DEMOSTENE (Δημοσϑένης, Demosthĕnes)
Celebre oratore e uomo di stato ateniese (384-322 a. C.).
Una statua di D. fu innalzata ad opera degli Ateniesi nell'Agorà presso l'ara dei dodici dèi circa il 280 a. C. (Paus., i, 8, 3-4; Plut., X orat. vitae, Demosth., 44, ed Dübner) e cioè 42 anni dopo la morte di lui; sembra che la statua fosse opera di Polyeuktos, scultore non altrimenti noto; a meno che il suo nome non sia confuso, come sembra, con quello dell'arconte del 275-74 fortemente corrotto nel testo (A. Hekler, in Arch. Anz., 1942, p. 47). Secondo Plutarco, D. era rappresentato stante con le mani intrecciate (X orat. vitae, Demosth., 31); altri ritratti di D. esistevano nella casa di M. Bruto (Cic., Orat., 110), a Pergamo in età adrianea (Phryn., p. 421), a Costantinopoli (Christod., Ekphr., 23), ma evidentemente l'archetipo della statua ateniese ha prevalso in modo assoluto se le repliche esistenti si riportano a quello. Una quarantina di copie della testa e due dell'intera statua documentano ampiamente la fortuna di questo originale; il quale ben corrisponde a quanto Plutarco ci dice dell'espressione di D.: austerità unita a profondità di pensiero (Comp. Dem. et Cic., 1). Questa concentrazione, che si esprime entro un ritmo geometrico chiuso ben visibile nelle due copie complete del Braccio Nuovo dei Musei Vaticani, la più celebre, e della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen (già a Knole nel Kent) costituisce un punto fondamentale nella storia del ritratto greco della prima età ellenistica. L'identificazione del ritratto si fonda su di un busto bronzeo ercolanese di Napoli con iscrizione, che sembra tuttavia risalire ad un archetipo posteriore a quello del 280; un busto del Louvre ci presenta D. più giovane, una testa marmorea di Copenaghen ha la chioma lievemente più mossa del solito, l'erma di Monaco è di alta qualità stilistica, ma forse la replica più vicina all'originale è la testa marmorea, di provenienza asiatica, ora all'Ashmolean Museum di Oxford, che conserva genuini i caratteri della scultura degli inizi del III sec. a. C. Una statuetta bronzea sembra che provenga da Ankara e che sia di ottima origine, nonostante qualche dubbio formulato in proposito. Di scarsa qualità sono i ritratti a rilievo, uno su clipeo conservato a Villa Doria a Roma, uno su placca argentea a Berlino, ed uno su ametista firmata da Dioskourides (v.). Per le altre repliche di D., cfr. Felletti-Maj, I ritratti, Mus. Naz. Rom., p. 19, n. 18. L'importanza dell'archetipo delle repliche principali, sia o no da attribuire a Polyeuktos, sta nella sintesi delle singole parti del volto e della figura, ottenuta con assoluta semplicità in una forma chiusa; a questo originale G. Krahmer ha riferito tutta una serie di ritratti che appartengono appunto allo stesso indirizzo stilistico e che si collocano nel primo ellenismo.
Monumenti considerati. - Busto di Napoli: J. J. Bernoulli, Griech. Ik., ii, tav. xii; busto del Louvre: Clarac, 1078; erma di Monaco: Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts, tavv. 136-137; testa marmorea dell'Ashmolean Museum: S. Casson, in Journ. Hell. Stud., xlvi, 1926, p. 72 ss.; sulla statuetta bronzea da Ankara, v. op. cit., p. 78; statua e testa a Copenaghen: V. Poulsen, Les Portraits grecs (Publications de la Glyptothèque Ny Carlsberg, n. 5), Copenaghen 1954, p. 55, n. 27, tav. xix-xxi, e p. 56, n. 28, tav. xxii; gemma di Dioskourides (coll. privata): A. Furtwängler, Gemmen, Monaco 1900, tav. xlix, 7; G. M. A. Richter, Three Critical Periods, Oxford 1951, fig. 125; id., Cat. Engraved Gems (Metrop. Mus. New York), Roma 1956, p. xxxviii.
Bibl.: J. J. Bernoulli, Griech. Ik., II, pp. 66-84; G. Krahmer, in Röm. Mitt., XXXVIII-XXXIX, 1923-1924, p. 138 ss.; Arndt-Bruckmann, Gr. u. röm. Portr., nn. 1111-1120; E. G. Suhr, Sculptured Portr. Gr. Statesmen, Baltimora 1931, pp. 38-45; L. Laurenzi, Ritratti greci, Firenze 1941, p. 114; K. Schefold, Die Bildnisse der ant. Dichter, Redner u. Denker, Basilea 1943, pp. 106-107, 208; B. M. Felletti Maj, I ritratti (Mus. Naz. Rom.), Roma 1953, p. 19, n. 18; H. Koch, in Festschrift f. Fr. Zucker, Berlino 1956, p. 219 ss.