GUAZZELLI, Demetrio (Pietro Demetrio)
Nacque a Petrognano, nella diocesi di Luni, intorno alla metà del XV secolo. Sulla famiglia non si hanno notizie, eccetto quanto si ricava da un atto della Cancelleria estense del 1487, che dà in vita a quella data cinque fratelli (Michele, Gaspare, Battista, Francesco, Benedetto) e la madre Domenica, mentre mancano riferimenti al padre. Ancora giovane il G. si stabilì a Roma, dove la sua presenza è testimoniata sin dal 1463: la bolla di Innocenzo VIII che il 25 febbr. 1487 gli concesse la cittadinanza romana parla di un suo soggiorno nella città perdurante da ventiquattro anni.
Il G. riuscì presto a mettersi in mostra e ad avere accesso agli ambienti più importanti della città. Nel 1467 era vicino al cardinale Francesco Gonzaga, nel cui seguito strinse un'amicizia, destinata a rivelarsi decisiva, con Bartolomeo Platina. Fu appunto il Platina a promuovere l'ammissione del G. nell'Accademia di Pomponio Leto, poco prima che sul circolo si addensassero i sospetti di Paolo II. Anche il G. patì il rovescio del febbraio 1468, quando le voci su un tentativo di assassinio del pontefice portarono alla reclusione di molti fra gli accademici. Identificato erroneamente da Calamari (pp. 336 ss.) con il Petreio che giocò un ruolo importante nella presunta congiura (la distinzione delle due figure è stata stabilita da Zabughin, pp. 333-337), il G. ne fu invece probabilmente estraneo e pagò con la reclusione la vicinanza al Leto e lo stretto rapporto con il Platina. Rimase rinchiuso per quasi un anno ma, poco dopo la scarcerazione, il 17 marzo 1469 ricevette per il suo sostentamento la somma di 3 fiorini d'oro su ordine dello stesso Paolo II (Le vite di Paolo II…, p. 154).
Negli anni successivi continuò il servizio all'ombra dei maggiori circoli cardinalizi, giovandosi soprattutto del clima diverso prodotto dall'elezione di Sisto IV. Forse si riferisce al G. una lettera del cardinale Iacopo Ammannati Piccolomini dell'autunno 1471, con la quale si informava un Demetrio che la richiesta di una cattedra a Perugia era giunta appena in ritardo, essendo completo per quell'anno l'organico dei docenti (Ammannati Piccolomini, 1506, cc. 212v-213v; Cherubini, 1992, p. 117); inoltre, il G. è identificato con il Demetrius che curò la pubblicazione, a Roma nel 1474, di una raccolta di componimenti in versi in memoria di Alessandro Cinuzzi, paggio di Girolamo Riario (Alexandri pueri Senensis multorum nostri temporis poetarum epigrammata foeliciter incipiunt; cfr. Hain, 809).
Il progetto di Sisto IV di istituire una nuova biblioteca diede una svolta decisiva alla vita del G., che venne chiamato nel 1475 dal Platina come uno dei tre aiutanti che, senza mansioni specifiche malgrado la qualifica formale di copista (secondo quanto attestano i pagamenti effettuati: cfr. Müntz - Fabre, p. 150), entrarono subito nella nuova istituzione. Il lavoro ebbe all'inizio retribuzione contenuta (un ducato al mese), ma valse al G. l'entrata negli ambienti più vicini al pontefice, cui del resto doveva essere caro, se nel giorno stesso del suo insediamento Sisto IV gli aveva assegnato due benefici sine cura (riguardanti le chiese di S. Domino nella località omonima e S. Biagio a Petrognano), già a lui pertinenti dal giugno 1467, ma il cui godimento era stato bloccato in conseguenza dei fatti del 1468. Il G., inoltre, sin dal 30 giugno 1475 figurava nel registro delle spese come lector tinelli del pontefice (Müntz - Fabre, pp. 272, 276, 295) e per questo suo ufficio prese in più occasioni volumi in prestito a titolo personale dalla Biblioteca Vaticana.
La materia delle lecturae testimonia una solida cultura tanto letteraria quanto filosofica: nel maggio 1475 il G. richiese una Historia ecclesiastica, in luglio il De bello Iudaico di Giuseppe Flavio, in ottobre la Praeparatio evangelica di Eusebio; nel corso del 1477 sono testimoniate letture dei Sermones di Leone Magno e delle Divinae institutiones di Lattanzio, ma anche della Logica e della Fisica di Aristotele, delle commedie di Aristofane e della Retorica di Ermogene (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3964, cc. 2 ss.; 3966, cc. 19 ss.).
Dal 28 febbr. 1475 fino alla fine di aprile del 1476 il G. fu formalmente impiegato nell'attività di copista, svolta in realtà anche negli anni successivi, per i quali pure i documenti gli assegnano già la carica di custode della Biblioteca (Ruysschaert, pp. 590 s.).
Frutto di questa attività di copiatura di manoscritti sono, tra l'altro, i Vat. lat. 1050 (contenente il De sanguine Christi di Sisto IV), 1608 (i Carmina di Catullo con l'aggiunta dei Priapea dello Pseudo Virgilio), 2045 (con opere del Platina), 2833 (di mano del G. le cc. 11r-66v, con il De rebus coelestibus di Lorenzo Buonincontri), 3406 (con una vita di Giovanni Mellini sempre del Platina).
Mentre la bolla di Sisto IV del 29 apr. 1475 lo presentava come "clericus Lunensis diocesis", tra il 1475 e il 1476 il G. prese la cittadinanza lucchese, della quale avrebbe da allora fatto mostra firmandosi Demetrius Lucensis; poco dopo ricevette la commenda dell'ospedale di S. Giacomo dell'Isola nella diocesi di Lucca, primo di una lunga serie di benefici che avrebbe cumulato negli anni successivi. Nel giugno 1478, insieme con un Giovanni legatore al servizio della Biblioteca, fu allontanato da Roma su ordine del Platina al fine di evitare il contagio nell'epidemia di peste che aveva colpito la città: segnale questo di una partecipazione attenta alla sorte del G. da parte del Platina, che si ripeté nel corso del 1480, quando venne assegnata al G. una gratifica di 2 ducati d'oro nel corso di un nuovo periodo di malattia (Müntz - Fabre, p. 157).
Nel marzo 1481 il G. fu il primo a ricevere la carica di custos della Biblioteca Vaticana con un atto nel quale era fatto esplicito elogio della sua solerzia (Arch. segreto Vaticano, Reg. Vat., 658, cc. 119r-121r; copie in Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3951, cc. 309r-310r; 7947, c. 3r). Dalla nomina derivava non tanto un mutamento di incarichi quanto l'ufficializzazione del ruolo svolto, oltre che un aumento della remunerazione, passata a 3 ducati mensili.
Bibliotecario e custodi vivevano nelle camere che davano sulla corte del Pappagallo (con diretto collegamento ai locali della Biblioteca) ed era loro assicurato il vitto e tutte le altre necessità. Un documento coevo, un capitolo in terza rima del notaio Antonio de' Tomei, descrive il G. come rude e superbo nel lavoro in biblioteca, quasi per l'alterigia derivante dal suo nuovo status, ma sono numerose le attestazioni di stima di eruditi e studiosi che vennero in contatto con lui quale incaricato della gestione della biblioteca pubblica, mentre a Jean Chadel era stata assegnata la gestione dei fondi segreti (Bignami Odier, p. 35).
Fu in questi anni che il G. redasse diversi inventari della Biblioteca: si segnalano in particolare i Vat. lat. 3952 (copia a uso dei custodi aggiornata anche negli anni seguenti dai successori del G.), 3953, 3947 (alla c. 1r una lettera di dedica a Giovanni Giacomo de Sclaffenatis - vescovo di Parma nel 1482 e poi cardinale nel 1486 -, che è l'unico scritto letterario ascrivibile al G.: contiene la presentazione della raccolta libraria, giunta a circa quattromila volumi). Resta dubbio se al G. o a Salvato da Cagli si debba la redazione del Vat. lat. 3954 (Scarcia Piacentini, pp. 140 ss.), mentre la mano del G. è stata identificata nei titoletti di diversi codici vaticani (ricordo i Vat. lat. 2124, c. 2r; 2162, c. 168v) anche sulla base dei documenti conservati nell'Archivio di Stato di Roma (Scarcia, pp. 534-536).
Quando, nel 1481, morì il Platina, a riprova dell'attaccamento alla memoria dell'amico, cui doveva la sua posizione, il 18 apr. 1482 il G. riunì amici e sodali dell'umanista scomparso, raccogliendo poi i componimenti pronunciati in suo onore in una raccoltina, Diversorum academicorum panegyrici in parentalia B. Platynae, più volte riproposta in calce alla Historia de vitis pontificum del Platina a partire dall'edizione Venezia, F. Pincio, 1504 (poi nel 1518 e nel 1568). Più avanti, una lettera di Lippo Brandolini non solo presentava in modo lusinghiero il G. a Poliziano, ma lo mostrava intento a raccogliere scritti del Platina andati dispersi (Bandini, col. 536). A conferma del rilievo del G. nella cerchia umanistica romana è la sua iniziativa di organizzare, il 2 apr. 1483, nella sede di S. Salvatore de Cornutis in Exquiliis di cui egli stesso era rettore, una festa celebrativa del natale di Roma, al confine tra tradizione pagana e culto umanistico del passato.
Altro momento di svolta nella vita del G. fu quando, nello stesso 1483, gli venne concessa da Sisto IV una nuova prebenda di beneficiario per la basilica di S. Pietro: il G. avviava così un percorso entro cui negli anni successivi si sarebbe mostrato capace di ottenere incarichi importanti e di cumulare privilegi e rendite di gran lunga maggiori rispetto a quanto procuratogli dal lavoro in Biblioteca. Nel febbraio 1487, come si è ricordato, fu insignito della cittadinanza romana; il 1° settembre dello stesso anno, Ercole I d'Este esentò il G. e i suoi congiunti abitanti a Petrognano da ogni imposta presente e futura: il privilegio ripagava verosimilmente i servigi che il G. aveva reso al duca nell'ambito dei suoi lavori nella Biblioteca Vaticana (una lettera dell'ambasciatore estense a Roma, Bonfrancesco Arlotti, in data 3 genn. 1488, informa che egli aveva ricevuto dal G. un inventario della Biblioteca; Pastor, III, p. 288 n.). Brevemente frenato da un nuovo periodo di malattia nel corso del dicembre 1488, secondo quanto raccontava in una lettera lo stesso Arlotti, nei mesi successivi il G. iniziò un'inarrestabile ascesa in seno al capitolo di S. Pietro, scandita in modo eloquente dalle ripetute nomine alla carica di cameriere della mensa del capitolo: era un incarico di durata annuale, assegnato tramite elezione a scrutinio segreto, che comportava l'amministrazione di numerose case a Roma e di grandi proprietà nelle campagne laziali (oltre 25.000 ettari). A questa mansione il G. venne eletto per la prima volta nel 1489, poi nel 1490, quindi consecutivamente nel triennio 1497-99; ricoprì l'incarico con scrupolo e onestà, come dimostra l'ordinata redazione di libri di entrate e uscite per gli anni in questione (Arch. del Capitolo di S. Pietro, arm. 41-42, nn. 14, 16).
Il 17 maggio 1490 vennero affidati al G. alcuni libri della camera di lavoro di Sisto IV (Scarcia Piacentini, pp. 118 s.), testimonianza ulteriore di un rapporto diretto con le alte gerarchie pontificie. Nel 1491 venne incaricato del controllo dei beneficiari, compito che comportava viaggi di verifica per tutta l'Italia centrale: a tal fine egli ottenne dal cardinal legato dell'Umbria Antonio Della Rovere un'esenzione dalle gabelle, ma non rimane documentazione comprovante che il G. abbia in effetti intrapreso le sue missioni di controllo.
Rimane invece attestazione, almeno per gli anni che vanno dal 1495 al 1506, dell'attività di notaio del capitolo di S. Pietro, investito della fides publica, carica riconosciuta sia dal papa sia dall'imperatore e dalla quale il G. dovette ricavare altre entrate consistenti. Difficile dire se si accingesse a questo impegno dopo avere seguito studi specialistici: pare certo che egli non ebbe cattedre universitarie (mai menzionate) e probabilmente la sua cultura giuridica ebbe più natura pratica che teorica. Va nello stesso senso un prezioso documento riguardante il G., e cioè l'inventario della sua biblioteca privata redatto a Lucca su sua iniziativa e tramite il suo procuratore Gaspare di Antonio Grandari, rettore della locale chiesa di S. Tommaso il 24 ott. 1501 (Guidi, pp. 209-218).
Si tratta di una raccolta di oltre centotrenta volumi, dei quali solo diciotto a stampa, spartiti tra le diverse componenti della cultura del G.: spiccano, tra i contemporanei, le Elegantiae di L. Valla, le opere di Guarino Guarini e di Niccolò Perotti, ma sono adeguatamente rappresentati classici latini, testi di retorica e i Padri della Chiesa.
Nel 1501, quasi a coronamento della carriera interna al capitolo, giunse la nomina a sacrestano, confermata da allora per tutti gli anni seguenti fino alla morte: tra le spettanze derivanti dall'incarico quella della gestione della biblioteca del capitolo, cui il G. si accingeva evidentemente con alle spalle l'esperienza pluriennale cumulata nella Biblioteca Vaticana. Nel 1502 guidò una missione diplomatica presso il re di Francia Luigi XII alle porte di Roma, come attestano i registri pertinenti a quell'anno, probabilmente con la volontà di salvaguardare i beni del capitolo dalle rovinose scorrerie delle truppe francesi.
Le entrate del G. avevano assunto intanto proporzioni significative: all'origine di questi introiti vi sono i benefici che egli ottenne nel corso degli anni non soltanto per favori di pontefici e cardinali, ma anche per le scelte degli ebdomadari, i canonici del capitolo che, in carica a turno per sette giorni, assegnavano le rendite che si erano rese disponibili. Ai dodici benefici segnalati dal Guidi (pp. 202 ss.), distribuiti tra le diocesi di Luni, Roma e Spoleto, le ricerche di Montel (pp. 446-450) ne hanno aggiunti altri quarantadue, sparsi lungo tutta l'Italia centrale e concentrati soprattutto in Umbria, Molise e Abruzzo. Ciò spiega la consistente crescita dei pagamenti a favore del G. segnalati nei registri del capitolo: si va dai 35 ducati del 1492 fino ai 146 del 1506.
In uno dei manoscritti compilati dallo stesso G. per la contabilità del capitolo (Arch. del Capitolo di S. Pietro, Ufficio degli eccetti, I, cc. 30r-40r) compaiono anche annotazioni di ordine personale, che gettano qualche luce su un uomo assai attivo ma nel complesso portato a rimanere nell'ombra: così le critiche rivolte a D. Bramante per le soluzioni adottate nella chiesa di S. Biagio e la raccolta di iscrizioni antiche attestano un fervido culto umanistico e una viva passione per l'epigrafia, mentre le annotazioni su febbri e rimedi ebbero forse relazione tutta pratica con una salute cagionevole.
Sugli ultimi anni del G. non si hanno notizie precise: rimane qualche indizio sulla gestione, tramite affitti, dei tanti benefici (Del Piazzo, p. 257) e la notizia di un suo soggiorno a Lucca nel dicembre 1510 (Guidi, p. 202), pochi mesi prima della morte, che dovette avvenire fuori Roma non oltre il giugno 1511.
Mentre si tentava di recuperare i volumi della biblioteca del capitolo di S. Pietro che il G. aveva portato con sé (Montel, p. 439), già il 6 luglio cominciava infatti la nomina di sostituti per i tanti benefici e le cariche di cui era stato titolare. Nella biblioteca veniva nominato Lorenzo Parmenio, presto autore di note malevole contro il G., accusato di incuria e malignità (Vat. lat., 3952, c. 212).
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