DI NAPOLI
Famiglia di comici napoletani, il cui capostipite Raffaele nacque a Napoli nel 1815. Era probabilmente discendente di quel Pietro, autore di commedie in musica, gtivo alla metà del sec. XVIII, che aveva fatto rappresentare, nell'autunno del 1760, La furba burlata al teatro dei Fiorentini, L'innamorato balordo durante il carnevale del 1763 al Nuovo e, in quello stesso inverno, ancora al Nuovo, Le viaggiatrici di bell'umore.
Prima di darsi alle scene, Raffaele fu sarto, come sostiene il Di Giacomo, o barbiere, come vuole invece il Viviani; in ogni caso possedeva una bottega in piazza S. Francesco, nei pressi del Sebeto. un piccolo teatro nel quale venivano rappresentati drammi romanzeschi, ricchi di colpi di scena e di combattimenti. Qui iniziò a recitare come comparsa: nei primi tempi, pur di avere il piacere di presentarsi al pubblico era costretto a pagare tre grana al giorno all'impresario Raffaele Falanga. Nel giro di pochi mesi ebbe però una scrittura regolare per le parti di guappo e si mise in luce in ruoli di brigante, come Tonno Grifone, Titta 'o Grieco, Angelo del Duca, e in quelli di spaccone.
Nel 1853 venne "scoperto" da S.M. Luzi, il direttore del teatro S. Carlino, e scritturato come guappo nella sua compagnia. Al S. Carlino Raffaele sostitui R. Santelia, attore e commediografo dialettale, che era stato un ottimo guappo plebeo, accanto a G. De Lillis, guappo "distinto", che, in guanti e soprabito, parlava in un italiano approssimativo quanto esilarante. Del Santelia il Di Giacomo ci dice che vestiva da Rugantino: "calzoni corti, neri, giamberga rossa, spadino, cappello immenso a tricorno. Pareva ancora una maschera della commedia dell'arte" (Di Giacomo, p. 237). Molto diverso da quello del Santelia lo stile di Raffaele, che seppe ampliare la gamma espressiva del suo personaggio, rinunciando alla maschera e recitando più da promiscuo moderno che da caratterista.
Anche se la sua fama rimase legata alla figura del guappo, che egli portò per l'ultima. volta al successo e che scomparve alla sua morte, Raffaele fu attore completo, come conferma nei suoi ricordi Eduardo Scarpetta: "La sua recitazione spontanea, naturale, raggiungeva effetti di rilievo e di colorito, che ben pochi attori possono dire di aver raggiunto. L'ingenua timidezza del "cafone", lo smarrimento e la diffidenza di chi si trova per la prima volta in una grande città, l'ebetismo senile dei vecchi Cassandri, il melanconico e quasi inconscio esaurimento degli ammalati, la timidezza e il buon cuore nascosti sotto una apparente spavalderia trovarono in Raffaele Di Napoli un interprete veramente sommo ..." (Scarpetta, p. 276).
Accanto ad alcune memorabili apparizioni di Raffaele nei panni del guappo, e in particolare quelle in Parodia di Mastu Rafaele e in Pulicenella spaventato dalla cumeta de lu 13 giugno, si ricordano le rappresentazioni di Aida (una parodia dell'opera) e di Tutto il vecenato 'a casa mia, nelle quali l'attore appariva nel ruolo dell'ammalato e quelle di Le cento disgrazie di Pulicenella, in cui, in un lungo monologo, egli narrava dell'incendio della sua casa, passando dal comico al drammatico, dalla concitazione alla vaghezza del folle. Nel 1856, con la compagnia del Luzi, composta tra l'altro dal Pulcinella Antonio Petito e da suo padre Salvatore, da P. De Angelis, G. De Chiara. P. Altavilla, V. Tremori, G. Frabboni, R. e A. Agostini, Raffaele fu al Valle di Roma, dove i comici napoletani presentarono il loro repertorio di parodie e di "commedie di attualità"; tra le rappresentazioni più fortunate, Pulcinella disertore e contadino, la farsa Il pittore di un morto vivo e la parodia de Il trovatore.
Tornati a Napoli nel giugno del 1856, dopo oltre un mese di tournée romana, gli attori del S. Carlino vennero ingaggiati per un giro di rappresentazioni in Sicilia e partirono nel settembre alla volta dell'isola. Nel 1860 morì il vecchio impresario S. M. Luzi e gli successe il figlio Giuseppe, costretto a barcamenarsi nella mutata situazione politica e a controbattere alle critiche che venivano dagli ambienti liberali.
Nel maggio del 1862, in occasione dell'arrivo a Napoli di Vittorio Emanuele II, il Luzi decise di far rappresentare una commedia di G. Marulli, Lo corrivo de li codine e la gioia de li libberali pe l'arrivo a Napole de lo. Re Galantommo, co Pascariello sparatore de mbommecarte, interpretata oltre che da Raffaele e da Petito, da A. Lisgara, A. Natale, P. Altavilla, di chiara fede liberale. Le polemiche contro il S. Carlino momentaneamente si placarono, anche grazie all'involontario intervento del re che assistette, la sera del 13 maggio, alla rappresentazione della commedia Le metamorfosi di Pulicenella e della farsa Pulecenella miedeco a forza de bastonate.
Come nota con disappunto l'anonimo redat, tore del giornale Cuorpo de Napole, lo spettacolo aveva perso quasi tutta la comicità e il sapore locale; aggiunge: "Facette male, anze malissemo a no fá recità De Angelis e Di Napoli da guappo. Nzomma tanto la commedia che la farsa riuscettono fredde fredde" (15 maggio 1862). Ancor più del De Angelis, un mezzo carattere dalla comicità irresistibile, Raffaele era infatti un grande interprete del "carattere napulitane", anche grazie alla rozzezza del suo vecchio dialetto, spesso non compreso anche dal pubblico.
Nel 1863 Raffaele fu di nuovo al Valle di Roma e al ritorno, nel maggio di quell'anno, venne accolto, insieme con tutta la compagnia, da violente manifestazioni di protesta per un presunto comportamento antiliberale, tenuto durante il soggiorno romano; il Luzi e i comici vennero aggrediti, picchiati e costretti a fuggire e il S. Carlino fu danneggiato. Nel giugno la compagnia si trasferì in un piccolo teatro, la Fenice, e l'anno successivo al Nuovo; qui rimase fino all'ottobre del 1865 e qui tornò, dopo un breve soggiorno al S. Carlino, nel 1867. Nel 1876, alla morte di Antonio Petito, si fecero evidenti i limiti della compagnia e del suo repertorio. Il Luzi tentò di rimediare, introducendo accanto alla farsa e al carattere di Pulcinella, impersonato da G. De Martino, l'opera buffa. Ma l'operazione non riuscì e, pochi mesi dopo, alla morte del Luzi, la compagnia si sciolse. Alcuni dei comici, tra i quali, oltre a Raffaele, figurano E. Scarpetta, A. Schiano, G. Della Seta e il De Angelis, diedero vita a una nuova compagnia che metteva in scena al Metastasio, un teatrino di legno poco lontano dall'arsenale, le commedie di Altavilla e di Petito.
Raffaele morì, probabilmente a Napoli, nel 1879. Dei suoi sette figli, cinque femmine e due maschi, nati dal matrimonio con Angela Maria Vittozzi, la maggior parte si dette al teatro. Il più noto, Gennaro, nacque a Napoli il 21 febbr. 1859. Iniziò a recitare al S. Carlino con il padre verso i sedici anni in ruoli di generico. Allo scioglimento della vecchia compagnia, lavorò in gruppi minori fino al 1886, quando venne scritturato da R. De Crescenzo e da G. Pantalena che, lasciato il S. Carlino e la nuova compagnia di E. Scarpetta, avevano formato società e si erano trasferiti alla Fenice.
Nel 1892 recitava al teatro Rossini con il De Crescenzo, G. Scelzo, C. De Chiara, G. Cecchi e compariva con successo soprattutto nelle farse che seguivano, a conclusione di serata, alla rappresentazione della commedia.
Entrò quindi nella compagnia dei Pantalena, a fianco di E. Altieri e N. Maldacea, e qui, abbandonato il genere farsesco, ebbe modo di misurarsi con le istanze innovatrici del realismo teatrale e di sviluppare una recitazione sobria e intimista da opporre alle caratterizzazioni della commedia dialettale. Si tratta di una riforma condotta dal Pantalena a fasi alterne, fortemente condizionata dagli umori del pubblico e dall'esigenza di differenziare il suo teatro da quello di E. Scarpetta, che trionfava con il personaggio di Sciosciammocca. Nel 1900 Gennaro si recò col Pantalena nell'America meridionale, dove la compagnia ebbe accoglienze entusiastiche; nel 1901, nuovamente a Napoli, recitava al teatro Nuovo in un repertorio tradizionale. Fu quindi scritturato nel 1903 dal Cammarano per il teatro Umberto, dove recitavano, sotto la direzione di C. Di Majo e L. De Martino, attori egregi tra i quali M. Del Giudice, M. Girau, E. Altieri, G. Pironi e A. Del Giudice.
Il Pulcinella era relegato nelle farse e il repertorio si ispirava al desiderio di trovare un compromesso tra vecchio e nuovo: vennero così rappresentate opere di C. Di Majo, Vicchiarella e A' siconda mamma, di G. Di Maio, Corna d'oro, di P. De Tommaso, Paglietta, e di L. Bovio, Mala Nova.
Malgrado il successo di pubblico, l'iniziativa ebbe vita breve e nel 1905 Gennaro venne nuovamente scritturato dal Pantalena che, scelta definitivamete la strada della riforma, si era separato dal Pulcinella G. De Martino e aveva deciso di dar vita a un teatro stabile napoletano. Nella compagnia, accanto al D., troviamo Pantalena, M. Del Giudice, A. ed E. Giordano, l'Altieri, A. Crispo e L. Galloro.
Il repertorio era decisamente "moderno" e comprendeva opere di Bovio, di E. Murolo, di De Tommaso e dei Di Majo, scritte per lo più appositamente per la compagnia. Nel 1911 il Pantalena abbandonò il teatro Nuovo e la direzione della compagnia venne assunta da Gennaro. Nella scelta dell'impresario Molinari giocarono un ruolo considerazioni di tipo diverso: egli era infatti il più amato tra gli attori della compagnia, dopo il Pantalena, e quello che aveva adottato con maggior rigore il nuovo stile interpretativo; ma, a differenza del vecchio capocomico, riusciva ad interpretare disparati personaggi "prestandosi così ad essere mattatore in una gamma multiforme di opere, sia pure di diverso stile" (De Filippis-Mangini, p. 148). Il repertorio scelto dal Molinari fu quello di Scarpetta, che cedette al capocomico il diritto di rappresentare tutte le sue commedie.
La guerra interruppe l'attività teatrale, che riprese al termine del conflitto in un clima profondamente mutato. Dimenticate le istanze di rinnovamento, il pubblico cercava svago e attrazioni sensazionali e l'impresario del teatro Nuovo, E. Aulicino, decise di sostituire al modulo scenico tradizionale, che vedeva un grande interprete circondato da attori di spalla, una anticipazione delle "compagnie di complesso". Gennaro fu così attorniato da attori di rilievo come A. Salvietti. C. Pretolani, A. Schioppa, G. Della Rossa, Maria Dolini, B. De Crescenzo, M. Gioia e Titina De Filippo, che dettero vita ad una programmazione variata e brillante che andava dalla commedia, alla farsa, fino al varietà.
Gennaro assecondò con serietà le indicazioni di Aulicino e conservò fino all'ultimo il suo ruolo di primo attore e la benevolenza del pubblico, confermando le doti di naturalezza e di semplicità che lo caratterizzavano e che gli permettevano di rendere gradevole sia la comicità più smaccata sia la drammaticità più retorica: una naturalezza considerata da taluni addirittura eccessiva, soprattutto se paragonata ai caratteri del teatro napoletano, e che gli impedì di eguagliarne i capiscuola, da Petito a Scarpetta, allo stesso Pantalena.
Negli anni della sua attività da primo attore Gennaro adattò alcune commedie, rimaste a lungo nei repertori del teatro cittadino: O' marito d'a primma donna, Core 'e zucchero, 'A lettera d'a marchesa, tratte da opere di Bersezio, Scribe, Meilhac e Halevy.
Gennaro morì a Napoli il 4 febbr. 1929.
Maria Grazia, figlia di Raffaele e di Angela Maria Vittozzi, nacque a Napoli nel 1853 e debuttò al teatro La Fenice dopo aver sposato lo stimato Pulcinella Alfonso Del Giudice. Come Marietta Del Giudice entrò infatti nella compagnia di A. Mastriani e qui ottenne nel 1884 il suo primo successo nei panni di Nannina in Nu guaglione e mala vita di F. G. Starace. Nel 1888 venne scritturata come prima donna da E. Scarpetta e nel Natale di quell'anno debuttò con questa compagnia al teatro del Fondo in Miseria e nobiltà, facendo, ricorda Scarpetta, "di Luisella una vera creazione" (Scarpetta, p. 508). In quaresima, durante una tournée romana, Scarpetta scelse una nuova prima attrice, Marietta Gaudiosi, e Maria Grazia passò insieme col marito al teatro S. Ferdinando, il centro della riforma antiscarpettiana. Prima con L. Bartolomeo, quindi con F. Stella, Maria Grazia si cimentò nel repertorio verista e fu Carmela Battimelli in Ilmese mariano di Di Giacomo, accanto a G. Cecchi, ottenendo un grande consenso del pubblico.
Fu quindi scritturata, accanto al fratello Gennaro, dal Molinari per la compagnia diretta da G. Pantalena e vi rimase dal 1905 al 1920; memorabile interprete di figure femminili drammatiche e sanguigne: nel 1909 fu donn'Emilia Forcinelli in Assunta Spina di Di Giacomo e Matalena in Calzoleria Majetta di A. Costagliola; dieci anni dopo, nel 1919, fu la madre in Vincenzella di L. Bovio.
Maria Grazia morì a Roma il 10 apr. 1936.
Delle altre figlie di Raffaele, Nannina, debuttò al S. Carlino, a fianco del padre, ma il suo nome scompare ben presto dalle cronache teatrali napoletane, come del resto quello della sorella Concetta, che sposò un mediocre attore napoletano, Nunziata, e si trasferi in Argentina. Tra i figli di Gennaro, Alfredo (1882-1919) fu attivo al teatro Nuovo negli anni della direzione paterna, accanto al fratello Raffaele (1885-1962), "un comico di icastica forza, realizzata in uno stile di castigatezza esemplare" (Viviani, p. 882). Più noto il figlio di Alfredo, Gennarino, nato a Napoli nel 1910, che debuttò nel 1918 come Pulcinellino accanto a S. De Muto in Prologo a una rivista da fare di R. Galdieri. Prima della guerra fu attivo al teatro Diana accanto a Giulia Melidoni e Maria Gemmati e si mise in luce interpretando opere di R. Viviani.
Durante il conflitto recitò al teatro del Popolo con Luisella Viviani, Irma De Simone, Rosalia Maggio, U. d'Alessio; passò quindi alla Compagnia napoletana di teatro, promossa da S. Emanuele e V. Fiore, accanto a Dolores Palumbo, B. Artesi e Graziella Marina, interpretando nei panni del caratterista opere di R. Pazzaglia, V. Paliotti, L. Compagnone, P. Riccora.
Bibl.: S. Di Giacomo, Cronache del teatro S. Carlino, Napoli 1891, pp. 264 s., 270 s., 275 s., 298 (per Raffaele); E. Scarpetta, Da S. Carlino ai Fiorentini, Napoli 1900, pp. 274-280 (per Raffaele), 507 s. (per Maria Grazia); E. Grano, Pulcinella e Sciosciammocca, Napoli 1952, p. 129 (per Gennaro); F. De Filippis-M. Mangini, Il teatro "Nuovo" di Napoli, Napoli 1967, pp. 148 s. (per Gennaro); V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 54, 654 (per Raffaele), 751, 764, 772 (per Gennaro), 690, 714 770 (per Maria Grazia), 794, 877, 927 (per Gennarino); N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, Milano, 1940, pp. 308s. (per Raffaele e Gennaro); Encicl. d. spettacolo, IV, coll. 710 s.; 390 s. (per Maria Grazia).