce scarsamente o in ritardo. Nell'uomo essa è così servita per l'esplorazione della normalità funzionale del rene.
Diabete bronzino. - È un'associazione del diabete mellito con una colorazione scura della pelle dipendente dal deposito nella pelle e nel fegato d'un pigmento scuro contenente ferro (emosiderosi). Il fegato va incontro a cirrosi pigmentaria con indurimento e ingrandimento dell'organo e non raramente si manifestano i segni della stasi portale con tumore di milza e ascite come nelle comuni cirrosi. Il pancreas è atrofico e indurito. E una malattia rara: la causa e la natura di quest'associazione non è ancora bene conosciuta.
Diabete insipido. - È una malattia caratterizzata dall'eliminazione di grandi quantità d'urina (poliuria) senza glicosuria che continua anche con la sottrazione dell'acqua da bibita e che dipende da una lesione della regione ipotalamica, dove si trova il centro che modera la secrezione acquosa del rene. Il nome di diabete insipido risale all'epoca in cui si saggiava col gusto l'urina dei poliurici, la quale in alcuni casi (diabete insipido) non era di sapore dolce per la presenza di zucchero come nel diabete mellito.
La poliuria dipende da una lesione della regione ipotalamica (alla base del cervello) e non cede alla sottrazione dell'acqua bevuta, ma continua, mentre il sangue rapidamente s'ispessisce; il paziente soffre allora profonda angoscia e non resiste alla prova che diventa per sé stessa pericolosa. Ma vi sono dei casi in cui per un senso esagerato di sete (nevrosi) si bevono grandi quantità d'acqua e quindi s'eliminano grandi quantità d'urina. Questi casi di falsa poliuria secondaria al bere esagerato somigliano al diabete insipido, ma se si sottrae la bibita, il paziente tollera bene la prova e la poliuria cessa.
Nel diabete insipido si può giungere dall'eliminazione di 3-4 litri all'eliminazione di 20 litri d'urina e all'ingestione di corrispondente quantità d'acqua. I pazienti tengono la notte allineate sul tavolino presso il letto molte bottiglie piene d'acqua e il sonno è continuamente interrotto dal bere e dal mangiare. L'urina è chiarissima di colore e leggerissima di peso specifico (1001,1002). Conseguentemente i pazienti si stancano, deperiscono e si prosciugano, specialmente nella pelle. Hanno spesso cefalee intense e segni clinici di lesione cerebrale circoscritta col quadro del tumore della regione pituitarica.
Questo stato di cose può essere moderato e corretto dalla somministrazione più volte il giorno d'estratto di lobo posteriore dell'ipofisi per iniezione ipodermica o endovenosa. Se il preparato non agisce è segno che non è efficace e va cambiato. Sennonché dopo qualche tempo s'istituisce un'intolleranza sotto forma di diarrea e si deve sospenderlo. Bisogna somministrare cibi poveri di sale e combattere la sete con bibite fredde di poltiglia di mele. La poliuria primitiva ipotalamica dipende da lesioni meningee della base cerebrale nella detta regione, di natura sifilitica o tubercolare, da tumori tubercoli o gomme ivi situate (i tumori possono essere asportati chirurgicamente). Consimili lesioni della pituitaria possono produrre lo stesso quadro. Anche l'encefalite, l'apoplessia cerebrale, i traumi al capo dànno luogo talvolta a questa sindrome. D'altra parte essa s'associa facilmente alle malattie della pituitaria (acromegalia, cachessia ipofisaria, distrofia adiposo-genitale).
Il diabete negli animali.
Il diabete mellito è malattia rara negli animali; si riscontra specialmente nel cane; assai meno nel cavallo e nel bue; viene citato qualche caso isolato di diabete nelle scimmie e nell'elefante. I sintomi richiamano l'attenzione solo dopo che la malattia persiste da tempo; la cura dietetica non è sempre attuabile, specialmente negli erbivori; quella opoterapica finora non è praticamente possibile; perciò negli animali il diabete ha apparentemente un decorso assai più rapido (11-12 mesi) che nell'uomo. In veterinaria vengono generalmente considerate come diabete insipido le poliurie decorrenti in forma cronica e che insorgono in seguito a inopportuna alimentazione (foraggi ammuffiti, imputriditi, congelati, residui della distillazione delle vinacce, alcune specie vegetali come il Cynanchum vincetoxicum, ecc.) e per la guarigione delle quali è solo necessaria la soppressione dell'alimento incriminato. Il diabete insipido vero fu più di rado osservato con sicurezza.
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