DELLI MONTI (de Montibus, de Monte), Nicola Antonio (Cola Antonio de Capua)
Discendente da una famiglia francese venuta a Napoli al seguito di Carlo I d'Angiò (quantunque risulti una famiglia de' Monti esistente nel Regnum già nell'età di Federico II) e illustratasi con Ludovico, vicemaestro giustiziere dal 1281, figlio di Niccolò, detto il Savoia, uomo d'armi di re Ladislao, stabilitosi a Capua, nacque in questa città nei primi anni del sec. XV. Era nipote di Francesco Antonio, conservatore dei Real Patrimonio nel 1447.
Avviato agli studi giuridici, causarum patronus eximius, nel 1437 e poi nel 1448 fu giudice della Regia Gran Corte. Nel 1442 fu segretario credenziere della dogana e comunque appare già avviato alla carriera burocratica al servizio del re di Napoli. Tipico esponente della nuova burocrazia napoletana in gran parte proveniente dalle fila della borghesia cittadina e provinciale, nel 1447 fu sostituto del conservatore del Real Patrimonio e nel 1448 viceré di Sardegna. Dal 1449 è attestato in vari documenti come avvocato fiscale ed in tale veste, nel 1452, partecipò al Consiglio reale tenutosi a Castel Capuano. Dal 1452 al suo nome si accompagna regolarmente la qualifica di regio consigliere.
Giudice della Camera di S. Chiara, dal 1450 fu luogotenente della Sommaria, tribunale del quale fu l'effettivo presidente fino al 1477 (anno in cui gli successe Giulio de Scarriatis o Scartiati) dato che il presidente, il gran camerario Francesco d'Aquino, conte di Loreto, considerava l'ufficio esclusivamente onorifico e l'esercitava per il tramite di un proprio luogotenente. Con tale qualifica il D. sottoscrisse numerose prammatiche dell'età di Alfonso e Ferdinando. La sua presenza nei ranghi della burocrazia aragonese si consolidò sempre più, unitamente all'accrescersi delle sue fortune. Nel 1465 acquistò dal sovrano la terra di Corigliano per 4.000 ducati ed ebbe in dono, per i servizi resi, le gabelle del passo, della bagliva e dei pesi e misure delle città di Capua e Caserta.
Il suo prestigio fu notevole se, il 4 ag. 1464, al matrimonio di sua figlia Antonella coi nobile Salvatore Zurlo presenziarono, oltre ad una multitudo copiosa di conti, baroni ed altri nobili, i legati della Repubblica veneta e di Firenze nonché lo stesso re. Nel 1467 e nel 1468 venne incaricato dal sovrano di delicate missioni diplomatiche a Roma presso il pontefice Paolo II ed in due missive al vescovo di Tarazona P. Ferriz ed al cardinale di Spoleto B. Eruli nel 1467 il re Ferdinando espresse sul D. un giudizio laudativo. Nel 1469 gli fu concesso il baiulato della città di Capua, con possibilità di trasmetterlo ad un suo erede. Nel 1473 dette in moglie la propria figlia Caterina ad Antonello d'Acaia, figlio di Giovanni barone d'Otranto. Nel 1474 il re gli fece dono dell'erariato sulle terre del Principato e della Basilicata.
Il D. morì nel 1480.
La sua attività di regio funzionario e di magistrato meritò l'apprezzamento del Pontano che lo descrisse come uomo integerrimo e coltissimo oltre che eccellente dottore. Sposò Margherita delle Ceste (Ammirato, p. 178; De Lellis, Notizie, III, f. 121v); di contro il Toppi, p. 187, lo vorrebbe coniugato con Giacoma Monforte (probabile moglie del figlio Francesco) e oltre alle figlie sopra ricordate ebbe, a dire del Toppi, sette figli maschi tutti menzionati nel suo testamento del 1479 (Toppi, 1, p. 187): Francesco, il primogenito, cui lasciò la terra ed il castello di Corighano, importante diplomatico e funzionario al servizio del re Ferdinando, Giovanni, capitano d'armi al servizio degli Aragonesi, cui lasciò il feudo di Piscopio e probabilmente diverso dal Giovanni Antonio utriusque iuris doctor attestato nella prammatica del 1477 di re Ferdinando sull'ufficio dei baiuli; Bernardino, legum doctor avviato alla carriera forense e burocratica sulle orme del padre e regio consigliere dal 1490, cui lasciò il feudo di Racale, ed Antonio, al quale assegnò il feudo di San Martino, ed ancora, secondo quanto dice il Toppi, altri tre ai quali destinò lasciti minori.
Buon funzionario e giudice nonché uomo politico e giurista, almeno secondo il giudizio unanime che ne dettero i contemporanei, il D. fece parte di quella burocrazia di origini borghesi che contendeva, a Napoli, gli uffici pubblici di maggiore rilievo all'elemento catalano, la stessa che, presa coscienza della propria forza, andava assumendo i caratteri tipici delle burocrazie moderne consolidandosi in un ceto dirigente che, accanto alla nobiltà, dalla quale traeva qualche elemento ed al fascino della quale non sempre riusciva a sottrarsi, riuscira a controllare efficacemente per secoli l'effettivo esercizio del potere nel Regno.
Ben poco resta della produzione scientifico-letteraria del "magnus practicus et feudista", come lo definisce T, Grammatico, per tentarne una seppure sommaria valutazione critica. Sappiamo che nel 1452 dette un consulto a Pietro da Milano, governatore di Monteleone (Vibo Valentia). Famoso è un suo elegante e ricco consilium scritto pro Antonello di San Severino, principe di Salemi, contra Barnaba di San Severino, conte di Lauria e richiamato da Francesco d'Arezzo (cons. 162, f. 116ra), Matteo d'Afflitto (in libros pheudorum, n. 91, f. 54rb e, con varianti, super constitutionibus, f. 309va) e Tommaso Grammatico (dec. 1 f. 8b).
Dubbia sembra l'esistenza di una raccolta manoscritta di consilia del giurista, ricordata dal Summonte, probabilmente per una equivoca lettura di un passo del Grammatico (loc. cit.). Nessuna notizia resta di un eventuale impegno didattico del D. presso lo Studio napoletano, attività peraltro comune alla gran parte dei maggiori magistrati napoletani di quegli anni.
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