Jarman, Derek
Pittore, regista e scenografo teatrale e cinematografico inglese, nato a Northwood (Middlesex) il 31 gennaio 1942 e morto a Londra il 19 febbraio 1994. Figura chiave della controcultura degli anni Settanta e Ottanta per la sua dirompente carica anticonformista, rappresentò un punto di riferimento della comunità gay grazie alla sua rilettura in chiave omoerotica di alcune figure storiche. Vicino all'estetica dell'Underground, dopo aver girato per alcuni anni solo in super 8 passò ai lungometraggi a soggetto (generalmente girati in 16 mm e poi portati a 35 mm), senza mai scendere a compromessi con l'industria, ma preservando intatto il suo originario stile sperimentale. Il suo cinema, onirico e sovversivo, pieno di riferimenti (strutturali, iconografici e biografici) alle varie discipline artistiche, risulta stilisticamente composito: incentrato sulla contaminazione tra passato e presente, Storia e Natura, collage e narrazione, oscilla tra la massima improvvisazione e il controllo della messa in scena. Dei suoi film fu anche soggettista e sceneggiatore, talvolta in collaborazione con altri.
Per i frequenti spostamenti dovuti al lavoro del padre, ufficiale della Royal Air Force, visse in diversi Paesi, tra cui l'Italia, l'India, il Pakistan e gli Stati Uniti. Studiò a Londra, prima storia e letteratura inglese al King's College (1960-1963) e poi pittura e scenografia alla Slade School of Art (1963-1967). Iniziò quindi a lavorare come pittore e scenografo, e nel 1969 aprì un suo studio nel quartiere di Bankside, che divenne crocevia di incontri con diverse personalità del mondo dell'arte, della musica e del teatro. Il suo primo super 8, Studio Bankside (1971), è infatti frutto di riprese fatte nel suo atelier e nei dintorni. Nello stesso periodo J. si avvicinò al cinema professionale, curando le scenografie dei film di Ken Russell The devils (1971; I diavoli) e Savage messiah (1972; Messia selvaggio). Pur continuando a realizzare cortometraggi, nel 1976 debuttò nel lungometraggio, dirigendo insieme a Paul Humfress il trasgressivo Sebastiane (girato in gran parte in Sardegna), lettura in chiave erotica e mistica del martirio di S. Sebastiano, cui i dialoghi in latino conferiscono un'arcana risonanza. Seguirono nel 1978 Jubilee, ritratto di un'Inghilterra dell'immediato futuro in preda al caos e all'anarchia, e nel 1979 The tempest, libero adattamento da W. Shakesperare, entrambi percorsi da allucinazioni e deformazioni in bilico tra il barocco e l'estetica 'punk'. Nel 1984 l'Institute of Contemporary Art di Londra dedicò una grande retrospettiva alla sua attività di pittore. L'anno successivo girò The angelic conversation, storia d'amore ambientata nel desolato paesaggio dell'Inghilterra industriale e ritmata da sonetti di Shakespeare recitati da Judy Dench. Nel frattempo dirigeva videoclip (tra cui quelli per i Sex Pistols, 1975, Marianne Faithfull, 1979, i Throbbing Gristle, 1980, gli Psychic TV, 1982, gli Smiths, 1986, gli Easterhouse, 1986, Bob Geldof, 1987, i Pet Shop Boys, 1987-1993): nel suo lavoro cinematografico fu infatti non secondario, oltre allo scambio con la pittura, l'intreccio con la sperimentazione musicale, come nella collaborazione con Brian Eno (che scrisse le musiche dei suoi primi due lungometraggi) e Sylvano Bussotti (per il quale realizzò nel 1988 un cortometraggio utilizzato come preludio all'opera L'ispirazione). Nel 1986 cominciò a interessarsi al suo lavoro anche un'importante istituzione quale il British Film Institute, che finanziò il suo Caravaggio costato 475.000 sterline: si tratta di una biografia atipica del grande pittore seicentesco, il cui mondo luministico e carnale viene reso con uno sguardo insieme crudo e dolente. Fu con questo film che J. raggiunse la notorietà internazionale: poté così fondare la società Basilisk, con cui produsse una parte dei suoi successivi cortometraggi e lungometraggi. Questi ultimi sono tutti caratterizzati, come Caravaggio, dalla presenza dell'attrice e amica Tilda Swinton: The last of England (1987), spietato ritratto dell'Inghilterra contemporanea; War requiem (1989), basato sull'omonimo oratorio antimilitarista di B. Britten; The garden (1990), sulle discriminazioni contro gli omosessuali, ambientato nel giardino della sua casa a Dungeness nel Kent (ritratto anche in altri suoi film); Edward II (1991; Edoardo II), dal dramma di Ch. Marlowe; Wittgenstein (1993), biografia del filosofo austriaco. I primi tre sono ricchi di sperimentalismi e invasi da una vena iconoclasta, gli ultimi due sono rigorosamente impaginati in astratti spazi teatrali, dove i labirinti sessuali e psicologici dei personaggi vengono vivisezionati con intensa forza espressiva. La sua ultima provocazione linguistica fu Blue (1993), film monocromatico senza immagini, in cui viene affidato a varie voci il racconto del rapporto di J. con l'AIDS e con la morte.
Per comprendere meglio e analizzare l'estetica di J. bisogna partire dalla sua vasta produzione a passo ridotto, comprendente all'incirca trenta cortometraggi girati in super 8; molti di essi, portati a 16 mm, furono fusi nei mediometraggi In the shadow of the Sun (1972), The dream machine (1983), Imagining October (1984) e Glitterbug (1994), quest'ultimo trasmesso dalla BBC qualche giorno dopo la sua scomparsa. Basati su un sentimento di instabilità della materia e di inafferrabilità del tempo ‒ reso attraverso una serie di effetti realizzati in stampa o in ripresa, sulla pellicola o in fase di montaggio, come immagini 'congelate' e fermi-fotogrammi (freeze-frames), doppie esposizioni, rifilmaggi, impasti granulosi di luci e colori ‒ sono una testimonianza poetica e insieme esistenziale: hanno infatti spesso per soggetto gli amici e i collaboratori del regista, colti in alcuni frammenti di vita quotidiana. Nei lungometraggi J. approfondì e ampliò il suo universo espressivo, passando con estrema naturalezza dall'immaginario primitivo e scarnificato di Sebastiane a quello kitsch-punk di Jubilee, dalle suggestioni figurative e visionarie di Caravaggio e Last of England alla spazialità teatrale di Edward II e Wittgenstein, senza tuttavia mai tralasciare il senso della realtà e l'idea di un'arte che sia anche un momento di analisi e di riflessione politica e sociale. Nell'ultimo periodo della sua vita J. pubblicò tre libri in cui le notazioni autobiografiche sono talvolta mescolate alle riflessioni sull'arte e sulla società (Dancing ledge, 1984; Modern nature: the journals of Derek Jarman, 1991, trad. it. 1992; At your own risk: a Saint's testament, 1992, trad. it. 1994), e uno dedicato alla pittura (Chroma: a book of colour, 1994, trad. it. 1995). Sono invece uscite postume le sue opere sul giardinaggio come forma d'arte (Derek Jarman's garden, 1995), sul cinema (Up in the air, 1996, che contiene tra l'altro le sue sceneggiature), sui diritti degli omosessuali e la lotta contro l'AIDS (Smil-ing in low motion, 2000).
The complete Derek Jarman, ed. L. Merrison, Stuttgart 1988.
V. Patanè, Derek Jarman, Venezia 1995.
M. O'Pray, Derek Jarman: dreams of England, London 1996.
By angels driven: the films of Derek Jarman, ed. Ch. Lippard, London 1996.
Derek Jarman: a portrait, ed. R. Wollen, London 1996.
K. Butler, Derek Jarman, New York 1997.
G. Del Re, Derek Jarman, Milano 1997.
T. Peake, Derek Jarman: a biography, London 1999.
W. Pencak, The films of Derek Jarman, Jefferson (NC) 2002.