DEODATO di Orlando (D. Orlandi)
Pittore lucchese ma largamente operoso anche a Pisa, noto per alcuni dipinti firmati e datati cui si accompagna un certo numero di documenti. La prima notizia che lo concerne risale al 1284, anno in cui risulta far parte del Consiglio generale di Lucca (Garrison, 1951). Poiché potevano venire eletti solo i cittadini lucchesi che avessero compiuto diciotto anni di età, è verosimile, come ha supposto il Garrison (1951), che la sua data di nascita possa collocarsi entro il settimo decennio del sec. XIII.
La sua presenza nella città è nuovamente documentata nel 1315 (Garrison, 1949); nell'arco di tempo compreso tra questi due anni il pittore firma e data nel 1288 il Crocifisso eseguito per la chiesa di S. Cerbone presso Lucca, oggi nel Museo di villa Guinigi di quella città, e quindi, nel 1301, il dossale d'altare conservato a Pisa, nel Museo di S. Matteo. Allo stesso anno appartiene anche il Crocifisso della chiesa del Conservatorio di S. Chiara a San Miniato al Tedesco, anch'esso firmato e datato. È inoltre riferibile a D. la tavola con la Madonna con il Bambino, già nella collezione Hurd di New York, firmata e datata 1308, che doveva costituire, originariamente, la parte centrale di un dossale basso simile a quello pisano del 1301. Non si hanno altre opere datate o firmate dal pittore che risulta già morto nel 1331 (Garrison, 1949), sebbene nel 1332 sia ancora ricordato in un documento lucchese come ribelle ed esule (Garrison, 1951).
L'attribuzione a D. del Crocifisso proveniente dalla sacrestia del convento di S.Francesco di Pisa, oggi conservato nel Museo nazionale di quella città, proposta dal Garrison (1949), se potesse essere accertata, verrebbe a costituire un elemento di singolare importanza nel percorso artistico del pittore, in quanto testimonierebbe i suoi iniziali rapporti con la tradizione figurativa lucchese dei Berlinghieri non altrimenti attestabile. È indubbio, comunque, che esso costituisce stilisticamente un trait d'union fra lo stile dei Berlinghieri e il Crocifisso firmato da D. nel 1288 e, in generale, le prime opere a lui riferibili.
Se l'attribuzione a D. del Crocifisso già in S. Francesco a Pisa potrebbe comprovare la formazione del pittore nell'ambito della tradizione lucchese, la prima opera firmata e datata che di lui rimane, il Crocifisso proveniente da S. Cerbone a Lucca, pienamente dipendente ormai da Cimabue di cui interpreta in forme tenere e delicate la forza tragica del Crocifisso di S.Croce sul quale è modellato, attesta il relativamente rapido aggiornamento a più moderni linguaggi formali.
La tendenza a registrare fedelmente, anche se non prontamente, il succedersi di nuove forme artistiche negli ultimi decenni del Duecento tra Toscana, Umbria e Lazio, e il rapido volgersi da moduli ancora propriamente bizantini al linguaggio moderno rappresentato da Giotto attraverso Cimabue, sebbene appaia nulla più che mera adesione esteriore piuttosto che consapevole e vigorosa partecipazione, resta il merito fondamentale di D., che d'altro canto non si distacca mai, nel lungo arco della sua attività, da una maniera delicata e superficiale, priva di qualsiasi forza espressiva, ma garbata e accostante, che già appartiene in certa misura al più antico Crocifisso pisano (sia o non sia di D.) e perdura, come elemento costante e riconoscibile, in tutta la sua successiva produzione.
Non è improbabile che D. abbia avuto modo di aggiornarsi alle novità che venivano da Firenze nel suo presunto primo soggiorno pisano, verosimilmente riferibile ai primi anni del nono decennio del secolo, per eseguire il Crocifisso proveniente dal convento di S. Francesco, per la cui chiesa Cimabue aveva dipinto, intorno al 1274, la Madonna in maestà oggi al Louvre.
Il contatto con la poderosa personalità del maestro fiorentino, che dava i suoi frutti già nel 1288, trova una consistente conferma in altri dipinti lucchesi ancora riferibili al penultimo decennio del secolo. L'affresco nella lunetta soprastante la tomba di Bonagiunta Tignosini sulla quale è la data 1274 (che può considerarsi solo un post quem per il dipinto), nel chiostro della chiesa di S. Francesco a Lucca, raffigurante la Madonna con il Bambino, s. Francesco e il donatore, mostra affinità con il mosaico di analogo soggetto di Pietro Cavallini, in S. Maria in Trastevere a Roma. I rapporti di D. con l'ambiente romano-assisiate sono già stati sottolineati dal Longhi (1948) per quanto concerne gli affreschi nella chiesa di San Pietro a Grado, riferibili al pittore lucchese ed eseguiti con ampia partecipazione di aiuti non oltre i primi anni del Trecento, tanto da indurre lo studioso a supporre un viaggio romano dell'artista.
Il vasto cielo illustra le Storie dei ss. Pietro e Paolo che derivano iconograficamente da quelle raffigurate da Cimabue nel quadriportico della basilica di S. Pietro in Vaticano a Roma e nell'abside della chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, dalle quali dipendono anche le inquadrature architettoniche che spartiscono lo spazio degli episodi e il sistema di registri sovrapposti. La stretta dipendenza stilistica di questi affreschi dai prototipi romani e assisiati costituisce il momento di maggiore e più impegnativa adesione di D. alla poetica cimabuesca, pur se temperata da un animo mite e risolta in un racconto svolto tutto in superficie anche se di notevole effetto decorativo.
Non lontano da questi affreschi e certamente riferibile agli anni compresi tra il 1288, data del Crocifisso di Lucca, e il 1301 cui appartengono il Crocifisso di San Miniato e il dossale pisano, è la Madonna in trono con il Bambino e quattro angeli del Museo nazionale di S. Matteo di Pisa che segna un interessante momento di passaggio, nel percorso artistico di D., in cui appare in parte attenuato il cimabuismo delle opere precedenti e non vi si scorgono ancora gli echi protogiotteschi già presenti invece nelle due opere del 1301. Il dossale pisano che reca al centro la figura a mezzo busto della Madonna con il Bambino fiancheggiata dai santi Domenico, Giacomo, Pietro e Paolo rappresenta insieme al Crocifisso di San Miniato il decisivo passaggio di D. nell'ambito del rinnovamento culturale operato da Giotto, puntualmente, anche se lentamente, registrato dal pittore lucchese e rispecchiato in versioni garbatamente riduttive. Esso è tanto più significativo nel Crocifisso, che pure mostra ancora certe legnosità residue e schematismi formali.
La serie delle opere eseguite da D. in Pisa e dintorni sembra arrestarsi all'inizio del secolo. Al 1308 appartiene il pannello, frammento di un dossale simile a quello pisano, raffigurante la Madonna che tiene una rosa con il Bambino, già nella collezione Hurd di New York, di cui ignoriamo l'originaria provenienza, che testimonia, pur nel percorso artistico sostanzialmente monocorde di D., un ulteriore sensibile arricchimento in senso fiorentino-senese.
Il Garrison (1951) ha letto 1314 la data presente sotto il perduto mosaico raffigurante la Madonna a mezzo busto con il Bambino e due angeli, un tempo nella lunetta sopra il portale d'ingresso al transetto settentrionale del duomo di Lucca, sostituito da un bassorilievo nel 1786. Il disegno tratto dal mosaico è oggi conservato nell'Opera del duomo e ripete in basso la firma e, parzialmente, la data. Ad un perduto Crocifisso appartiene il S. Giovanni oggi nello Städelsches Kunst. Institut di Francoforte, dal Garrison (1949) riferito al secondo decennio del secolo, per qualità non lontano dai due pannelli con sei Storie del Battista, conservati negli Staatliche Museen di Berlino, nella minuzia e nella varietà degli ornati di squisito effetto decorativo, qualità quest'ultima costantemente presente e segno caratterizzante nell'opera di D. sin dal Crocifisso del 1288 e dalla Madonna pisana.
All'ultimo periodo di attività di D., presumibilmente al terzo decennio del Trecento, appartengono la Madonna a mezza figura nella Pinacoteca di Lucca e la Madonna in trono con il Bambino, oggi al Louvre, ormai triste e riduttivo tentativo di adesione alla nuova poetica giottesca.
Il Garrison (1951) gli riferisce inoltre una piccola tavola raffigurante la Madonna in trono con il Bambinoe un santovescovo che presenta un frate donatore, in collezione privata italiana, dallo studioso datata intorno al 1330.
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