DEUSDEDIT
Appare per la prima volta nelle fonti note menzionato quale "magister militum" della Venetia nel quarto decennio del sec. VIII. Eracleese, figlio di Orso, che era stato duca della Venetia per circa un decennio, fin verso la fine del 737 (ma la cronologia per questa parte della storia venetica è estremamente incerta), apparteneva alla più alta aristocrazia tribunizia.
D. usciva dunque da quel ceto in cui la preminenza economica, legata al possesso fondiario, si combinava con un ruolo dirigente tanto in ambito civile che in ambito militare, cresciuto a mano a mano che in Italia il governo imperiale aveva assegnato sempre maggiori margini di autonomia ai propri domini (compresi quelli venetici), nel tentativo di contrastare la pressione longobarda affidandosi alle forze locali.
Le informazioni in nostro possesso su D. si riducono in sostanza a quanto ci viene tramandato dalla Cronaca veneziana stesa dal diacono Giovanni all'inizio del sec. XI, o a poco più. Benché scarse, bastano per mostrarci il ruolo centrale da lui svolto in un momento delicatissimo della storia della Venetia (iltermine indica naturalmente l'intera provincia, e non ancora la città), con i Longobardi in fase di decisa espansione, i Bizantini tesi a riaffermare i loro diritti sull'intera area lagunare ma al tempo stesso pressati sempre più pesantemente dal nemico longobardo, e, infine, i Venetici fermi nella loro appartenenza alla sfera bizantina ma insieme attenti alle loro autonome necessità.
Il padre di D., Orso, figura al terzo posto nella tradizionale serie dei duchi della Venetia. Presumibilmente, tuttavia, fu il primo espresso per autonoma volontà dai Venetici, e non scelto dalle superiori autorità imperiali. Sarebbe infatti stato eletto dalle genti lagunari verso il 727, quando la maggior parte dell'Italia bizantina, solidale con le posizioni papali, si era ribellata all'imperatore Leone III Isaurico e alla sua politica contraria al culto delle immagini sacre. Nella concordia, ritrovata all'interno dei territori di dominio bizantino in Italia dopo il superamento di tale crisi, si sarebbe avuto in seguito, da parte delle superiori autorità imperiali, il riconoscimento del ruolo e della carica di Orso. In ogni caso l'uccisione di quest'ultimo, avvenuta intorno al 737, e il ritorno al governo dei magistri militum, nominati direttamente dall'esarca e rinnovati ogni anno, segnò una ripresa del centralismo imperiale ed un arretramento dell'autonomia locale nella provincia.
Tra i cinque magistri militum che ressero dopo Orso la Venetia e dei quali ci rimane memoria, come terzo compare D., che secondo le antiche liste avrebbe, eccezionalmente, tenuto l'incarico per un biennio (ma Giovanni Diacono gli attribuisce un solo anno di amministrazione). Il fatto che un venetico, per di più figlio dell'ultimo duca, fosse stato chiamato a reggere la provincia per conto del governo esarcale testimonia una sostanziale sintonia con la politica imperiale in Italia. L'instabilità della situazione interna della Venetia sfociò peraltro nella violenta deposizione e nell'accecamento dell'ultimo magister militum della breve serie, Giovanni Fabriaco, e nell'elezione di D. a duca, avvenuta in Malamocco ad opera delle forze locali. Narra Giovanni Diacono: "Venetici, magistrorum militum prelibate prefecture dignitatem abominantes, ut quondam, ducem, videlicet Deusdedem, sepedicti Ursoni ypati filium, in Metamaucense insula sibi crearunt". S'intende con chiarezza, dalle parole del cronista, come la modifica istituzionale, col ritorno al governo di un duca, esprimesse una precisa volontà locale che, nella scelta di D., dimostrava significativamente il proposito di riagganciarsi alla ricerca di maggiore autonomia espressa a suo tempo con l'elezione di Orso. Il distacco dagli assetti del tempo dei magistri militum emerge anche dal trasferimento, che fu allora compiuto, della sede del duca da Cittanova (Eracliana) a Malamocco.
Si può pensare all'esistenza, all'interno dei ceti dirigenti della Venetia, di due orientamenti politici diversi: "uno, più fedele alla tradizione bizantina, lealista, legato alla vecchia sede governativa di Cittanova; l'altro, metamaucense, più deciso fautore di uno sviluppo autonomistico" (Ortalli, Venezia, pp. 367 s.). I sottintesi politici del trasferimento della sede del governo regionale a Malamocco non vanno però accentuati troppo, anche considerando il fatto che D. era pur sempre un eracleese e che in Malamocco mantennero poi la loro sede i suoi successori, tanto quelli originari di Malamocco quanto quelli originari di Cittanova (Eracliana). In sostanza, il passaggio di sede avvenuto con D. non può meccanicamente ridursi al sopravvento di un partito su un altro, e neppure a secca espressione di antibizantinismo, tanto più che Malamocco, sui lidi, era assai più a portata della flotta bizantina di quanto non fosse Cittanova (Eracliana).
Per tredici anni D. resse il ducato: circa dal 742 al 755, secondo la cronologia più probabile e normalmente accettata. Nel pieno di tale periodo si compì la conquista definitiva di Ravenna da parte dei Longobardi di Astolfo (luglio 751 secondo la storiografia tradizionale; ma inizi del 750, secondo la cronologia di questi avvenimenti ricostruita da O. Bertolini) e si ebbe, di conseguenza, il crollo del sistema esarcale di cui la Venetia faceva parte. La provincia lagunare venne allora a trovarsi, in forza degli eventi, più lontana dal centro dell'Impero, proiettata con maggior decisione sulla strada dell'autonomia.
Con ciò non furono troncati gli antichi legami con Costantinopoli, nella cui sfera etico-politica si continuò ad operare. Comunque è significativo che le stesse fonti, che serbano il ricordo dell'appoggio dato dai Venetici all'esarca Eutichio per riconquistare Ravenna quando questa era stata occupata dai Longobardi di Liutprando, non menzionino affatto le vicende che portarono alla fine dell'esarcato bizantino in Italia. Bisogna anzi aggiungere che a quel giro d'anni deve attribuirsi la largitio con cui il re longobardo Astolfo riconosceva i confini della Venetia bizantina nella zona di Cittanova. L'atto, indice di buoni rapporti esistenti tra Venetici e Longobardi, va datato tra il 749 e il 756- quando Astolfo era re - e non prima, essendo assai improbabile che un passo di tale rilevanza possa essere stato da lui compiuto mentre era ancora duca, cioè dal 745 al 749 (ma cfr. Cessi, Veneziaducale, p. 114). Si potrebbe anzi pensare che la largitio sia da collegarsi in qualche modo ai fatti che portarono alla fine dell'esarcato bizantino, come compenso per un mancato intervento venetico a favore di Ravenna o come segno di normalizzazione dei rapporti dopo una fase di turbamenti.
All'impressione di una particolare sintonia con i Longobardi potrebbe corrispondere il fatto che per circa un ventennio a partire proprio da D. i dogi non portarono più titoli aulici bizantini, come rilevato dal Cessi (ibid., p. 113); si dovrà però notare che gli antichi cataloghi ducali, tanto quelli pubblicati in appendice alla Cronaca del diacono Giovanni quanto quelli contenuti nella Origo civitatum Italie seu Venetiarum, indicano D. come "ypatus", ossia console imperiale.
La scarsità delle fonti ha consentito di volta in volta agli studiosi di rileggere il ducato di D. in chiave di lealismo nei confronti dell'Impero o di propensioni filolongobarde o di aspirazioni autonomistiche venetiche. Tutto sommato si deve però pensare per questo periodo a una Venetia ancora piccola pedina in un gioco di forze ben maggiori, destinata a muoversi con interventi congiunturali piuttosto che con grandi disegni strategici; si capisce così come si siano allora potuti intrecciare fra loro atteggiamenti apparentemente contraddittori.
Chiavi di lettura contrapposte sono state adottate anche nel valutare la fondazione da parte di D. del castrum di Brondolo, a sud di Chioggia, oltre il Brenta, ricordata da Giovanni Diacono. Essa fu intesa infatti dal Kretschmayr in funzione antilongobarda, mentre il Cessi (Venezia ducale) vi riconobbe anche i segni di uno "spirito antibizantino". Resta tuttavia incontestabile il ruolo di controllo che tale insediamento castrense poté svolgere in una zona assai delicata dal punto di vista politico-militare ma ancor più commerciale, in funzione di importanti vie fluviali e marittime.
Se durante il suo governo D. dovette fare i conti con una difficile congiuntura internazionale, anche la situazione interna con cui ebbe a confrontarsi non fu semplice. L'autorità centrale da lui rappresentata trovò infatti sulla sua strada il potere del ceto tribunizio, fortemente radicato nelle diverse isole e località della laguna. Benché confuso, rimane nelle fonti il ricordo di contrasti fra Cittanova, Equilo, Malamocco, come pure quello del ruolo giocato dalle maggiori famiglie. Il sistema venetico, in sostanza, era allora alla ricerca di un nuovo ed efficace equilibrio. Da tale instabilità di fondo venne appunto travolto D., che fu violentemente tolto di mezzo da un colpo di Stato compiuto da un personaggio del quale nulla conosciamo a parte il nome, ed accecato: "a quodam infideli, Galla nomine, eius avulsi sunt oculi" riferisce infatti Giovanni Diacono.
È questa l'ultima notizia che abbiamo di D.; nulla sappiamo circa suoi eventuali discendenti.
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