GUINACCIA, Deodato
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, attivo in Sicilia nella seconda metà del XVI secolo. La sua probabile origine partenopea - nella firma di alcune opere si qualifica come "Neapolitanus" - può far supporre che la sua formazione sia avvenuta a Napoli, intorno alla metà del secolo, nell'ambito della cultura di Silvestro Buono, Giovan Bernardo Lama e del senese Marco Pino.
Susinno (seguito da altri storici locali) nelle Vite de' pittori messinesi (1724 circa) riporta la notizia dell'arrivo a Messina del G. al seguito di Polidoro Caldara, detto Polidoro da Caravaggio, di cui sarebbe stato allievo. Tale affermazione, benché si colgano nello stile del G. indubbi elementi polidoreschi, non è accettabile data l'impossibilità di un rapporto diretto tra i due artisti, per evidenti discordanze cronologiche (Polidoro giunse a Messina nel 1528 e vi morì nel 1543).
Allo stato attuale delle conoscenze, il primo dipinto noto del G. è l'Immacolata della chiesa di S. Maria di Gesù a Naso (Messina), databile alla fine degli anni Sessanta: la sola Campagna Cicala (Aspetti…, 1996) ne anticipa la datazione di un decennio. Il quadro, sia pur oggi in pessime condizioni di leggibilità, evidenzia degli elementi figurativi improntati sia al frasario di S. Buono sia a quello di Marco Pino (Pugliatti, 1993, p. 205); è possibile quindi che il G. sia giunto a Messina a ridosso del 1570, anno in cui eseguì la perduta Madonna tra i ss. Pietro e Andrea (già nella chiesa di S. Maria in Portosalvo: ibid.). Elementi marcopineschi sembrano evidenti nella Trasfigurazione della chiesa dell'Immacolata di Rometta Superiore (1572), per diventare, nel dipinto di soggetto analogo, non datato (Messina, già chiesa di S. Gregorio, oggi Museo regionale), quasi una citazione puntuale dalla Trasfigurazione realizzata da Pino per la chiesa del Gesù Vecchio di Napoli. Ma è proprio la padronanza che il G. mostra di avere nella personale rielaborazione del frasario dell'artista senese, così da diventare una costante del suo stile, a far ipotizzare non solo un contatto diretto a Napoli, ma anche un comune viaggio in Spagna e quindi a Roma, verso la fine del settimo decennio del secolo (Campagna Cicala, S. Lucia…, 1996, p. 62).
Una volta arrivato a Messina il G. fu, comunque, costretto a confrontarsi con il linguaggio di Polidoro da Caravaggio. L'Andata al Calvario, firmata e datata dal G. nel 1574 (già in collezione privata palermitana e nota solo attraverso un'immagine fotografica: Pugliatti, 1993, p. 226 n. 209), è una copia pressoché fedele del dipinto che Polidoro aveva realizzato per la chiesa messinese dell'Annunziata dei Catalani (Napoli, Museo e Gallerie nazionali di Capodimonte). Debiti nei confronti di tale cultura possono essere ravvisati anche nella Madonna del Rosario e misteri della cattedrale di Santa Lucia del Mela (presso Messina), datata 1574, in cui il G., pur nella trattazione convenzionale del soggetto, mostra di avvicinarsi al lessico polidoresco, in particolar modo nella resa dell'espressività quasi caricaturale dei personaggi e nella vivacità delle scene dei riquadri minori. Dello stesso anno è anche il dipinto per la chiesa del Ss. Salvatore di Castroreale (oggi al Museo civico), la Madonna tra i ss. Filippo e Giacomo: il paesaggio è realizzato nel segno di Polidoro, come anche certe spigolosità delle figure; mentre la patetica espressione di S. Giacomo rimanda a Marco Pino. La Resurrezione di Cristo realizzata per il monastero di S. Gregorio a Messina (oggi Museo regionale), firmata e datata 1577, nella teatralità dei gesti dei personaggi, accentuata dalla cangiante cromia dei toni squillanti e acidi, presenta puntuali riferimenti con lo stesso soggetto dipinto a Roma da Pino, tra il 1568 e il 1570, nell'oratorio del Gonfalone. Altri evidenti riferimenti marcopineschi si riscontrano anche in due opere oggi nei depositi del Museo regionale di Messina: la Trinità del 1577 (già nell'oratorio della Trinità) e la Pietà dell'anno successivo (già nell'oratorio di S. Basilio), riecheggiante, quest'ultima, quella che Pino aveva realizzato per la chiesa romana di S. Maria d'Aracoeli.
Si tratta di soggetti convenzionali, in cui la plasticità monumentale e quasi goffa dei personaggi si unisce a un tono languido, tale da far scomparire, specie nella Pietà, qualsiasi empito drammatico.
Ancora al 1578 risale il dipinto per la chiesa dell'Annunziata di Santa Lucia del Mela intitolato Iquattro novissimi: opera estremamente complessa dal punto di vista iconografico, ricca di simbologie attorno alla presentazione di Gesù al tempio, e forse replica di un dipinto del 1576 che Susinno ricordava nella chiesa messinese di S. Girolamo, distrutta dal terremoto del 1783. Del 1579 è il Martirio di s. Lucia per la chiesa di S. Lucia alla Badia a Siracusa.
Una folla di personaggi dai volti caricaturali agita la scena in cui largo spazio è occupato da un edificio con la facciata segnata da erme a rilievo che si erge su un portico sorretto da colonne ioniche. Si tratta di un tipo di composizione che richiama alcuni disegni di Polidoro, o della sua scuola, che ancora alla fine del XVI secolo circolavano a Messina come testimonianza degli sfarzosi apparati effimeri realizzati in occasione del passaggio in città di Carlo V, il 21 ott. 1535 (Pugliatti, 1993).
Nel 1580 il G. dipinse una Natività (Messina, già chiesa del monastero di S. Maria di Basicò, oggi Museo regionale), esplicito omaggio sia ad analoghi soggetti eseguiti da Marco Pino a Napoli sia alla Natività di Polidoro nella chiesa dell'Altobasso di Messina (oggi Museo regionale): la poeticità dell'insieme non sembra trovare, però, piena compiutezza per l'uso di una gamma cromatica povera, che tende a raggelare le forme. Nell'Annunciazione dipinta dal G. nel 1581 per la chiesa dei Funari di Messina (oggi Museo regionale) si possono rintracciare influenze di Francesco Salviati, in particolare nel monocromo che decora il leggio della Madonna e nel paesaggio, nonché suggestioni fiamminghe.
L'angelo, che irrompe nella stanza in cui è raccolta in preghiera Maria, appare citazione puntuale di quello raffigurato da Teodoro d'Errico (Dirk Hendricksz) nel dipinto di soggetto analogo della chiesa di S. Maria della Sapienza a Napoli. Questo artista, attivo nella città partenopea dal 1573 circa fino al 1608, ebbe contatti anche con la Sicilia e proprio al suo nome è stata per esempio legata l'Adorazione dei pastori della chiesa del Gesù di Caltagirone, un tempo attribuita al Guinaccia.
Dei primi anni Ottanta sono sia il S. Marco, datato 1581, nella cattedrale di Santa Lucia del Mela sia il S. Francesco della chiesa di S. Giovanni a Castanea, che rimanda a certe figure di santi di Girolamo Muziano; entrambe le opere offrono al fedele immagini improntate a un languido patetismo in sintonia con le esigenze della Riforma cattolica che, con ogni probabilità, contribuirono a determinare la fortuna del G. sia a Messina sia in provincia. La sua bottega divenne, infatti, ben presto il punto di riferimento di tutta una schiera di artisti meridionali quali Cesare Di Napoli, Stefano Sant'Anna, Placido Saltalamacchia e i più celebri Antonio Catalano il Vecchio e Giovan Simone Comandè.
Ultimo documento concernente il G. è la menzione dell'Annunciazione per la chiesa messinese degli agostiniani scalzi alla "Ciaera", realizzata nel 1585 (in Pugliatti, 1993, p. 235). Non si conosce la data di morte dell'artista.
Tra le opere attribuite al G. si ricordano la Pentecoste (già in S. Andrea Avellino e oggi al Museo regionale di Messina), databile all'inizio del nono decennio (Campagna Cicala, 1990), il Transito della Vergine (Gela, cattedrale) e i Ss. Elena e Costantino (Messina, Museo regionale, già nella chiesa di S. Pelagia: Pugliatti, 1993, pp. 238 s.).
Fonti e Bibl.: F. Susinno, Vite dei pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, ad ind.; S. Bottari, La cultura figurativa in Sicilia, Messina 1954, pp. 65-67, 253; F. Campagna Cicala, Trasfigurazione, in IX Mostra di opere d'arte restaurate, Palermo 1974; G. Carandente - G. Voza, Arte in Sicilia, Milano 1974, p. 252; F. Campagna Cicala, Madonna col Bambino tra i ss. Filippo e Giacomo, in X Mostra di opere d'arte restaurate (catal.), a cura di V. Abbate et al., Palermo 1977, pp. 80-82; G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel Vicereame, Torino 1978, pp. 60-63 e passim; A. Bilardo, Castroreale. Cenni storici sul patrimonio culturale, Messina 1983, pp. n.n.; F. Campagna Cicala, Riflessi di Marco Pino e Pedro Campaña sull'attività messinese di D. G.: confronti e ipotesi, in La cultura degli arazzi fiamminghi di Marsala tra Fiandre, Spagna e Italia. Atti del Convegno internazionale, Marsala… 1986, Palermo 1988, pp. 109-123; C. Vargas, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, pp. 739 s.; T. Pugliatti, I dipinti, in Rometta. Il patrimonio storico artistico, a cura di T. Pugliatti, Messina 1989, pp. 142 s.; Antologia di restauri, a cura di F. Campagna Cicala, Messina 1990, pp. 31-34; M.C. Ruggieri Tricoli, L'epifania del Fanciullo divino ed i suoi archetipi architettonici nell'iconografia siciliana, in In epiphania Domini. L'adorazione dei magi nell'arte siciliana (catal.), a cura di M.C. Di Natale - V. Abbate, Palermo 1992, p. 126; M. Nannipieri, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, II, Palermo 1993, p. 250; T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Napoli 1993, pp. 205-208, 226, 228-239, 332-335 e passim; F. Campagna Cicala, Aspetti della pittura a Messina nel Cinquecento, Messina 1996, pp. 11-13, 34-42; Id., S. Lucia condotta al martirio, in Da Antonello a Paladino. Pittori messinesi nel Siracusano dal XV al XVIII secolo (catal.), a cura di G. Barbera, Siracusa 1996, pp. 62-65; Id., in Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell'età di Carlo V (catal.), a cura di T. Viscuso, Palermo 1999, p. 140; F. Hackert - G. Grano, Memorie de' pittori messinesi, con premessa e note di G. Molonia, Messina 2000, pp. 61-64.