ROLANDO (Orlando), detto de' Medici
ROLANDO (Orlando), detto de’ Medici. – Di questo eremita, vissuto nel XIV secolo, beatificato nell’Ottocento, si hanno poche testimonianze biografiche certe.
L’interesse per la sua figura deriva soprattutto dalla strumentalizzazione politica che, in sede di elaborazione e codificazione agiografica, fu fatta delle memorie a lui relative.
La vita di Rolando è nota da un unico manoscritto (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 20.9) composto in area lombarda nella seconda metà del Quattrocento, recante una narrazione forse risalente al secolo precedente e redatta, secondo i biografi moderni, subito dopo la morte del beato dal carmelitano cremonese Domenico de’ Dominicis; da questo testo (poi perduto nel XVII secolo) sarebbe stato esemplato il testimone laurenziano.
Rolando sarebbe disceso da una non meglio precisata schiatta di nome Medici (Rolandus de Medicis), da identificare con una tra le casate «de Medicis» di Milano, escludendo ogni riferimento alla dinastia regnante in Toscana. Tuttavia, verso la fine del XVI secolo l’erudito fiorentino Silvano Razzi, giocando sul potere evocativo dell’assonanza onomastica, inserì la Vita dell’eremita padano fra quelle dei santi e beati della Tuscia, suggerendo (ma non affermando) un possibile collegamento con i signori di Firenze.
Secondo le biografie d’età moderna Rolando sarebbe nato intorno al 1330. Il codice laurenziano, tuttavia, riferisce solo che nel 1360 egli giunse nel territorio del castello di Bargone, presso Salso (Salsomaggiore), all’epoca controllato dai marchesi Pallavicino, la cui autorità si estendeva tra Cremona, Parma e Piacenza. L’eremita rimase ventisei anni su queste terre, spostandosi nei vasti boschi che allora connotavano il Preappennino emiliano.
Un dato importante su cui insiste l’agiografo è il silenzio serbato dall’asceta per ben ventisei anni. Tale scelta lo avvicinava ai venerati modelli orientali, come l’abate Teona o Giovanni Silenziario, e contribuiva a darne un’immagine positiva, eliminando uno dei problemi più gravi spesso connessi a figure del genere, ossia la predicazione itinerante non autorizzata. La menzione di questo elemento, tuttavia, richiedeva ulteriori giustificazioni introdotte a fini apologetici. Rolando, infatti, in quanto laico, avrebbe dovuto confessarsi periodicamente e affidarsi alla guida di un ministro del culto, azioni incompatibili con un rigido mutismo.
Allorché Rolando stava per concludere la sua parabola terrena, venne scorto ormai agonizzante da un famiglio di Antonia dei Casali da Cortona, moglie del marchese Niccolò Pallavicino, a caccia nei boschi di Bargone. La dama, che aveva sentito parlare del penitente, una volta riconosciutolo volle far sì che spirasse con il conforto dei sacramenti, e chiamò a confessarlo il carmelitano Domenico de’ Dominicis da Cremona (prima metà del XIV secolo-ca. 1410), che ne riconobbe e legittimò le straordinarie virtù.
La confessione dell’eremita, per come viene esposta, assunse le caratteristiche di un sommario processo canonico. Rolando, infatti, dopo aver miracolosamente recuperato la parola, affermò di aver scelto un’esistenza di preghiera e mortificazione non perché volesse o dovesse scontare una penitenza, ma solo per obbedire alla volontà divina. Alla richiesta del perché pregasse con lo sguardo rivolto al Sole e alla Luna Rolando rispose che così fruiva della grazia di Dio, poiché gli astri rappresentavano ai suoi occhi l’immagine del volto di Cristo. Secondo la tradizione Rolando sarebbe morto nel 1386.
La modalità dell’orazione (ritto su un piede solo, con le braccia incrociate, immobile per ore rapito nell’estasi), raffigurata anche nella miniatura del codice laurenziano, richiamava gli stiliti e gli esicasti, nonché, ancora nel tardo Medioevo, alcuni anacoreti orientali; ma tale modalità era caratteristica anche di altri asceti vissuti in area padana tra XII e XIII secolo e ben noti ai carmelitani cremonesi, come Giovanni Bono da Mantova (1168-1249).
Appare chiaro che tramite de’ Dominicis i frati lombardi intesero appropriarsi della memoria dell’eremita. Tuttavia risulta ancora più evidente la strumentalizzazione che del beato e del suo nome fece il committente del codice laurenziano, il quale volle chiaramente giocare sul riferimento agnatizio per guadagnarsi il favore della potente stirpe toscana (arricchendo il testo con miniature che evocavano la vita dell’eremita e recavano lo stemma mediceo). Si trattava dei fratelli Gian Ludovico (1425-1481) e Pallavicino Pallavicino, signori nella seconda metà del Quattrocento delle terre più legate alla memoria dell’eremita. Il maggiore indiziato è il primo, documentato finanziatore di libri liturgici presso varie botteghe milanesi. Il contesto politico dà piena conferma: la famiglia cercò di accattivarsi le simpatie di Cosimo de’ Medici (e dei figli Pietro e Giovanni) per ottenere tutela politica, e lo fece anche sfruttando il noto interesse dei signori di Firenze per i codici e per la celebrazione delle glorie dinastiche.
La richiesta di canonizzazione per Rolando fu avviata nel 1563. Tuttavia il processo venne interrotto dalla morte di papa Pio IV (Giovan Angelo Medici di Milano), e l’iniziativa riprese solo nel XIX secolo. Il riconoscimento del culto fu dovuto a Pio IX nel 1853 (25 settembre), sia pure in rapporto alla sola diocesi di Fidenza e con rito di terza classe (il martirologio ricorda il beato il 15 settembre). Per altro verso il granduca di Toscana Ferdinando I (1549-1609) impose un volgarizzamento e una pubblicazione del codice laurenziano. Cosimo II, in occasione delle proprie nozze con Maria Maddalena d’Austria, acquisì Rolando fra i protettori della casata. Allorché la figlia di Cosimo, Margherita, andò in sposa a Odoardo Farnese duca di Parma, volle per sé una reliquia del venerabile e patrocinò la redazione della sua vita a opera di Ranuccio Pico, avallando così l’acquisizione di Rolando al santorale canonico dei granduchi di Toscana.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 20.9: De vita, penitentia, morte et miraculis beati Rolandi de Medicis (BHL 7291-92); Busseto, Archivio Capitolare della Chiesa Collegiata di San Bartolomeo Apostolo, Rolando de’ Medici, Vita e culto; S. Razzi, Delle vite de santi e beati toscani, II, In Fiorenza 1601, cc. 87r-89v; F. Bordoni, Thesaurus sanctae Ecclesiae Parmensis, Parmae 1671, pp. 295-297; R. Pico, Vita e morte del B. Orlando de Medici raccolta dal suo Teatro de’ Santi, e Beati della Città di Parma, In Parma 1721; G.M. Brocchi, Vita del B. Orlando de’ Medici Romito, In Firenze 1737; Acta Sanctorum Septembris, V, Antverpiae 1755, pp. 117-122; I. Affò, Vita del beato Orlando de’ Medici eremita colla storia del culto già da quattro secoli prestatogli in Busseto ove riposa il venerabile suo corpo, Parma 1784; Sacra Rituum Congregatione eminentissimo ac reverendissimo domino cardinali Spada relatore Burgi Sancti Domnini super confirmationis cultus ab immeborabili tempore praestiti B. Rolando de Medicis instantibus R.P.D. Episcopo clero, et populo, Romae 1839.
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