descrizione
Termine introdotto dagli stoici con cui, distinguendola dalla definizione, che riguarda l’essenza universale di una cosa, essi indicavano un discorso riferito all’individualità della cosa La d. (ὒπογραφή) viene definita «un discorso che conduce alla cosa attraverso le impronte di essa» (Diogene Laerzio, VII, 60). Tale concetto, nel suo generale significato, si è mantenuto sostanzialmente immutato fino al mondo moderno, dove viene introdotta la distinzione fra d. definite (la moglie di Piero) e d. improprie (l’attuale re di Francia). Le d. sono al centro di una disputa intorno al loro rapporto con un altro tipo di termini singolari, i nomi. I due punti di vista classici sul problema sono quelli di Frege e di Russell. Frege assimila le d. definite ai nomi propri, considerandole espressioni che denotano oggetti. Le d. improprie, invece, pur avendo un senso, sono prive di denotazione, e quindi non sono né vere né false. Russell considera le d. come simboli incompleti, ossia come espressioni che non hanno un significato autonomo. Secondo Russell la struttura logica di un enunciato descrittivo deve essere resa esplicita mediante una parafrasi nella quale la d. scompare. Da questo punto di vista la differenza fra d. definite e d. improprie viene meno, perché anche queste ultime, una volta parafrasate, possono risultare vere. Secondo Russell nomi e d. restano divergenti nella struttura logica, perché hanno un diverso campo d’azione. Anche Kripke e Putnam separano i nomi dalle d. in base al loro differente meccanismo referenziale, che è causale nel primo caso e qualitativo nel secondo. K. Donnellian ha introdotto la distinzione fra uso attributivo e uso referenziale di una d.: nel primo caso intendiamo parlare di chiunque soddisfi una certa d.; nel secondo caso usiamo la d. in riferimento a un determinato individuo, già identificato con altri mezzi.