DEMETRIO I di Macedonia, detto Poliorcete (Δημέτριος ὁ Πολιρκητής, Demetrius Poliorcētes)
Figlio di Antigono Monoftalmo (v.) e di Stratonice, nato intorno al 336 a. C., operò sino alla battaglia di Ipso (301 a. C.) in strettissima unione con suo padre, sicché è impossibile scindere l'opera dei due. Entrambi cercarono di mantenere fermo, a loro vantaggio, il principio dell'unità di Alessandro contro la volontà d'indipendenza e di equilibrio reciproco che guidò gli altri satrapi. D., specialmente, si prodigò in quest'opera con straordinario coraggio personale e con particolare valentia strategica, tanto da guadagnarsi il soprannome di Πολιηρκητής (assediatore) per la tecnica raffinata nel condurre gli assedî con macchine fino allora non usate. Ma il tentativo di D. e di suo padre dimostrava già il suo vizio fondamentale in ciò che, nemmeno nell'ambito del loro stato, essi riuscirono ad attuare l'unità, perché prima di fatto e poi di diritto D. e Antigono regnarono l'uno accanto all'altro, il primo limitando la sua sfera d'azione all'Europa, e in particolare alla Grecia, il secondo all'Asia; e le sorti delle due parti di questa diarchia furono indipendenti l'una dall'altra. Mancò ai due condottieri la possibilità di sollevare le forze che avevano interesse a opporsi al particolarismo dei singoli stati che si venivano formando e ai sistemi di sfruttamento, di barriere economiche, di guerre e guerriglie continue che li caratterizzavano; perché l'elemento greco-macedone, richiamato verso le nuove terre aperte all'espansione, non desiderava altro che questi sistemi e queste barriere, e l'elemento indigeno desiderava sì che avessero fine, ma, con loro, le ingerenze straniere. L'unica forza a cui D. poté facilmente rivolgersi fu la tradizione dell'indipendenza civica in Grecia, ma fu forza in definitiva scatenata contro sé stesso, perché opposta a ogni stato unitario: D. appunto ne fece esperienza dopo Ipso. L'azione militare di D. e Antigono, non potendosi accompagnare con un'efficace azione politica che la giustificasse si risolse quindi in un tentativo di sopraffazione armata sugli altri satrapi, che, favorito dai dissensi di questi, non poté tuttavia resistere alla coalizione infine costituitasi. Senza stare a ripetere tutte le imprese di Antigono, ricorderemo i principali fatti a cui D. partecipò. Nel 317-16 appare per la prima volta come ufficiale in sottordine nella guerra contro Eumene; nel 312 comandava l'esercito che fu sconfitto a Gaza, con il risultato di lasciare in mano a Tolomeo la Celesiria e a Seleuco la Babilonide. D. rioccupò con mossa audace quest'ultima, ma fu costretto ad abbandonarla subito dopo. Nel 307 egli comparve improvvisamente davanti ad Atene con una grande flotta e fece proclamare da un araldo la liberazione di Atene. Il risultato fu immediato. Demetrio di Falero (v.) fu costretto ad abbandonare la città e D., occupata con la forza Munichia, la cittadella, poteva fare un ingresso trionfale in Atene, dove ebbe, insieme con suo padre, onori divini, quale "dio salvatore" e si vide intitolata una nuova file, Demetriade, mentre un'altra prendeva il nome di Antigonide. D. instaurava ad Atene la democrazia più sfrenata, capeggiata da Stratocle, e le restituiva Lemno e Imbro, fornendo inoltre il materiale per la ricostituzione della flotta ateniese distrutta a Lemno nel 314. Ottenuto quindi l'aiuto di questa flotta medesima, nel 306 D. si rivolgeva contro Cipro e assediava in Salamina il generale di Tolomeo Leonida, dimostrando per la prima volta la sua abilità di assediatore; senza peraltro ottenere rapido successo, ché Tolomeo poté correre in aiuto con una grande flotta di 160 navi, quasi uguale a quella di D. Nel combattimento, quest'ultimo riuscì trionfatore e catturò 100 navi nemiche. In conseguenza di questa battaglia Antigono prese per sé e per suo figlio ufficialmente il titolo di re, compiendo l'ultima mossa decisiva per rivendicare il diritto di successione al trono di Alessandro: mossa prontamente controbattuta dagli altri satrapi con l'assunzione di eguale titolo. Fallito il tentativo di occupare l'Egitto, D. nel 305 assediò inutilmente Rodi, che costituiva il massimo collegamento tra la Grecia e l'Egitto, ma fu richiamato in Grecia dalla vigorosa riscossa di Cassandro (v.), che era giunto ad assediare Atene. In uno sforzo continuo di più di due anni D. riuscì a liberare la Grecia al sud delle Termopile dal dominio macedonico, così da poter convocare nella primavera del 302 sull'Istmo di Corinto i delegati delle città greche per ricostruire la Lega già fondata da Filippo II. Una parte dello statuto della Lega che giurava fedeltà alla casa di Antigono, ci è nota per via epigrafica. Intanto egli che, giovanissimo, forse prima del 319, aveva sposato Fila, la figlia di Antipatro, e poi (per la poligamia lecita alla corte di Macedonia) aveva sposato Euridice, vedova d'Ofella, sposò nel 303 Deidamia, la quale gli portava l'alleanza del fratello Pirro, re dell'Epiro. Così poteva accingersi alla spedizione, che sarebbe dovuta essere risolutiva, contro la Macedonia, quando Antigono, assalito da tre parti, lo chiamò in Asia. D. perciò dovette fare dei preliminari di pace con Cassandro, riconoscendone la sovranità sulla Macedonia. A Ipso (agosto 301) D. partecipò alla battaglia e non solo non riuscì ad evitare la sorte che incombeva sul padre, ma, a quanto pare, la affrettò, lasciandosi trascinare all'inseguimento della cavalleria nemica in fuga e scoprendo così le spalle.
Con la morte di Antigono a Ipso veniva ormai meno ogni possibilità concreta di riprendere il sogno della ricostituzione dell'impero. Invasi dai coalizzati i più dei possessi di Antigono in Asia, non restavano a D. che la Grecia e alcune città, come Efeso, Mileto, Sidone e Tiro. Gli restava inoltre, ed era la sua forza, la flotta più potente del mondo ellenistico, mantenuta per mezzo dei tesori conservati in sua mano. Tale flotta, mentre non gli avrebbe mai permesso la riconquista dell'Asia, gli concedeva di sorvegliare da vicino la Grecia, nella continua minaccia di tagliarle i rifornimenti, soprattutto del grano. E difatti questa sorveglianza era indispensabile, perché, appena avvenuta la battaglia di Ipso, la coatta lega delle città greche si dissolveva, insorgendo anzi contro D. Cominciava Atene, proclamandosi indipendente e neutrale; seguivano la Beozia, la Focide, l'Eubea, Argo, ecc., stringendosi intorno a Cassandro. La situazione pareva, ma non era, disperata per D. Insediatosi nel Chersoneso Tracico, egli mandava in Grecia Pirro, che aveva perduto il suo regno, per salvare il salvabile dei possessi e intanto trattava con Seleuco, approfittando dei dissensi sorti tra lui e Tolomeo per il possesso della Celesiria. L'alleanza con Seleuco fu infatti conclusa e ne fu pegno il matrimonio di lui con Stratonice, figlia di D. e di Fila, che per l'occasione vediamo ricomparire, non senza un significato politico, perché D. giustificherà le pretese sulla Macedonia per mezzo della sua parentela con Antipatro. La stessa alleanza con Seleuco indicava appunto che ormai D. aveva rinunciato alla riconquista dell'Asia e pensava alla Grecia e alla Macedonia: due termini indissolubilmente connessi nel programma di D., perché, se era possibile tenere la Macedonia senza la Grecia, non era possibile, date le tendenze autonomistiche dei Greci, tenere durevolmente la Grecia senza la Macedonia. Un avvenimento impreveduto agevolava l'adempimento di questo programma: la morte a poca distanza di tempo di Cassandro (298-7) e del figlio primogenito Filippo; sicché il regno di Macedonia rimaneva nelle mani dei due più giovani figli, Antipatro e Alessandro, inesperti e in discordia tra loro. Il primo effetto era intanto che la Macedonia cessava di appoggiare fortemente le città ribelli a D., il quale poteva dunque riprendere con rinnovato vigore la sua opera di repressione. Atene, dopo un tentativo di neutralità, aveva dovuto appoggiarsi a Lisimaco e a Cassandro, il quale ultimo impose su Atene un oligarchico, Caria. Ma Caria venne abbattuto da Lacare, puntante sulle forze democratiche moderate. Tuttavia Lacare stesso fu costretto a piegare verso la Macedonia e verso le classi possidenti, cioè oligarchiche, quando il pericolo di D. - che era anche pericolo di democrazia sfrenata - ridivenne imminente: senza scrupoli, annichilì i suoi antichi compagni con un cruento colpo di stato nel 295, instaurando la tirannide. E D., riprendendo il giuoco fatto con Demetrio di Falero, poté presentarsi come nemico della tirannide. Un primo assalto ad Atene fallì per una tempesta; ma un secondo, all'inizio del 294, invano ostacolato dalla flotta egiziana, diede la città in mano di D. Ancora una volta la democrazia estrema vi veniva instaurata, ma per poco, ché il contrasto tra gli interessi di D. e quelli della democrazia ateniese si faceva sempre più stridente. D. finì con l'accorgersi che la salda base del suo dominio stava negli oligarchici e nel 292-i richiamò quelli che stavano in esilio dal 307. Il suo ricupero della Grecia era intanto assai progredito; e già nel 294 aveva riconquistato pressoché tutta la Laconia e stava stringendo da vicino Sparta, quando un fatto nuovo lo spinse a sgomberare rapidamente la Laconia medesima. Le fonti antiche vogliono che il fatto nuovo fosse la rovina degli ultimi possessi asiatici, occupati in quel periodo da Lisimaco, Tolomeo e Seleuco, il quale ultimo, vista la potenza del suo alleato crescere pericolosamente, aveva finito con l'abbandonarlo e collaborare alla spartizione. Lisimaco occupò Efeso, Mileto e le altre piazzeforti vicine; Tolomeo s' insediò a Cipro nelle città fenicie; Seleuco invase la Cilicia. Ma non c'era nessuna ragione che D. sgomberasse la Laconia in seguito alle perdite irreparabili d'Asia. dove infatti egli non intervenne; in realtà egli fu richiamato dagli ultimi avvenimenti della Macedonia. Il regno sarebbe qui toccato ad Antipatro, più anziano di Alessandro, ma la madre Tessalonica aveva voluto la divisione del regno, attribuendo ad Antipatro la parte orientale e ad Alessandro la parte occidentale della Macedonia con la Tessaglia: il confine era probabilmente costituito dal fiume Assio. Antipatro non solo non si era rassegnato e aveva mosso guerra, con l'appoggio di Lisimaco, al fratello, ma aveva fatto assassinare la madre. Alessandro allora si era rivolto all'aiuto di Pirro, che aveva ricuperato l'Epiro, e di D. Il quale, trattenuto in Grecia, non volle o non poté intervenire subito e lasciò che Pirro consolidasse la posizione di Alessandro facendo confermare in un trattato con Lisimaco la divisione del regno. Poi, quando il conflitto si poteva ritenere chiuso, invase improvvisamente la Macedonia, accolse presso di sé Alessandro solo per farlo assassinare, e si fece proclamare con rapidità inaudita re della Macedonia (294 a. C.). Antipatro non poté resistergli e dovette rifugiarsi presso Lisimaco. Il piano di D. sembrava ormai attuato, tanto più che in quel periodo anche la Focide e la Beozia, ribellatesi dopo Ipso, erano ricondotte all'obbedienza. D. celebrò il suo trionfo fondando la nuova capitale, Demetriade, in Tessaglia nel golfo di Pagase.
L'avventuriero fortunato e audace doveva ora trasformarsi nel politico capace di dare una salda base alle sue conquiste. Ma quale era effettivamente il programma di D. al difuori dell'ambizione personale? Un'interpretazione esteriore, che giudicasse solo dalla misera fine delle imprese di D., dovrebbe soltanto riconoscergli l'abilità di sapersi sollevare contro, per l'irrequieta attività, le forze più disparate. La Macedonia anzitutto, che, abituata a una monarchia patriarcale, di un re primo tra i pari, si vedeva imposta una monarchia orientale, che inoltre le toglieva quella posizione di privilegio e di predominio sulla Grecia fino allora mantenuta; la Grecia poi, in cui D. aveva in un primo tempo provocato il rinsaldarsi delle democrazie e ora si doveva volgere verso le oligarchie, scontentando le une e le altre; Pirro infine, che si accorgeva d'avere aiutato un pericoloso vicino. Il segno più sintomatico fu a questo proposito il quarto matrimonio di D., quando almeno la prima moglie era ancora viva. Lanassa, figlia di Agatocle (v.), si era separata dal marito Pirro, rinchiudendosi nel suo possesso dotale di Corcira e aveva invocato l'aiuto di D. (292 circa a. C.). Il quale non solo accorse, ma finì con lo sposare Lanassa, non senza che un trattato d'alleanza con Agatocle venisse a rendere evidente il carattere politico del matrimonio. Eppure, da tutti questi fatti e più dall'ultimo, sorge chiaro il programma di D., che poté essere ripreso con maggiore fortuna dal figlio suo e di Fila, Antigono Gonata (v.). Programma, tuttavia, che in D. fu sempre contrastato dal non aver mai definitivamente rinunciato all'Asia. Il programma era di stringere in forte stato unitario Macedonia e Grecia, il quale assicurasse entrambe dall'egemonia delle monarchie dell'Oriente ellenistico, e soprattutto dei Tolomei, che nella penisola ellenica avevano il principale sbocco della loro abbondante esportazione: per questo programma D. non voleva imporre un dominio macedonico sulla Grecia, né (sarebbe stato del resto impossibile) un dominio opposto. A questo scopo cercò perfino una capitale fuori della Macedonia e della Grecia propria; a questo scopo ancora, era pronto ad aiutare qualsiasi partito greco che lo appoggiasse. L'ultimo suo grande piano fu appunto l'alleanza con Agatocle, che, se duratura, avrebbe contrapposto il fascio delle forze dell'ellenismo occidentale a quelle dell'ellenismo orientale, con incalcolabili conseguenze. E non era impossibile che D. succedesse ad Agatocle stesso, se questi non fosse morto subito dopo, ancora nel 289, prima che il piano avesse avuto il minimo concretamento. Allora il trattato divenne inutile, e invece la rottura con Pirro rimase insanabile. D., nello stesso 289, tentò d'invadere l'Epiro, alleatosi con l'unica parte della Grecia ancora libera, l'Etolia, ma venne clamorosamente sconfitto da Pirro. Due anni prima aveva con altrettanto insuccesso cercato d'impadronirsi della Tracia, in un momento in cui Lisimaco era caduto prigioniero dei barbari. E se in Grecia - sottomessa una seconda volta la Beozia nuovamente ribellatasi (292) - la tranquillità sembrava profonda, tanto che D. poteva festeggiare nel 290 le Pitiche in Atene invece che in Delfi occupata dagli Etoli, e si udiva glorificare con il celebre inno conservatoci da Ateneo (VI, 253), già si preparavano le prime resistenze. È di quegli anni il decreto ateniese di non tollerare ingerenze ulteriori del re nelle cose della citta: decreto naturalmente abolito, appena approvato. Tutti questi malcontenti conversero, quando, intorno al 288, D. diede i primi chiari indizî di star preparando una spedizione in Asia. Lo scopo immediato era di prevenire l'inevitabile aggressione di quegli stati, che avevano ogni interesse a impedire la formazione di un forte stato unitario nella penisola ellenica. Ma risorgeva implicito il vecchio sogno di sottomettere l'Asia alla Macedonia, che era poi anche per D. vendicare suo padre e le umiliazioni da lui stesso subite. E fu sogno rovinoso, perché fece oltrepassare a D. i limiti del piano difensivo e provocò, prima che l'impresa fosse iniziata, l'unione dei suoi nemici al disopra delle loro discordie intestine.
Subito si formò infatti la coalizione fra Tolomeo, Lisimaco, Seleuco e Pirro. E appena Lisimaco e Pirro invasero la Macedonia, lo sfasciamento del regno di D. si effettuò di colpo con il passaggio al nemico dell'esercito macedone. D. fu costretto a fuggire in Grecia mentre la prima moglie, Fila, si uccise. Ma anche la Grecia era già in parte ribelle. Alla testa degl'insorti stava, al solito, Atene sotto la guida di un vecchio generale democratico, Olimpiodoro. Invano D. tentò di assediare Atene, perché Pirro le corse in aiuto e costrinse D. a una pace, secondo cui D. rinunciava alla Macedonia e ad Atene, conservando il resto della Grecia. Il regno di Macedonia fu diviso tra Pirro e Lisimaco, che fece assassinare Antipatro, il sovrano spodestato da D., per evitare legittimismi. Accordatosi con Pirro, D. credette di poter direttamente attaccare in Asia Minore Lisimaco, con il duplice risultato di dare un colpo mortale al suo più diretto avversario e di assicurarsi la base per la riconquista dell'Asia. Perciò lasciò il governo della Grecia ad Antigono Gonata. Egli sperava nel malcontento delle città greche d'Asia contro Lisimaco, e non a torto, perché alcune, come Mileto, gli apersero le porte. Ma bastò che il figlio di Lisimaco, Agatocle, sopraggiungesse con un forte esercito, perché il movimento di ribellione fosse senza altro arrestato. D., vista l'impossibilità di agire in Asia Minore, invece di ritirarsi, concepì un altro audacissimo piano: d' invadere l'Armenia, di penetrare poi in Media e di lì prendere alle spalle Seleuco. Ma l'esercito, decimato e stanco (era, all'origine, di 10.000 uomini e fu senza dubbio accresciuto in Asia) non resse allo sforzo. D. dovette piegare in Cilicia, dove fu bloccato da Seleuco, del quale tentò invano di evitare le ostilità. In un ultimo conato, egli fuggì con pochi fidi verso Cauno, con la speranza di trovare la sua flotta. Le stesse difficoltà della fuga lo costrinsero dopo cinque giorni ad arrendersi a Seleuco, il quale contro le abitudini del tempo non lo uccise, ma naturalmente non accettò di liberarlo, prendendo invece in pegno il figlio Antigono (286-5). D. rimase prigioniero fino alla morte avvenuta tre anni dopo, lasciando al figlio una base in Grecia, che per quanto precaria, gli poteva permettere di ricostituire un saldo stato, quando egli non si fosse lasciato attrarre dai disegni, così militarmente grandiosi come politicamente inconsistenti, che avevano minato l'opera audace del padre.
Fonti: Le principali fonti sono: Plutarco, Demetrio, che risale nella sostanza a Ieronimo di Cardia; Diodoro, XIX-XX, che contamina Ieronimo e Duride; Giustino, Epitome di Trogo Pompeo, XV-XVI, 2, che risale, attraverso a Timagene, probabilmente ancora a Ieronimo con tracce di Duride. Si veda anche Plutarco, Eumene. Le principali iscrizioni in Dittenberger, Sylloge inscr. graec., 3ª ed., I, m. 326-380 passim. La cronaca concernente Lacare in Oxyrhynchus Papyri, XVII, n. 2082.
Bibl.: G. Droysen, Histoire de l'hellénisme, trad. franc., II, Parigi 1884; B. Niese, Geschichte der griechischen und makedonischen Staaten, I, Gotha 1893, p. 258 segg.; G. De Sanctis, Contributi alla storia ateniese della guerra lamiaca alla cremonidea, in Studi di storia antica, II (1893), p. 21 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., Berlino e Lipsia 1925, IV, p. 82 segg. e IV, ii, 1927, p. 366 segg.; W.S. Ferguson, Hellenistic Athens, Londra 1911, p. 95 segg.; J. Kaerst, Geschichte des Hellenismus, II, 2ª ed., Lipsia e Berlino 1926, p. 1 segg. e in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2769 segg.; P. Treves, Dopo Ipso, in Rivista di Filologia classica, n. s., IX (1931); W. Tarn, in Cambridge Ancient History, VI (1927), p. 405 segg.; VII (1928), p. 75 segg. Si cfr. anche W. Tarn, Antigonos Gonatas, Oxford 1913; J. Kromayer, Alexander der Grosse und die hellenische Entwicklung in dem Jahrhundert nach seinem Tode, in Historische Zeitschrift, C (1908), p. 11 segg.; V. Costanzi, L'eredità politica di Alessandro Magno, in Annali delle Università toscane, n. s., VIII (1923), p. 261 segg.; R. Schubert, Die Quellen zur Geschichte der Diadochenzeit, Lipsia 1914.
Per questioni particolari: J. Beloch, Demetrias, in Klio, XI (1911), p. 442 segg.; Cary, A constitution of the United States of Greece, in Classical Quarterly, XVII (1923), p. 137 segg.; A. Wilhelm, Zu griechischen Inschriften und Papyri, in Anzeiger d. Akademie in Wien, 1922, p. 10 segg.; H. Swoboda, Die neuen Urkunden von Epidauros, in Hermes, LVII (1922), p. 518 segg.; W. Tarn, The constitutive act of Demetrius' League of 303, in Journal of Hellenic Studies, XLII (1922), p. 198 segg.; M.A. Levi, L'ordinamento di una federazione ellenica (303-02), in Atti Accademia di Torino, LIX (1923-24), p. 215 segg.; P. Roussel, Le renouvellement de la Ligue de Corinthe en 302 d'après une inscription d'Epidaure, in Revue archéologique, XVII (1923), p. 117 segg.; U. Wilcken, Über eine Inschrift aus dem Asklepieion von Epidaurus, in Sitzungsberichte der preussischen Akademie, 1922, p. 122 segg.; id., Zu der epidaurischen Bundesstele vom J. 302 v. Chr., ibid. 1927, p. 277 segg.; Larsen, Representative Government in the Panhellenic Leagues, in Classical Philology, XX (1925), p. 31 segg.; G. De Sanctis, Lacare, in Rivista di filologia classica, n. s., VI (1928), p. 53 segg.; W. S. Ferguson, Lachares and Demetrius Poliorcetes, in Classical Philology, XXIV (1929), p. 1 segg.; Scott, The deification of Demetrius Poliorcetes, in American Journal of Philology, XLIX (1928), pp. 137 segg. e 217 segg.; Newell, The coinage of Dem. Pol., Londra 1927; J. Kirchner, Die Zusammensetzung der Phylen Antigonis und Demetrias, in Rhein. Mus., XLVII (1892), p. 550 segg.; id., ibidem, LIX (1904), p. 294 segg.