DEMETRA (Δημήτηρ, Demēter)
Divinità della Grecia antica, strettamente unita, nel culto e nel mito, alla figlia, Kore o Persefone; sicché ordinariamente l'una e l'altra venivano designate insieme con appellativi comuni, come "le due Dee" (τὼ ϑεώ), "Le Venerande" (αἱ Σεμναί), "le Signore" (αἱ Δεσποιναι), "le grandi Dee" (αἱ μεγάλαι ϑεαί). D., secondo l'etimologia più comunemente accettata (Δῆ μήτερ = Γῆ μήτηρ), è la Madre terra, la dea, cioè, della terra produttrice: e, in tale suo aspetto fondamentale, ella non va confusa con le altre due "dee madri" della religione greca: con Cibele, cioè, e con Rea. Queste, infatti, appartennero verosimilmente, prima che ai Greci, alle popolazioni preelleniche, anatoliche ed egee, e impersonavano la forza generatrice della natura, manifestantesi anche con le forme della più selvaggia irruenza nei varî aspetti della vita terrena; D. è invece divinità genuinamente greca, conosciuta e venerata da tutte le stirpi elleniche, ed è specificamente la dea che presiede all'agricoltura, che favorisce e vigila la tranquilla operosità degli uomini, che, riuniti in civile consorzio, attendono al fecondo lavoro dei campi.
Nel mito, D. era figlia di Crono e di Rea, e perciò sorella di Zeus; e quant'altro si raccontava di lei, faceva capo al ben noto mito del ratto di Persefone: mito che si trova esposto, nella sua forma più antica, già nell'inno omerico di Demetra e che fu poi ripetuto infinite volte, con le inevitabili amplificazioni e deformazioni, nelle opere dei poeti e degli eruditi (per es., Apollod., I, 4,1; Ovid., Fasti, IV, 417-618; Claudian., De raptu Proserpinae; Nonn., Dionys., VI.1-54). La leggenda narrava che mentre un giorno Persefone - la figlia di Demetra e di Zeus - s'intratteneva in un prato in compagnia delle Ninfe, cogliendo fiori e intrecciando corone, in un momento in cui ella s'era allontanata dalle compagne e dalla madre per cogliere un narciso, spalancatasi la terra, ne uscì fuori Ade che rapì la fanciulla divina e la portò giù nell'Inferno per farla sua sposa (v. ade; persefone). L'origine di questo mito va probabilmente ricercata nel fatto che D., come divinità ctonica, estendeva la sua azione anche al mondo sotterraneo, venendo così in stretto contatto con gli dei dell'oltretomba, con Persefone, cioè, e con Ade fatti nel mito rispettivamente figlia e genero di lei.
L'episodio del ratto di Kore determina due momenti successivi della figura mitica di Demetra, corrispondenti ai due episodî della ricerca e del ritrovamento della figlia rapita. Scomparsa la fanciulla, la madre, col viso sconvolto dalla disperazione, le vesti squallide e stracciate, corre da una parte all'altra della terra e del mare; e per nove giorni e nove notti, con fiaccole accese, senza riposo, senza prendere cibo o bevanda, ricerca invano la figlia, di cui ignora la sorte, nessuno essendo stato testimone del ratto. Nel decimo giorno alfine, Elio (cioè il Sole) che tutto vede e tutto sa, la informa che Kore è stata rapita da Ade, col consenso di Zeus. D. si abbandona allora a un dolore che non ha conforto: sdegnata con gli dei, si apparta dall'Olimpo e vaga per luoghi solitarî, gridando il caro nome della figlia non più sua. Ma la disperazione di questa mater dolorosa non è senza conseguenze: la terra, divenuta sterile, non produce più alcun frutto; una terribile carestia infuria dappertutto. Ed ecco che Zeus è costretto a venire a patti con la madre esasperata, promovendo un accordo fra D. e il rapitore della figlia, per cui Persefone, ormai sposa di Ade e regina dell'oltretomba, sarebbe ritornata ogni anno sopra la terra a vivere presso la madre, dal principio della primavera alla fine dell'autunno: e non è chi non veda come in questa parte del mito si rifletta la vicenda della natura, quale si manifesta nella vita vegetativa della terra. Così D., placata, ritornò all'Olimpo, e ridivenne, com'era prima, la benigna dispensatrice di ogni fecondità; e a quegli uomini che, durante il suo doloroso errare l'avevano - senza riconoscere in lei una dea - benevolmente accolta ed aiutata, essa volle ora dimostrare in modo speciale la sua gratitudine, rendendo fertilissime le loro terre e facendo dei loro figli eroi forti e generosi.
Dea materna è dunque D., oltre che dea dell'agricoltura. Ella ha donato agli uomini il frumento e ha insegnato loro a coltivarlo (onde gli epiteti di Σιτώ, Κορποϕόρος, Πολύκαρπος): dà loro la pioggia e il clima più favorevole alla vegetazione del grano (‛Ωρηϕόρος, nell'Inno omerico a D., 54,192), e ne protegge la maturazione (onde gli epiteti di Ξαξϑή, Iliade, V, 500, e Φοινικόπεζα, Pind., Ol., VI, 94, allusione al colore delle messi mature); sorveglia e protegge i lavori della mietitura, della battitura e della molitura del grano. In relazione a questi suoi benefici, D. veniva specialmente venerata dalle genti di campagna: Esiodo (Op. e giorni, 465 segg.) suggerisce al fratello Perse di pregare D. che gli faccia prosperare le messi; lo stesso poeta colloca a lato alla dea uno Zeus Ctonio (Χϑόνιος), mentre in Atene era suo compagno di culto Zeus Georgos (Inscr. Graecae, III, 77): altrove la si trova collegata col dio della pioggia, Zeus Hyetios. Naturalmente erano sacre a D. tutte le feste della semina e del raccolto; nelle quali, però, ai più semplici primitivi riti agrarî si sovrapposero generalmente gli elementi allegorici e mitici del mito di Persefone. Meglio note di tutte ci sono quelle dell'Attica. Ivi, prima di dar opera alla sementa, si festeggiavano le Proerosie (dette anche Proareturie), istituite in onore delle due dee, dietro indicazione dell'oracolo di Delfi, in occasione di una carestia che affliggeva tutta la Grecia; si celebravano, come pare, fin dal tempo di Solone e di Epimenide, al principio del mese di Pianepsione (seconda metà di ottobre). In primavera, poi, al primo spuntare delle messi, i magistrati in carica facevano l'offerta delle Procaristerie, che valeva per Atena, Demetra e Kore. Terza festa attica erano le Aloe, o feste delle aie, di Eleusi. Nelle isole doriche dell'Egeo si onorava D. nelle Talisie, durante l'estate (la festa di Coo descritta da Teocrito, VII, 135 segg.). Come dea dell'agricoltura, D. venne ravvicinata a varie altre divinità, ma specialmente alle ninfe e a Dioniso, e prese posto in numerosi miti locali, là dove il racconto mitico delle sue peregrinazioni la faceva arrivare e sostare.
Già ad Omero è noto il suo legame con Iasione; mentre poeti più tardi (Callimaco, Licofrone, Ovidio) cantarono dei suoi rapporti ostili con l'eroe tessalo Erisictone: ma più famoso di tutti restò l'episodio che legava la dea alla terra di Eleusi e ai suoi mitici re Celeo e Trittolemo. Il mito, svolto già nell'Inno omerico a Demetra e variamente poi modificato da poeti ed eruditi, narrava che D., durante il suo lungo errare per il mondo, era entrata, sotto le sembianze di una povera vecchia, nella reggia di Celeo, re d'Eleusi. Affidatale dal re e dalla moglie sua Metanira la cura di allevare il loro figlio Trittolemo (considerato come uno dei signori del paese in altre versioni della leggenda, che dicono Demofonte figlio di Celeo), la dea lo nutriva con ambrosia, e nottetempo, di nascosto ai genitori, lo purificava col fuoco per renderlo immortale. Ma essendo stata da quelli sorpresa in tali pratiche e impedita dal continuarle, volle in ogni modo grandemente beneficare il suo allievo: rivelato l'esser suo, D. esortò Celeo e Metanira a fondare in suo onore un tempio in Eleusi e iniziò Trittolemo e altri due principi eleusini, Eumolpo e Diocle, ai misteri del suo culto. A Trittolemo, inoltre, donò la spiga del grano, gliene insegnò la coltura e volle che egli, su un carro tirato da draghi, visitasse ogni terra insegnando agli uomini l'agricoltura e il culto di Demetra e diffondendo più civili norme di umana convivenza.
Perciò D. era venerata anche sotto l'altro aspetto d'inventrice e donatrice di quelle leggi (ϑεσμοί) che regolano la vita umana in genere e quella coniugale e familiare in specie: onde il suo epiteto di Θεσμοϕόρος, al quale si ricollegano le feste Tesmoforie, celebrate in ogni parte della Grecia (v. Erod., II, 171) e con speciale solennità dalle donne di Atene nel mese di Pianepsione, destinato alla seminagione del grano: mese che in Creta e a Rodi portava il nome di Thesmophorios e in Beozia proprio quello di Damatrios. E poiché l'idea della fecondità della terra richiamava subito, nelle menti degli antichi, quella della fecondità degli uomini, così D. estendeva la sua attività al campo della vita sessuale femminile, divenendo anche una dea del connubio e della nascita: una delle denominazioni di D., di antico uso nel Peloponneso, era infatti quello di 'Εἰλευϑία (o 'Ελευϑώ, o 'Ελευσινία), evidentemente connessa col nome della divinità della nascita, Εἰλείϑυια (Ilizia), sicché non pare dubbia l'identità di questa dea con D. Achaia (Demeter Kourotrophos Achaia, in Inscr. Graec., III, 373). Sotto questo aspetto, D. veniva ravvicinata ad Afrodite e soprattutto ad Era, come protettrice delle donne e dei loro diritti, o ϑεσμοί coniugali.
Un altro aspetto di questa divinità è quello in cui essa si presenta, come divinità ctonica, in stretto legame col regno dei morti e con le divinità dell'oltretomba. Come tale e come madre di Persefone ella porta l'epiteto di Χϑονία, e, oltre che con Ade, forma gruppo con Ermete Psicopompo, con le Erinni e con Dioniso: e così in Atene si chiamano Δημήτριοι i trapassati, e qui come a Sparta si soleva offrire un sacrificio a D. durante la cerimonia dell'inumazione. Si trova anche collegata con Zeus Eubuleus, con Trofonio, con lo ctonico Asclepio: e il nesso stabilitosi fra D. e le divinità infernali portò anche a una specie di addolcimento nella figura di Ade e di Persefone, soprattutto per effetto del culto eleusino, ma anche indipendentemente da questo. Eleusi fu il centro del culto di D. come divinità ctonica e dell'oltretomba: quivi si celebravano annualmente, col rito dei misteri, le grandi feste Eleusinie, le quali, seguendo, nel mese di settembre, alle piccole Eleusinie che si tenevano nel febbraio, nel sobborgo ateniese di Agre, ricordavano il ritorno di Persefone agl'Inferi, dopo l'annuo soggiorno terreno presso la madre e ripetevano così simbolicamente l'eterna vicenda della natura che s'immerge nel letargo invernale, per risvegliarsi a nuova vita all'avvicinarsi della primavera (v. eleusi).
Diamo qui un elenco delle principali sedi del culto di Demetra, le cui origini sono da Erodoto (nel citato passo II, 171) riportate senz'altro all'antica popolazione pelasgica e che in realtà fiori dovunque nella Grecia, tosto che si sviluppò la vita agricola, abituando la popolazione alla stabilità delle sedi e a più progredite norme di convivenza. In Arcadia, a Feneo, ai piedi del monte Cillene, a Telpusa, a Figalia; in Messenia, nel bosco di Apollo Carneo, presso l'antica città di Andania (culto mistico); in Laconia, specialmente ad Amicle, ed a Helos (culto ctonico). Altre città del Peloponneso, Corinto, Sicione, Fliunte, Argo, noveravano Demetra e Persefone fra le più antiche e venerate divinità, e nella vicina Ermione fioriva il culto mistico di Demetra Ctonia. Nell'Attica, il culto eleusinio di Demetra passò, fin da tempo molto antico, in Atene e di qui si diffuse, con le colonie ioniche, nelle isole dell'Egeo e sulle coste dell'Asia minore; feste Eleusinie e Tesmoforie troviamo ad Efeso, ad Eritre, a Mileto e altrove; i coloni di Mileto trapiantarono la religione di Demetra sulle coste del Mar Nero. Sulla costa meridionale dell'Asia Minore, Nisa e il promontorio triopico presso Cnido furono i centri del mito e del culto di Demetra ctonica. In Beozia, troviamo le due dee venerate nell'Acropoli di Tebe, la qual città anzi si diceva essere stata data da Zeus alla figlia Persefone come dono nuziale; e poi nei territorî di Tanagra e di Oropo; e, nella Grecia centrale, ancora nelle fertili contrade della Focide, della Locride, della Tessaglia, dell'Epiro. Tra le isole, Creta, con le sue fertili vallate, fu una delle più antiche sedi del culto della dea dell'agricoltura, come dimostra anche la saga del suo amore per Iasione, nota già ad Omero (Odiss., V, 125; Hes., Theog., 969); nelle isole traciche, Lemno, Imbro, Samotracia, il culto della dea venne in stretto contatto con i riti cabirici (v. cabiri). Né poteva mancare il culto delle due dee nell'Occidente greco, dove furono famose per la loro fertilità le piane della Magna Grecia e le valli della Sicilia: in quella, la città di Metaponto fu in special modo devota della dea delle biade, la cui testa forma il tipo più frequente delle sue monete dalla fine del sec. V in poi; in questa, troviamo il culto di Demetra a Siracusa, a Catania, a Selinunte, a Enna e altrove. Particolarmente famoso fu il culto di Enna.
Gli attributi di D. le sono, nella maggior parte, comuni con Persefone. Fra i principali, sono da ricordare le spighe di grano, il fiore del narciso e quello del papavero, simbolo di fecondità; e al concetto di fecondità ci richiamano anche le vittime, che più solitamente si sacrificavano a D.: la vacca (come nel culto ctonico di Ermione) e la scrofa, al cui sangue si attribuiva inoltre una speciale efficacia purificatrice (cfr. Eschil., Eumen., 293; Helian.. De nat. anim., X, 16; Ovid., Fasti, I, 349 segg.). Altri attributi di D. sono inoltre: il serpente, simbolo della terra e della resurrezione; la fiaccola; il calato (cestello cilindrico, slargato in alto, da fiori o da frutta; v.), ripieno di spighe, simbolo dell'estate e della mietitura; infine, nel culto eleusino, la cassa contenente la misteriosa suppellettile rituale (cista mystica).
La figura di Demetra nell'arte. - Prima che il culto di D. fosse portato al suo massimo sviluppo dalla religione dei misteri, la dea non fu di solito scelta dagli artisti a soggetto delle loro opere; e le sue immagini destinate al culto si limitavano a modestissime figure, dedicate, nelle loro edicole di campagna, dai contadini. Di queste antichissime figurazioni di D. nulla naturalmente ci resta, tranne qualche confuso e incerto ricordo nella tradizione letteraria. Così Pausania (II, 13,5) ricorda una statua seduta di Demetra nel tempio della dea a Fliunte; in un altro luogo (VIII, 42) descrive un'antichissima e strana immagine di Demetra Μέλαινα ("la nera", denominata così dal colore della veste) a Figalia, in Arcadia: la statua di legno (uno ξοανον) rappresentava una donna seduta su una pietra, ma con la testa equina, incorniciata da serpenti; una veste nera le scendeva sino ai piedi; in una mano teneva un delfino, nell'altra una colomba: la figura, d'artista ignoto, era stata poi distrutta dal fuoco e sostituita con una nobile statua di Onata. Quella descritta da Pausania era forse l'immagine di una divinità locale identificata poi con D. Da siffatto ricordo e da altre del genere pare si possa argomentare che le più antiche statue della dea la rappresentavano seduta: e D. è probabilmente da riconoscere in numerose statue fittili di divinità muliebri sedute in trono, trovate nell'Acropoli di Atene (v. F. Winter, Archäol. Anzeiger, 1893, p. 144).
Appena la figura di D. cominciò ad essere presa a soggetto della grande arte - e specialmente dell'arte attica, giacché l'Attica divenne il maggior centro del suo culto - gli artisti si trovarono a elaborarne un duplice tipo ideale, secondo che intesero di far prevalere in esso l'una o l'altra concezione mitica della dea. Restando sempre come elemento fondamentale dell'immagine artistica di D. la figura matronale, dalle forme piene del viso e delle membra - figura che si avvicina assai a quella di Era, dalla quale si distingue di solito per la mancanza dell'attributo della corona - distinguiamo di essa un tipo più antico e uno più recente: il primo rappresenta la grande dea di Eleusi, benevola e materna, promotrice e protettrice dell'agricoltura e dell'ordine sociale, la D. Thesmophoros insomma; il secondo raffigura la dea addolorata, se pur rassegnata, per la perdita della figlia, ormai - anche dopo la concessione di Zeus - non più sua. Del tipo più antico l'esemplare più espressivo è riconosciuto dall'Overbeck in una statua del Museo Capitolino, che rappresenta la dea stante (Overbeck, Kunstmythol. Atlas, XIV, 19); del tipo più recente il modello esimio, ma quasi unico finora, è la nota statua seduta di Cnido, della scuola di Prassitele, ora nel British Museum, che raffigura la dea coi tratti della mater dolorosa, cui bene si addicono le parole di Clemente Alessandrino (Protr., I, 50): "Un'aria di mestizia è diffusa su tutto il bel volto; un dolore che non vuol mostrarsi e che, suo malgrado, non sa tenersi nascosto".
Di altre celebri statue di D., del sec. IV, non rimangono né gli originali né copie sicure; così abbiamo solo il ricordo di due gruppi attribuiti a Prassitele, nell'uno dei quali la dea era rappresentata insieme con Kore e Iacco (Paus., I, 2, 4), nell'altro, con Kore e Trittolemo (Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 23): e lo stesso si dica di quella statua marmorea, di mano dell'ateniese Euclide, che secondo la testimonianza di Pausania (VII, 25,9) stava nel tempio di Bura (Acaia). Per una fortunata combinazione un moderno archeologo ha potuto riconoscere, con l'aiuto di un frammento di rilievo trovato a Eleusi, in due statue muliebri dei musei di Cherchell e di Berlino, la copia di un'immagine di D., del tempo di Fidia, la quale era probabilmente posta nel Telesterio di Eleusi (v. R. Kekule von Stradonitz, Über Copien einer Frauenstatue aus der zait des Phidias, Programm zu den Winckelmannfesten d. archäolog. Gesellsch., 57, Berlino 1897).
In ottimo stato di conservazione è giunto fino a noi il noto rilievo di Eleusi rappresentante Demetra e Kore col giovanetto Trittolemo: Demetra ha figura di nobile matrona, indossa l'abito dorico, e, appoggiata allo scettro, porge con la destra a Trittolemo un fascio di spighe (espresse originariamente in bronzo e ora mancanti); i capelli corti della dea simboleggiano il suo dolore di madre orbata della figlia; il Kekule ha fatto rilevare la dipendenza di questa figura di D. dall'originale delle statue di Cherchell e di Berlino. Un altro rilievo votivo, proveniente pure da Eleusi, si trova a Parigi (v. T. Panofka, Cabinet Pourtalès, tav. 18): rappresenta le due dee, mentre si apprestano a ricevere l'offerta di un maiale da parte di una famiglia, come rendimento di grazie. Demetra è qui in abito solenne di matrona attica, coi capelli scendenti a trecce inanellate giù per le spalle e col capo coperto dall'alto calato; con la sinistra regge lo scettro (ora rotto), nella destra tiene la tazza: il suo aspetto è dolce, la testa soavemente reclinata in avanti.
La testa di D. comparisce assai spesso anche nelle monete: nei tipi più antichi, attributo costante della dea è il velo, in quelle più recenti la corona di spighe: l'aspetto della dea è molto vario, e spesso è rappresentata così giovane e bella che riesce assai difficile, o impossibile, distinguerla da Kore (v., per es., la bella serie delle monete metapontine, dalla fine del secolo IV in poi: B. V. Head, Historia Numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 77 segg.; R. Stuart-Poole, Brit. Mus. Catalog. of Greek coins, Italy, pag. 243 segg.). Su alcuni tipi, riproducenti probabilmente statue di culto, la dea appare in figura intera; talvolta in trono, più spesso stante, con lo scettro o la fiaccola nella mano sinistra e il manipolo di spighe nella destra.
Nelle figurazioni fittili, D. e Kore si trovano spesso rappresentate sedute in trono l'una a fianco dell'altra, ambedue velate e con acconciature tanto simili che spesso si deve rinunciare a distinguerle fra loro. La stessa somiglianza fra la madre e la figlia si riscontra nelle numerose pitture vascolari, rappresentanti di solito i preparativi della partenza di Trittolemo per la missione affidatagli dalle dee.
Sulle pitture murali, numerosissime (v. Overbeck, op. cit.), D. è raffigurata sempre incoronata con spighe e con fiori. Basterà ricordarne la maestosa figura dipinta nella casa del naviglio a Pompei. La dea, seduta in trono, con la fiaccola accesa nella destra, ha ai piedi un magnifico cestello rigurgitante di spighe mature; le membra doviziose sono raccolte in una veste a vivi colori e nell'ampio mantello; i piedi sono calzati, come conviene alla dea che ha tanto peregrinato. Dal capo cadono sugli omeri le trecce ricciolute, sulle quali è posto un panno, agitato dal vento.
Per D. nelle rappresentazioni del ratto di Kore, v. persefone.
Bibl.: L. Preller, Demeter und Persephone: ein Cyklus mythologischer Untersuchungen, Amburgo 1837; R. Förster, Der Raub und die Rückkehr der Persephone Stoccarda 1894, p. 747 segg.; L. Bloch, s.v. Kora und Demeter, in Roscher, Lexikon d. griech. u. röm. Mythologie, II, coll. 1284-1379 (anche per l'iconografia); O. Kern, s.v. Demeter, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, coll. 2713-2764; O. Gruppe, Griech. Mythologie, Monaco 1906, pp. 1163-1193; E. Harrison, Prolegomena to the study of Greek religion, Cambridge 1903, pp. 271-76; W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, 2ª ed., II, Berlino 1905, passim; A. Ferrabino, Kalypso, Torino 1914, pp. 109 segg., 371 segg.; E. Ciaceri, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia, Catania 1911, p. 187 segg.; M. Ruhland, Die eleusinischen Göttiunen: Entwickelung ihrer Typen in der attischen Plastik, Strasburgo 1905; A. Baumeister, Denkmäler des klass. Altertums, I, p. 412 segg.