DIABASE
. Il nome di diabase fu dato per la prima volta da Alessandro Brongniart (1807) alle cosiddette Grünsteine degli antichi geologi tedeschi, che R. J. Haüy aveva chiamato dioriti. In tempi più recenti J. F. L. Hausmann separò dalle dioriti i diabasi, attribuendo a queste rocce il significato che approssimativamente è loro dato dai petrografi tedeschi. In realtà il nome di diabase è stato molto variamente usato, e i petrografi inglesi tendono a sostituirvi, con significato più preciso, il nome di dolerite, che i petrografi degli altri paesi riservano specialmente a rocce di composizione analoga, ma d'origine più recente e di struttura più somigliante a quella dei basalti propriamente detti. I diabasi sono, in senso stretto, le forme effusive antiche, precarboniche, dei magmi gabbrici. In senso più lato, in Italia si chiamano con questo nome anche rocce più recenti, distinte dalle altre congeneri (melafiri e basalti) da una particolare struttura, detta ofitica, data da un più o meno spiccato idiomorfismo dell'elemento plagioclasico di fronte al componente pirossenico, che riempie i vani lasciati da quello.
I diabasi più tipici sono mineralogicamente costituiti dall'associazione di un felspato calcio-sodico (plagioclasio di media acidità) e di augite. Manca di solito l'olivina, così frequente nei basalti, ma si trovano pure diabasi olivinici. A questi componenti essenziali si aggiungono sempre la magnetite o l'ilmenite (talvolta anche solfuri) e l'apatite. In qualche caso entrano come componenti il diopside, il pirosseno rombico, l'orneblenda (nel cosiddetto proterobase), la biotite e il quarzo. Diffusa e spesso caratteristica è l'alterazione dell'augite in un aggregato di lamelle cloritiche (meno frequentemente in anfibolo) che impartisce alla roccia una tinta d'insieme verdastra. Talvolta l'alterazione, specie verso la superficie, è più profonda, con separazione di ossidi di ferro; e allora la tinta diventa rossa e si genera in notevole abbondanza calcite secondaria.
La struttura è granulare e tipicamente ofitica; la grana è media o fina, raramente grossa. Talvolta si sviluppano fenocristalli di plagioclasio o, meno spesso, di augite, e allora la struttura diventa distintamente porfirica (porfiriti diabasiche). Non di rado si osserva una struttura sferolitica, con sferule non grandi, che dà alla roccia un aspetto pustoloso sulle superficie alterate: tali le varioliti.
Diabasi, olivinici o non olivinici, sono frequenti in filoni nelle Alpi Carniche, nel Bellunese, nelle valli lombarde (Val Trompia, Val Sabbia, Val Camonica). Diabasi alterati, amigdaloidi, sono le cosiddette spiliti della Carnia. Diabasi, più o meno alterati, sono pure il cosiddetto gabbro verde e il cosiddetto gabbro rosso degli autori toscani, diffusi in Toscana, in Liguria e nell'Emilia, in associazione con serpentine e con gabbri propriamente detti (eufotidi) nella formazione nota col nome di ofiolitica. Diabasi, in senso stretto della parola, antichi, sono diffusi in Germania, nella Svezia, in Inghilterra e nell'America del Nord (Hudson), come pure nei Pirenei e in Algeria. La dinamometamorfosi, e il metamorfismo in genere, trasforma queste rocce, come i gabbri, in rocce verdi albitico-anfibolico-cloritico-epidotiche, dette prasiniti o scisti verdi. Sono noti anche tufi diabasici, che sembrano molto diffusi, specie in Germania, dove le loro forme metamorfiche, ricche di clorite e di carbonati secondarî, sono chiamate Schalsteine. I diabasi hanno un peso specifico variabile tra 2,8 e 3. Sono spesso usati come materiale da pietrisco.
La seguente tabella dà le analisi di alcuni diabasi italiani ed esteri.