DEODATO
Nacque in data imprecisata da una famiglia tribunizia veneziana di Cittanova, figlio di quell'Orso che fu elevato doge dai Veneziani nel 726, per essere ucciso nel 737, durante una rivolta nobiliare.
Il cammino politico di Orso prefigura già quello di suo figlio Deodato. Orso giunse al potere quando l'Italia bizantina, sotto la guida del papa, si sollevò contro la politica iconoclasta dell'imperatore Leone III. Egli era il candidato delle truppe del ducato schierate contro il governo centrale. In un secondo tempo Orso si riconciliò però con Bisanzio, come prova il titolo di ypatus che egli recava alla sua morte, un titolo che la corte imperiale usava attribuire come particolare onorificenza ai governatori delle province. Non si sa quale partito abbia ucciso Orso. Comunque l'esarca di Ravenna dopo la sua morte non nominò un nuovo dux, ma un magister militum, carica della durata di un solo anno e non a vita come quella del doge. I primi due titolari di questa carica, anziché appartenere alle famiglie tribunizie veneziane, furono forestieri: evidentemente l'esarca temeva la scarsa fedeltà dell'aristocrazia locale.
Sorprende perciò che il terzo magister militum di Venezia fosse proprio D., figlio del doge assassinato. Forse allora D. appoggiava il governo centrale e riscuoteva quindi la fiducia dell'esarca; o forse la sua nomina era un tentativo di procurarsi il sostegno della nobiltà veneziana, in un momento in cui i Longobardi minacciavano la città di Ravenna. Pare infatti che in questa difficile situazione l'esarca potesse fare affidamento sull'aristocrazia militare di Venezia. L'incarico di D. giunse a scadenza prima che gli eventi precipitassero. Sotto il suo successore (di nuovo un forestiero) i Longobardi conquistarono Ravenna. L'esarca fuggì a Venezia, ma poté tornare nella sua città grazie all'aiuto del magister militum.
Due anni dopo la fine del suo governo, D. cambiò ancora una volta fronte, guidando la congiura che avrebbe rovesciato l'ultimo magister militum, Giovanni Fabriciaco. Sostenuto dalla nobiltà locale, assunse il titolo di dux. Cadevano così gli ultimi rappresentanti del governo bizantino a Venezia.
Come per tanti altri episodi della storia più antica di Venezia, anche a proposito di questo sono state avanzate molte ipotesi. Si è creduto di scorgere una divisione dell'aristocrazia in due partiti: quello di Cittanova, comprendente i proprietari terrien, e quello di Malamocco, formato dalla popolazione marinara. Le forti divisioni all'interno dell'aristocrazia emergono chiaramente dalle fonti più antiche; ma tali divisioni non sono sufficientemente definibili e riconoscibili. Sembra che le famiglie aristocratiche cambiassero spesso partito. Orso e suo figlio D. esemplificano nel modo migliore questa politica, pronti com'erano ad allearsi ora con l'esarca, rappresentante del governo imperiale, ora con i casati locali.
Quanto sia azzardato vedere un contrasto tra le famiglie dominanti di Malamocco e di Cittanova, lo dimostra proprio l'ascesa al potere di Deodato. Pur essendo di Cittanova, egli fu proclamato doge a Malamocco, come vuole una notizia abbastanza credibile. In ogni caso, egli rinunciò a trasferire la sede del governo di nuovo a Cittanova. Probabilmente, glielo sconsigliavano anche ragioni di sicurezza: a Malamocco il governo di Venezia era più protetto da eventuali offensive longobarde, mentre Cittanova era più esposta ad attacchi che partivano dalla terraferma. Inoltre, Malamocco era il porto militare di Venezia e garantiva un più facile contatto con l'amministrazione centrale di Bisanzio. Come avrebbero mostrato i successivi eventi, D. non considerava la possibilità di un distacco di Venezia da Bisanzio.
Durante i tredici anni del suo governo che' coincisero con il crollo del dominio bizantino nell'Italia settentrionale ad opera dei Longobardi, D. sembra esser rimasto fedele all'esarca. In questo periodo anche il ducato di Venezia avvertì la minaccia longobarda e dovette pertanto sembrare prudente appoggiarne la lotta. Le fonti più antiche non danno molte informazioni sugli anni turbinosi del governo di D., ma la corte bizantina dovette apprezzare la sua azione in favore dell'esarcato se gli conferì, come già a suo padre Orso, il titolo onorifico di ypatus. Tuttavia, neanche D. poté fermare i Longobardi. Alla fine del suo governo l'esarcato di Ravenna non esisteva più; Venezia era l'ultimo residuo del dominio bizantino nell'Italia settentrionale. Ma anche la sovranità imperiale sul ducato era più teorica che effettiva. I successori di D. provenivano tutti dalle famiglie locali.
I cronisti veneziani ricordano come principale evento del governo di D. la fondazione di Brondolo sul Brenta. Divenuta più tardi famosa soprattutto per il suo monastero, Brondolo nacque per ragioni puramente militari. Posta alle foci del Brenta, serviva a proteggere dalla minaccia longobarda la via per Chioggia e per le dune dei lidi. Questa via era l'unica che permettesse di raggiungere dalla terraferma Malamocco, sede del governo veneziano. Ciò conferma come durante il governo di D. la questione longobarda abbia dominato l'attenzione. Anche dopo la definitiva caduta di Ravenna (751) il doge cercò di riunire politicamente le ultime forze filobizantine in Italia. Nel 754 egli stipulò un'alleanza con il papa, con chiara funzione antilongobarda, espressione dei legami che ancora univano gli ex sudditi di Costantinopoli.
Nell'anno 755 una rivolta nobiliare pose fine al governo di Deodato. La sommossa era guidata da un tribuno che Giovanni Diacono chiama Galla. D. fu destituito e accecato. Il potere di Galla Gaulo non sarebbe durato più di un anno, ma le cronache non dicono per quanto tempo D. sia sopravvissuto alla sua caduta.
Fonti e Bibl.: La cronaca veneziana del diacono Giovanni..., a cura di G. Monticolo, in Cronache veneziane antichissime, I, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, IX, pp. 95, 97 s.; Origo civitatum Italiae seu Venetiarum, a cura di R. Cessi, Roma 1933, ibid., LXXIII, pp. 28 s., 115 s.; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, I, Gotha 1905, pp. 49 s., 417, 420;R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 104, 106, 109, 112 s.; A. Carile-G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, pp. 203, 223 s., 229, 342, 382.