DELLA TORRE
. Famiglia milanese. Fra i primi personaggi di essa viene ricordato un Martino, forse conte di terre della Valsassina, che nel 1147 avrebbe partecipato alla seconda crociata e sarebbe stato massacrato dagl'infedeli sotto le mura di Damasco. I discendenti suoi, di fronte al rigoglioso e prepotente rifiorire dei comuni lombardi, erano stati costretti a farsi cittadini del comune milanese e a cercar nuova potenza, parteggiando nel comune vittorioso. Dei figli di Martino, Pagano fu podestà di Milano; incarichi nel comune ebbe Giacomo, dal quale nacque Pagano che, dopo la rotta di Cortenuova, raccolse i Milanesi dispersi e inseguiti dai Bergamaschi, alleati dell'Imperatore, e li ospitò nelle sue terre della Valsassina. La minaccia di Federico II prima, del suo protetto Ezzelino da Romano poi, coglieva la parte popolare in Milano mentre era impegnata contro i ceti nobiliari; e la Credenza di S. Ambrogio, roccaforte delle classi mercantili e industriali milanesi, bisognosa di un uomo che la guidasse, conferiva nel 1240 la dignità di suo capo appunto a Pagano, il quale si trasferiva coi suoi stabilmente a Milano. Qui il nome gentilizio Della Torre fu comunemente sostituito da quello di Torriani, proprio di altra famiglia. Morto nel 1241 Pagano, la Credenza eleggeva nel 1247 a suo anziano il nipote Martino, che si suole considerare come il primo e vero signore di Milano. Infatti, favorendo riforme dannose alla nobiltà, Martino costrinse gli avversarî a levarsi in armi; i nobili furono cacciati e il popolo acclamò suo signore l'anziano della Credenza. I fuorusciti sollecitarono l'aiuto di Ezzelino da Romano e dei ghibellini dell'Italia settentrionale, mentre i Milanesi dell'interno svolgevano una politica guelfa. Le speranze ghibelline naufragarono nel 1259 a Cassano d'Adda, dove Ezzelino venne fatto prigioniero e morì per le ferite ricevute; Martino, il vincitore del tiranno, morì nel 1263 e gli succedette nella signoria il fratello Filippo. Questi (arbitro o quasi delle sorti di Milano, cui le vicine e minori città erano più o meno vincolate) attendeva a organizzare il partito guelfo di Lombardia nell'imminenza della nuova venuta di Carlo d'Angiò. La qualità loro di guelfi non trattenne però i Torriani dall'opporsi recisamente a Ottone Visconti, candidato alla sede arcivescovile milanese e dalla Curia romana preferito a Raimondo della Torre arciprete di Monza e cugino di Filippo (1262). Milano fu sottoposta all'interdetto, ma il Visconti non poté occupare la sede a cui era stato chiamato e dovette cercare di vincere, con le armi ghibelline, l'ostinata resistenza degli avversarî, contro i quali la Santa Sede nulla poteva, e che si rafforzavano proprio allora, quando si stringevano le trattative per chiamare in Italia Carlo d'Angiò come capo del partito guelfo.
I della Torre poterono così allargare il loro predominio su Bergamo, Como, Novara, Lodi, Vercelli e, per breve tempo, Brescia, affidandone a congiunti o a fazioni amiche il governo, mentre Raimondo in cambio della negata sede arcivescovile milanese era fatto vescovo di Como. I vincoli che legavano queste terre a Milano erano quelli di una più o meno aperta soggezione politica, ma venivano giustificati con una comune fede nelle sorti del partito guelfo e con una necessaria obbedienza al capo del partito stesso. E capo vero del guelfismo lombardo si può ormai considerare non Carlo d'Angiò, cui i pontefici avevano dato di nome la signoria dell'Italia settentrionale, ma quel membro della famiglia della Torre che era principe fra i Milanesi e che della supremazia politica ed economica del maggior centro urbano di Lombardia si valeva per reprimere l'aspirazione alla piena autonomia politica nei comuni ormai di fatto dominati. Ai prosperi eventi per la famiglia dei Torriani seguirono però insuccessi, che si fecero sempre più gravi quando alla morte di Filippo (1265) ne ereditò gli onori, non il figlio giovanetto Salvino, ma Napoleone, detto volgarmente Napo, nato da Pagano. Il nuovo signore ottenne, è vero, il titolo di vicario imperiale da Rodolfo d'Absburgo, quando finì la signoria su Milano accordata dai papi a Carlo d'Angiò, e col titolo, un contingente di truppe tedesche: ma non poté impedire a Ottone Visconti, forte dell'aiuto del marchese di Monferrato, di guadagnare alla sua causa parecchie città e di suscitare altre ribellioni pericolose. La nuova politica di Roma che, tramontato dopo la battaglia di Benevento il pericolo di Manfredi, mirava a contenere l'eccessiva potenza di Carlo d'Angiò, favoriva l'indebolimento dei guelfi. Nella stessa Milano mal si tolleravano le continue tassazioni straordinarie, imposte per provvedere, oltre che ai bisogni della corte signorile, anche a quelli di guerra contro i fuorusciti. E della guerra si era stanchi. La battaglia di Desio, combattuta il giorno di S. Agnese del 1277, costrinse i Torriani a prendere la via dell'esilio, e i Milanesi accoglievano l'arcivescovo Ottone Visconti al grido di "pace". Napo, fatto prigioniero, morì poco dopo nel castello Baradello presso Como.
Non crollava però del tutto la potenza della famiglia, ché Raimondo dal vescovado di Como era stato, nel 1273, trasferito al patriarcato d'Aquileia (v.). Nel Friuli cercarono rifugio molti dei 160 Torriani, che avrebbero combattuto nella battaglia di Desio. Nella stessa Lombardia non si poteva certo dire stroncato il guelfismo. Guido, nipote di Pagano il Vecchio, già fatto prigioniero a Desio e liberato da Lotario Rusca che era riuscito a trionfare di Simone da Locarno protetto dai Visconti, preparava la riscossa; e, nel 1302, forte dell'aiuto soprattutto di Filippone Langosco di Pavia e di Alberto Scotto di Piacenza, poté strappare Milano a Matteo Visconti, cui il prozio Ottone aveva ceduto il dominio cittadino. Ma il rifiorire della vecchia signoria fu breve, e Matteo approfittò della calata di Arrigo VII per muovergli incontro ad Asti e accompagnarlo a Milano; il tumulto scoppiato per le vie milanesi, dopo l'incoronazione di Arrigo nella chiesa di S. Ambrogio, indusse a esiliare i capi delle fazioni, ma mentre il bando durò breve tempo per Matteo Visconti, nominato dopo alcuni mesi vicario imperiale, impedì per sempre il ritorno a Guido, morto nel 1312 a Cremona, dopo aver assistito alla sconfitta dei guelfi, vinti da Guarnerio Homberg a Soncino.
Dei Torriani a Milano rimasero a lungo come ricordo le rovine delle case, che sorgevano presso l'area oggi occupata dal teatro della Scala, dalle quali prese nome la contrada delle "Case rotte". La casata lombarda continuò nei suoi discendenti nel Friuli - dove ebbe un esaltatore nel poeta Pace - coi rami del Friuli, di Verona, di Gorizia. Da essa vennero molti dei conti tedeschi di Thurn.
Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri it., XIV; E. Riboldi, I Contadi rurali del Milanese, in Arch. stor. lomb., s. 4ª, XXXI (1904), pp. 245, 251; I. Ghiron, La Credenza di S. Ambrogio e la lotta dei nobili e del popolo a Milano (1198-1292), in Arch. stor. lomb., IV (1877), p. 70 segg.; G. Gallavresi, La riscossa dei guelfi in Lombardia dopo il 1260 e la politica di Filippo della Torre, in Arch. stor. lombardo, s. 4ª, VI (1906), pp. 5-67, 391-453; C. Cipolla, Le Signorie, Milano 1881; A. Battistella, I Lombardi in Friuli, in Arch. stor. lomb., s. 4ª, XXXVII (1910), p. 302 segg.; L.A. Ferrai, Un frammento di un poema storico inedito di Pace dal Friuli, in Arch. stor. lomb., s. 2ª, X (1893), pp. 322-343.