design per la sostenibilita
design per la sostenibilità <diʃàin ...> locuz. sost. m. – Cultura progettuale (anche definita design for sustainability) che consente di realizzare prodotti e servizi intrinsecamente più sostenibili. La locuzione è stata coniata, a precisazione del generico termine ecodesign, per delimitare il campo di applicazione della progettazione sostenibile al solo ambito del disegno industriale. Come ha affermato nel 2008 uno dei massimi studiosi della sostenibilità, John Thackara, «L’ottanta per cento dell’impatto ambientale esercitato dai prodotti […] viene determinato allo stadio progettuale», per cui negli ultimi decenni si è gradualmente diffusa la consapevolezza che l’attività progettuale deve considerare sistematicamente l’impatto che l’artefatto, l’oggetto dell’attività di design, ha sull’ambiente e sul suo equilibrio. «La questione ambientale, intesa come l’impatto dei sistemi di produzione e consumo sull’equilibrio degli ecosistemi» (C. Vezzoli), comparve nella seconda metà degli anni Sessanta del 20° sec. come emergenza associata ai grandi disastri ecologici registrati in Occidente. Si evolse poi negli anni Settanta in una presa di coscienza dell’impossibilità di una crescita illimitata dell’economia dei paesi industrializzati e nella scoperta di un limite allo sfruttamento delle risorse ambientali e della loro possibile esauribilità in funzione dell’aumento della popolazione e di uno sviluppo industriale incontrollato. Negli anni Ottanta si assisté a una debole presa di posizione delle istituzioni, che iniziarono a emanare provvedimenti atti a controllare e a limitare i danni provocati dalle attività produttive. Nel 1987 il rapporto Our common future, della commissione ONU per l’ambiente e lo sviluppo, sul futuro dell’umanità, introdusse per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile, inteso come l’insieme delle «condizioni sistemiche per cui, a livello planetario e a livello regionale, lo sviluppo sociale e produttivo avvenga entro i limiti di resilienza dell’ambiente» (C. Vezzoli), ossia della capacità di assorbire le trasformazioni antropiche senza determinare fenomeni irreversibili di degrado e garantendo il soddisfacimento equo dei bisogni dei posteri. Negli anni Novanta si registrò un reale cambiamento di rotta e il concetto di sviluppo sostenibile si integrò nelle normative e nei documenti d’indirizzo delle principali istituzioni internazionali e locali. Nel 1992 si tenne la conferenza su ambiente e sviluppo, evento storico tenutosi a Rio de Janeiro e organizzato dalle Nazioni Unite, e da questo momento in poi si comprese la necessità di una drastica riduzione del consumo di risorse e di una transizione culturale e sociale capace di mettere in discussione non solo i modelli di produzione fino ad allora adottati, ma anche quelli di consumo e di fruizione. Gli anni Duemila sono infine quelli del coinvolgimento, nella questione ambientale, di tutti gli attori implicati nei processi di sviluppo e l’affermazione di un approccio sistemico che porta a un’evoluzione strutturale. Il d. s. si è quindi evoluto da attività progettuale strumentale a limitare i danni ambientali, a un’attività di tipo preventivo e sistemico. Dai primi interventi compiuti sui materiali e sui processi produttivi con l’utilizzo di tecnologie pulite, si è poi passati ai prodotti ‘verdi’ e soprattutto allo studio del loro ciclo di vita, inizialmente monitorato (LCA, Life cycle assessement) e poi progettato (LCD, Life cycle design), per giungere infine a una progettazione che guarda a tutto il sistema che gravita intorno al prodotto. L’attenzione sui materiali si è inizialmente concentrata sulla loro tossicità o nocività, ed è poi passata ad analizzare i materiali come rifiuti e ad affrontare la questione della loro riciclabilità, in termini sia di biodegradabilità sia di disassemblaggio. Nella seconda metà degli anni Novanta il d. s. si è poi concentrato sul ciclo di vita e sui requisiti ambientali dei prodotti industriali, giungendo a definire, sulla base di calcoli, i valori d’impatto ambientale degli artefatti. L’LCA si è affermato come sistema di valutazione degli effetti ambientali esito del bilancio tra input e output di tutti i processi e di tutte le fasi coinvolte nel ciclo di vita del prodotto. Dalla valutazione alla progettazione dell’intero ciclo di vita (LCD) il passo è breve e si giunge a comprendere che «il prodotto deve essere progettato considerando tutte le fasi del ciclo di vita» (C. Vezzoli). L’LCD ribalta il fulcro di attenzione della progettazione, che passa dal prodotto alla sua funzione e all’intero sistema, attraverso: la minimizzazione del consumo di risorse; la scelta di risorse e processi a basso impatto ambientale; l’ottimizzazione della vita dei prodotti; l’estensione della vita dei materiali; e infine la facilitazione del disassemblaggio. La ricerca nell’ambito del d. s. negli ultimi anni ha infine stabilito l’esigenza di un allargamento del campo di applicazione progettuale che deve oltrepassare il prodotto e coinvolgere l’intero sistema in cui si formulano domanda e offerta. Tale allargamento ha portato a una convergenza sul d. s. del design strategico, ossia della disciplina che si basa sulla progettazione partecipata e sull’identificazione di inedite forme di collaborazione tra i diversi attori coinvolti.