DEMONI e SPIRITI
. In una concezione primitiva l'idea di spirito (dal lat. spiritus; gr. πνεῦμα; ebr. ruaḥ, propriamente "soffio" o "fiato") appartiene a un modo primitivo di concepire la natura, l'animismo (v.), secondo il quale tutte le cose vivono, dotate di un'anima come noi, e tutti gli effetti, di cui non si veda apertamente la causa, sono prodotti da spiriti o anime, come quelle dei defunti, vaganti all'intorno. Allorché a questa idea, puramente esplicativa, si è aggiunta quella di forza straordinaria e misteriosa, atta a ingenerare nell'animo un sacro timore, gli spiriti che la posseggono sono entrati nel campo della religione in qualità di "demoni" i (dal gr. δαίμων, d'incerta etimologia, ma nell'uso omerico, Il., III, 420, sinonimo di ϑεός, forse con riguardo, come nel lat. numen, più alla forza che alla personalità). A questa concezione polidemonistica o d'una massa confusa di spiriti, senza una determinata personalità e nome proprio, sta di contro una concezione politeistica, di un numero ristretto di dei, con carattere e nome proprio, più che i demoni distanti dall'uomo in qualità e potenza, talvolta (per es., presso i Greci) più a lui vicini nelle forme esteriori e nel modo di sentire e di agire; e, quando la seconda concezione prevalse (secondo Erodoto, II, 53 furono Omero ed Esiodo a dare nomi e attributi agli dei greci) gli spiriti e i demoni sono rimasti accanto agli dei, come esseri intermedî tra loro e l'uomo.
I demoni sono dunque in questo modo di vedere indipendenti dagli dei, anzi storicamente sono forse a loro anteriori. Ma presso altri popoli, come i Semiti, furono concepiti come procreati dagli dei in proprio servizio; così, presso i Babilonesi gli utukku divisi in cinque classi di sette demoni ciascuna, sono figli di Anu o di Ea o di altri dei; di quelli delle strade è sorella Lamashtu. Molti sono di origine umana, e cioè le anime dei defunti, che invece di discendere nell'Ade, siano rimaste sopra terra, con particolare potestà di giovare o nuocere agli uomini. Tali, le anime degli eroi, protettori d'un popolo o d'una città, che si credeva dimorassero accanto alla loro sepoltura, spesso sotto la forma d'un serpe (v. eroe).
Presso quasi tutti i popoli, le anime degl'insepolti e dei morti avanti tempo sono condannate a vagar sopra terra, fastidiose ai vivi, ma in ispecie a coloro per colpa dei quali è stata loro troncata la vita o negata la sepoltura. Presso i Greci, le Erinni in origine erano appunto le anime degli uccisi desiderose di vendicarsi dell'uccisore, e poi divennero furie infernali (ποιναί), che, vindici della giustizia, vengono in terra a punire soprattutto il parricidio e lo spergiuro; così pure la muta dei cani, che con a capo Ecate, anch'essa in forma canina, trascorre la terra e spaura nella notte i viandanti, era formata dalle anime degl'insepolti e degli uccisi.
Generalmente gli spiriti sono invisibili, ma non per questo assolutamente privi di corpo. Talvolta essi vivono congiunti a una pietra, a una fonte, a un albero o a qualsiasi altro oggetto della natura; il più delle volte sono liberi, avendo un corpo formato da una materia molto sottile, come l'aria (conformemente al loro nome di "spiriti"), il vapore, il fuoco, la luce e viceversa la tenebra. Quando si mostrano, prendono le forme più bizzarre, spesso indeterminate e confuse, come la loro natura. Ora sono giganti e ora nani, ora corpulenti e ora magri. In Egitto avevano figura di animali fantastici, presso i Babilonesi di uomini con testa di animale, o pantera o leone o becco o cane o uccello o serpe, come si può vedere nel famoso bassorilievo o amuleto di Lamashtu; questa ha il corpo di uomo, la testa di leone, le gambe di uccello di rapina, con in mano due serpenti e attaccati al petto un cane e un porco. I se‛irīm degli Ebrei avevano forma di capri, come i satiri dei Greci. Quanto alla dimora dei demoni, essi sono dappertutto e riempiono della loro presenza gli elementi: soprattutto volano per l'aria, ma guizzano anche nell'acqua e perfino vivono in mezzo al fuoco. Sulla terra preferiscono i luoghi lontani dall'abitato e dalle coltivazioni; in fondo alle valli o in cima alle alte montagne, nel folto delle foreste o nelle arene dei deserti (cfr. Isaia, XXXIV, 14 e Matteo, IV,1; XII, 43). In tempi posteriori fu dato ai demoni per dimora l'inferno, che in principio, presso tutte le genti, accoglieva indistintamente tutte le anime buone e cattive, ma poi fu diviso in due sezioni, l'una dei buoni e l'altra dei cattivi tormentati dai demoni.
Con l'uomo i demoni possono avere relazioni tanto malefiche quanto benefiche; le stesse Erinni, presso i Greci, esercitavano talora un'azione benefica verso l'uomo, onde prendevano anche il nome di Eumenidi. Ma il più delle volte i demoni sono invidiosi dell'uomo e cercano in tutte le maniere di nuocergli: nel cielo fanno oscurare il sole e la luna; nell'aria producono le burrasche, nel mare sollevano le tempeste, in terra sono causa delle inondazioni, dei terremoti, della siccità e della carestia. Ma soprattutto le malattie - quindi anche la morte - sia degli uomini, sia degli animali (in specie la pazzia, l'epilessia, il letargo, il sonnambulismo) sono opera loro. Gli utukku dei Babilonesi hanno ciascuno una parte speciale del corpo umano da tormentare; ma anche presso gli altri popoli si può dire che ciascuna malattia ha il suo demone speciale, da cui è prodotta, o meglio personificata. E ai mali fisici si debbono aggiungere i morali; discordie, guerre, furti, ecc. e in specie l'interno eccitamento al male. La somma delle disgrazie si ha quando uno o più spiriti prendono stanza nel corpo d'un individuo per ossessione (cfr. Luca, VIII, 27 e 30): allora gli tolgono ogni libertà d'azione, lo fanno pensare, sentire e agire come essi vogliono.
L'esistenza dei demoni ha servito non solo a spiegare molti fatti fisici, ma anche a risolvere il problema dell'origine del male. Nello stadio polidemonistico il problema era risolto dividendo gli spiriti in buoni e cattivi. Ma nelle religioni politeistiche in generale il bene e il male è stato diviso tra gli dei e i demoni: buoni i primi, cattivi i secondi: da qui una lotta continua tra gli uni e gli altri. Essa era soprattutto viva nelle credenze dell'Egitto e della Babilonia, ma in tutti i culti l'idea d'una effettiva opposizione è sempre rimasta: ritualmente impuro, in orrore agli dei, era tutto ciò che aveva qualsiasi relazione coi demoni.,
In Grecia la credenza nei demoni passò dalla religione nella filosofia, specie nella stoica e neoplatonica, che ammisero i demoni a far parte normale dell'universo, come esseri razionali intermedî tra gli dei e gli uomini; lo stesso Platone diceva: πᾶν τὸ δαιμόνιον μεταξύ ἐστι ϑεοῦ τε καὶ ϑνητοῦ (Symp., 23, p. 202 E).
Anche le religioni monoteistiche hanno accolto la demonologia, nel modo e misura che essa si può conciliare con l'idea di un unico Dio. Così il mazdeismo ha ammesso una grande massa di demoni, tra i quali ha relegato anche gli dei adorati dagl'Irani prima di Zarathustra, e ha concepito il mondo come lotta perpetua fra lo spirito del bene e quello del male, ciascuno a capo d'un esercito di spiriti minori, buoni o cattivi; lotta che alla fine del mondo dovrà ricomporsi in una perfetta unità, con la distruzione delle forze del male.
Nell'antico ebraismo Jahvè è la causa diretta sia del bene sia del male. È un fatto che il jahvismo nell'epoca più antica appare immune, come dal culto dei morti, così dalla credenza nei demoni e dalle pratiche della magia; ma poi si cominciò a distaccare la causa del male da Jahvè medesimo e ad attribuirla, prima a un suo mandatario o al suo angelo (Esodo, IV, 24, secondo i LXX; Osea, XII, 4 seg., cfr. Genesi, XXXII, 25 segg.; Esodo, XII, 23), poi in generale agli angeli, e finalmente ai demoni, come categoria distinta e avversa a quella degli angeli, sebbene soggetta ai voleri di Jahvè.
È assai probabile però che nel volgo ebraico fin dai tempi più antichi fosse viva, come negli altri popoli, la credenza negli spiriti demoniaci, come dimostra la tradizione posteriore, che conosce gli Shedīm (cfr. il babilonese Shêdû), divenuto poi nome generico dei demoni (Deuteron., XXXII, 17; Salmo Cv, 37), i Se‛irīm, una specie di satiri (Isaia, XIII, 21; XXXIV, 14) ‛Azazel un demone del deserto (Levitico, XVI, 8), Lilitti (cfr. il babil. Lilîtu), lo spettro notturno femminile che soprattutto insidiava la vita dei piccoli (Isaia, XXXIV, 14), secondo alcuni anche ‛Alūqah, un vampiro demoniaco, reso dai LXX con βδέλλη e da Girolamo con "sanguisuga" (Proverbî, XXX, 15).
Queste antiche credenze popolari ripresero vigore e si diffusero largamente dopo l'esilio, risalendo negli strati superiori del tardo giudaismo, come dimostrano la letteratura apocrifa apocalittica (I e II Enoch, Giubilei, Testamento dei XII Patriarchi; ne tacciono invece i Salmi di Salomone, l'Assunzione di Mosè, il IV Esdra e II Baruch), la letteratura talmudica e indirettamente il Nuovo Testamento. Ma, diversamente da quanto avviene presso altri popoli, i demoni sono spiriti soltanto cattivi; e forse a far risaltare questa differenza, dietro l'esempio dei LXX, i giudei parlanti greco (e dietro a loro i cristiani) li hanno chiamati col nome neutro, più raro in greco, di δαιμόνια ("demonî"), il quale, meglio del maschile δαίμονες, indica in loro la mancanza di una personalità spirituale, ond'essi soprattutto si distinguono da Dio. I demonî dunque si contrappongono agli angeli, dai quali però in parte derivano, in quanto sarebbero angeli ribellatisi a Dio e perciò cacciati dal cielo (cfr. I Pietro, III, 19; II Pietro II, 4; Giuda, 6). Essi formano un regno organizzato del male, sotto la guida di un principe, che comunemente si dice Satana (v.).; più di raro, 'Azazel (I Henoch, VI, 7; VIII,1; IX, 6, ecc.), Semjaza (I Hen., VI, 3,7; IX, 7, ecc.), Sammael (nell'Ascensione di Isaia), Mastema (forse corruzione etiopica del nome Satan), Belzebub. Un dualismo, dunque, tra il regno di Dio circondato dai suoi angeli e il regno di un antidio, qualunque fosse il suo nome, circondato dai suoi demonî; non radicale però, perché si risolve in un monismo iniziale e finale (v. angelo).
Dal giudaismo la credenza nei demonî è passata largamente nel Nuovo Testamento. In Matteo, Satana viene chiamato "il cattivo" (XIII, 19,38; secondo molti critici, anche V, 37; VI, 13); presso Paolo egli è il dio di questo mondo (II Corinzi, IV, 4) e in Giovanni il "principe di questo mondo" (XII, 31; XIV, 30; XVI, 11; cfr. VIII, 44 e XIII, 2), che si oppone a Dio come le tenebre alla luce, la menzogna alla verità. Gesù presuppone evidentemente (Marco, III, 24) l'esistenza di un regno di Satana bene organizzato, e, ciò che più monta, concepisce il futuro regno di Dio come la fine del regno attuale del demonio, rallegrandosi che i suoi seguaci riuscissero a espellere i demonî (Matt., X, 8; Luca, X, 17, seg.) ascrivendo a loro poca fede l'insuccesso (Matt., XVII, 20). Le dottrine dominanti sui demonî nel cristianesimo antico sono largamente esposte e naturalmente condivise dai principali scrittori: Tertulliano (Apologeticus, 23;24;27;37), Minucio Felice (Octavms, 27), Taziano (Ad Graecos, 7,18), Origene (Contra Celsum, I), ecc.
Tutta la storia cristiana del resto ci attesta largamente il persistere della credenza nei demonî e nell'efficacia della fede per combatterli (cfr. Erma, Past., Mand. VII, 2), come pure nell'efficacia dei riti esteriori, specie degli esorcismi, che diventarono fin dal sec. II un'istituzione ufficiale e permanente. E sebbene, col progredire delle scienze naturali, un numero sempre più grande di fenomeni nocivi all'uomo sia stato, anziché all'azione dei demonî, attribuito alle forze necessariamente operanti della natura, tuttavia è rimasto sempre un campo, sia pur ristretto, in cui si crede ancora alla presenza del demonio e alla sua opera nefasta, che si rivela nelle infestazioni diaboliche di alcuni luoghi, nelle ossessioni di alcune persone, ciò che spiega il valore sempre vivo degli esorcismi.
Bibl.: F. Rohde, Psuyche, 8ª ed., Tubinga 1921; A. Dieterich, Nekya, 2ª edizione, Lipsia 1913; H. Tambornino, De antiquorum daemonismo, Giessen 1909; J. Weiss, Dämonen und Dämonisches, in Realencyclop. f. Prot. Theol., IV, p. 408 segg.; P. Volz, Das Dämonische in Jahvè, Tubinga 1924; H. Duhm, Die bösen Geister im A. T., 1904; W. Bousset, Die Religion des Judentums, 3ª ed. a cura di H. Gressmann, Tubinga 1926; F. C. Conybeare, Christian Demonology, in Jewish Quart. Review, VIII e IX (1896-97); H. Weinel, Die Wirkungen des Geistes u. der Geister, Friburgo in B. 1899; M. Dibelius, Die Geisterewlt in Glauben des Paulus, Gottinga 1909; J. Smit, De daemoniciacis in historia evangelica, Roma 1913; P. Tillich, Das Dämonische, Tubinga 1926; Mangenot, Demon, in Dictionnaire de theologie catholique; H. Kaupel, Die Dämonen im Alten Testament, Augusta 1930.