Vedi DELO dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
DELO (v. vol. III, p. 45 e S 1970, p. 280)
A partire dal 1970, a D. gli scavi archeologici hanno subito un forte rallentamento e le attività dell'École Française sono state indirizzate maggiormente alla pubblicazione e allo studio dei materiali già riportati alla luce. È da citare il rinvenimento fortuito di due stele iscritte, attribuibili a un'associazione, ancora ignota, di Samaritani: gli «Israeliti di Delo che versano un contributo al sacro Garizim». Tuttavia, oltre alla ripresa dello studio del porto, i cui risultati sono ancora inediti, tre punti meritano particolare attenzione.
La prosecuzione degli scavi nel quartiere N, detto di Scardana, ha portato alla scoperta di due nuove insulae, situate a O di quelle «degli Attori» e «dei Bronzi». Prive di particolarità architettoniche degne di nota, ognuna di esse deve il suo interesse a importanti scoperte di reperti mobili.
L'«Insula dei Bronzi» è così denominata per numerosi oggetti in bronzo che una spessa coltre di ceneri e legno calcinato, ricoprente una parte del settore, ha salvato dall'ossidazione. Oltre al vasellame e ai diversi utensili (boccali, situle, pissidi, lucerne, bilance, serrature), sono da ricordare le applicazioni destinate a decorare porte, letti e casse, tra cui un busto di Hermes, uno raffigurante un satiro coronato d'edera, una testa di sileno con fazzoletto, una ermetta di Papposileno, drappeggiato nella leontè di Eracle, e una statuetta di cane accucciato. È questo il più importante rinvenimento di bronzi mai effettuato a D. dove, a eccezione di frammenti, non erano stati trovati, finora, che due pezzi notevoli, il rilievo della Fontana Minoe e il ritratto detto della Vecchia Palestra. Per di più, una bottega situata nelle vicinanze dell’insula conservava una decina di stampi utilizzati per la fabbricazione di piedi di letti in bronzo. Essi rappresentano la prima testimonianza di una produzione toreutica a D., sebbene questa scoperta non possa essere collegata con certezza all’aes deliacum celebrato nei testi latini.
A NE di quest'insula è la «Casa dei Sigilli», così denominata per la scoperta di c.a 15.000 cretule d'argilla, cotte a causa dell'incendio verificatosi nell'abitazione, probabilmente nel 69 a.C., che servivano per sigillare i rotoli di papiro di un deposito di archivi. Di dimensioni γidotte (3 x 1,5 x 0,7 cm), esse recano sul recto un numero variabile d'impronte (da una a tredici), sul verso le tracce delle fibre del papiro sul quale erano applicate e sono attraversate da un foro longitudinale prodotto dal passaggio del laccio che le assicurava alla superficie del papiro; il fuoco, che ne ha causato la cottura e quindi la conservazione, ha però distrutto i papiri stessi. Da un punto di vista numerico, si tratta di uno dei più importanti ritrovamenti di tali materiali del mondo antico. Si suppone che questi archivi, collocati all'interno di un'abitazione, appartenessero a un privato, senza dubbio un commerciante o un banchiere, anche se è stato trovato un esiguo numero di sigilli ufficiali, come quelli dell'«Epimelete di Delo» e di alcune città, di re e di magistrati romani. I dati di scavo permettono di ipotizzare che i documenti fossero conservati su ripiani, in scaffali o all'interno di casse. In base alla frequente associazione di impronte identiche, si può dedurre che i documenti relativi alle stesse persone erano tenuti raggruppati. Dall'analisi dei sigilli ufficiali risulta che l'archivio copre un arco di tempo di almeno sessant'anni: le poche iscrizioni incise mostrano che la clientela era quasi esclusivamente maschile e composta di Greci, Semiti e Romani, i cui nomi sono spesso quelli di gentes ben note su epigrafi di Delo. Le frequenti tracce di incastonatura dimostrano che gli intagli impiegati per sigillare gli archivi erano, nella maggioranza dei casi, montati su anelli. Raramente i sigilli sono firmati, e presentano un repertorio iconografico molto diversificato: divinità greche e straniere (Iside e Serapide, Iside Pelagia, Artemide Efesia, Men, Zeus Labraundos, Atena Magarsìs), ritratti, più spesso di personaggi ignoti che di re, e animali. Di particolare interesse è una rappresentazione della statua di culto di Apollo Delio, dalla quale si ha conferma che il dio recava le Cariti nella mano destra e l'arco nella sinistra.
La necropoli era finora poco conosciuta: impiantata a Renea, a causa dell'interdizione fatta da Apollo di morire e di seppellire a D., si estende per una lunghezza di c.a 1.500 m e una larghezza di 150-200 m. È stato catalogato e studiato il raggruppamento di circa seicento monumenti funerari, composti da una decina di statue (figure umane, leoni, sfingi), altari, alcuni sarcofagi e, soprattutto, dalle stele, di cui una buona parte è disseminata in diversi musei greci ed europei. La quasi totalità dei materiali è datata tra la fine del II e gli inizi del I secolo. Il repertorio delle stele non è particolarmente originale: la maggior parte di esse presenta una dexìosis, un banchetto, oppure il defunto recante un oggetto personale o in compagnia di un parente o di un animale a lui caro. Di maggiore interesse sono le stele riproducenti scene legate alla navigazione - navi rovesciate, un uomo seduto su una roccia davanti a una nave, un combattente raffigurato stante su un'imbarcazione - con ogni verisimiglianza cenotafi creati in occasione di naufragi. Ma nel repertorio iconografico mancano del tutto riferimenti a temi escatologici, presenti a volte negli epitaffi. Questi ultimi hanno inoltre consentito di precisare la composizione etnica di D. (gli Orientali vi costituivano il 45%, gli Italici il 27%; per il resto era abitata da Greci, dei quali il 10% provenienti da Atene). Per la prima volta si è proceduto allo scavo di due recinti funerari contigui che sono caratterizzati da una disposizione molto simile. Il recinto C presenta due corti attigue di cui una reca sul fondo un'esedra, all'interno della quale si ergeva un naìskos ionico costruito al di sopra di una tomba, e i cui lati erano porticati; altre otto sepolture furono praticate all'interno delle due corti. Anche il recinto Β era strutturato come una corte con naìskos sul fondo e cripte sui lati. L'ampiezza di tali strutture deriva senza dubbio dalla necessità di disporre di locali sufficientemente spaziosi per celebrare a Renea i riti che precedevano la sepoltura.
L'organizzazione dello spazio rurale di D. era nota solo tramite ciò che i conti di gestione dei santuari riferivano a proposito delle «fattorie sacre», con le quali si tendeva generalmente a esaurire il problema. Sia l'analisi epigrafica che le indagini sul terreno inducono invece a supporre che le proprietà dei sacerdoti di Apollo non costituissero che una parte delle tenute agricole di D. e della parte delia di Renea, così come le «case sacre» non sono che alcune delle abitazioni di Delo. Sono state individuate alcune fattorie, una delle quali, situata nella parte meridionale dell'isola, è stata scavata. Trattandosi di un unicum, non è ancora possibile riconoscere la funzione dei suoi locali, né tanto meno porli in rapporto con le descrizioni che i conti forniscono delle fattorie sacre. Bisogna considerare, inoltre, che la fattoria, utilizzata nel corso di diversi secoli, ha subito numerose ristrutturazioni. Quanto all'organizzazione del paesaggio agricolo, sembra che l'attuale parcellizzazione del terreno, realizzata di recente, si sovrapponga a un sistema di terrazze coltivate in maniera molto accurata - sfruttate per una policoltura che associava vite e alberi da frutto a cereali - del quale si può verosimilmente datare l'impianto al VI e al V secolo. In tal senso D. conserva una notevole testimonianza di paesaggio agricolo fossile.
Quattro dei giardini citati nei conti dell'epoca dell'indipendenza possono essere localizzati con una certa approssimazione: per esigenze di approvvigionamento idrico, essi si trovavano sull'antico letto dell'Inopos, dunque ai margini della città, e con ogni probabilità scomparvero in conseguenza dello sviluppo urbano dell'epoca ateniese.
È stata individuata una decina di torchi da vino, quasi tutti nella parte bassa del quartiere del teatro. Essi furono installati nelle rovine della città ellenistica e le loro strutture mostrano il reimpiego di marmi paleocristiani avvenuto in due riprese. Databili in età altomedievale, essi attestano il perpetuarsi della viticoltura a Delo.
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Soggetti vari: AA.VV., Études détiennes (BCH, Suppl. 1), Parigi 1973 e diversi articoli comparsi nel BCH tra cui le otto serie di «Deliaca» di Ph. Bruneau (v. BCH, CXIV, 1990, p. 553 ss. con riferimento alle serie anteriori).