DELLA SCALA, Paolo Alboino
Terzo figlio legittimo di Mastino (II), dominus di Verona e Vicenza e di Taddea da Carrara, nacque probabilmente nel 1344 coi fratelli Cangrande (II) (il maggiore, cui spettò il potere effettivo) e Cansignorio, ebbe nel 1351 alla morte del padre l'arbitrium e divenne quindi formalmente compartecipe del potere.
Della sua adolescenza si può segnalare un solo significativo episodio. Nel febbraio 1354, allorquando Fregnano Della Scala - assente Cangrande (II) e con lui Cansignorio - si insignorì di Verona, il giovanissimo D. era, dei tre domini, il solo presente; e secondo alcuni cronisti, come il bolognese Bartolomeo Della Pugliola, nell'occasione "messer Frignano con Paulo Alboino corse la citade, e tolseno in si la signoria di Verona" (in Corpus chronicarum Bononiensium, III, p. 32). La circostanza, pur plausibile, non ebbe però a quanto risulta per il D. conseguenze sul piano politico.
Negli anni successivi i contrasti interni alla famiglia scaligera si fecero, comunque, sempre più aspri: Cangrande favorì scopertamente, con molteplici iniziative, i propri figli illegittimi Tebaldo, Fregnanino e Guglielmo, suscitando ovvi risentimenti nei fratelli. L'assassinio del dominus fu, infine, opera di Cansignorio, il 14 dic. 1359; il fratricida - non si sa se per previo accordo col D. - si allontanò immediatamente da Verona riparando a Padova, e il D. fu subito acclamato signore. Secondo fonti padovane, anche il D. si sarebbe allontanato da Verona, recandosi a Vicenza: ma si sa invece che la città berica rimase per qualche giorno alla mercé degli stipendiarii tedeschi. Comunque il 16 dicembre, con la scorta di truppe carraresi (Francesco il Vecchio era all'epoca alleato, oltre che parente, degli Scaligeri), Cansignorio rientrò in Verona, e il giorno seguente i due fratelli ricevettero con pari dignità l'arbitrium.
Nei successivi cinque anni di governo comune il D. appare costantemente al fianco del fratello, in tutti gli atti pubblici; factores e cancellieri ripetono ovviamente da ambedue la loro autorità. Tuttavia una tradizione storiografica, consolidata ed appoggiata sulle tacite ma significative scelte dei cronisti locali (specie il continuatore del Chronicon Veronense) e non (ad es. il Villani), fa di Cansignorio il solo effettivo signore.
Nella Cancelleria estense ad esempio si era convinti di ciò: in un atto non privo di rilievo formale come la nomina di un procuratore per il matrimonio di Niccolò II con Verde, sorella dei due Scaligeri (1362), si definisce costei "soror magnificorum et potentium dominorum domini Cansignorii civitatis Verone etcetera domini, et Pauli Albuini eius fratris" (Cipolla, Briciole..., p. 12); e nella stessa occasione si fa riferimento alla sola "voluntas magn. d. d. Cansignorii predicti et suorum sapientum". Ciò resta vero e valido anche se altri acuti osservatori della realtà signorile contemporanea, come il cronista visconteo Pietro Azario, citano assieme come cosignori i due fratelli, gratificandoli entrambi di "iuvenes et magnanimi".
La preminenza di fatto di Cansignorio potrebbe, essere un elemento in favore della effettiva esistenza della congiura promossa dal D. contro il fratello; ma ha una sua logica intrinseca anche la non provata supposizione (avanzata dal Saraina, lo storico veronese cinquecentesco che dispone per la storia scaligera di buone fonti) che Cansignorio intendesse sin dai primi anni '60 sbarazzarsi del fratello e collega (che avrebbe cercato d'indurre alla carriera militare) in favore degli illegittimi Bartolomeo ed Antonio, natigli da poco. In realtà l'episodio del 1365, che portò all'incarceramento a vita del D. e ad una dura repressione, resta una "molto oscura faccenda" (Cipolla, in Ant. cron. ver.), documentata in sostanza solo dal continuatore del Chronicon Veronense, dal quale dipendono le altre fonti (tutte locali).
Costui afferma che il 25 genn. 1365 Cansignorio, "sentiens diutinum tractatum contra personam et statum suum et certificatus de tractatu predicto", fece imprigionare il D. nel castello scaligero di Peschiera; che otto persone furono in tale circostanza decapitate nell'Arena, e che l'anno successivo altri quattro congiurati, già in carcere, furono impiccati. Altri ancora rimasero in prigione fino alla morte di Cansignorio (1375).
Alcuni dei congiurati resi noti dal cronista appartengono a famiglie socialmente distinte, ma comunque non eminenti. Fra questi, Ezzelino Sagramoso, già sottoscrittore del mutuo concesso da un consorzo di cives veronesi a Mastino e Alberto (II) nel 1339, discendente da una famiglia di milites d'antica tradizione (Archivio di Stato di Verona, Univ. dei cittadini, reg. 6, Mensa vescovile, reg. I, cc. 421r-422r), peraltro non in particolare evidenza in età scaligera; Bartolomeo Pitati (un "Pitatus de Clavica" appare ai primi del Trecento nell'entourage scaligero, una Pitati fu forse amante di Cangrande [II]; Giovanni Grasso del fu Nicola Spenditori (uno Spenditori, Castellano, fu attivo nella burocrazia scaligera al tempo di Antonio e Bertolomeo); Canto, fratello di Filippo de Cardino, un immigrato toscano che figura in qualche occasione nella cerchia del rector di Verona vicario di Cansignorio (V. Fainelli, Podestà e ufficiali..., in Atti e mem. d. Accad. di agric., scienze e letter di Verona, s. 4, IX [1908], p. 221). Era implicato anche (figura fra i giustiziati del 1366) uno Zucheto da Legnago, autorevole personaggio di quella cittadina; nella sua casa nel 1346 veniva stipulato un importante atto diplomatico (Doc. per la storia delle relazioni fra Verona e Mantova...,a cura di C. Cipolla, Venezia 1907, p. 464). Va menzionato infine Giampietro Della Scala, nipote di Giuseppe, l'abate di S. Zeno fra Due e Trecento. Gli altri, cioè la maggioranza, sono allo stato attuale delle ricerche degli sconosciuti; ma si può comunque escludere con sicurezza che la repressione operata da Cansignorio si era indirizzata verso ambienti della burocrazia signorile (certo legata più a lui che al D.): nessuno dei menzionati era membro di rilievo dell'establishment. Soltanto un'identificazione dei singoli potrebbe, peraltro, dire qualcosa di certo, e di riflesso illuminare meglio la personalita politica del D. (si trattava effettivamente, in primo luogo, di personaggi a lui legati? Quale fu nella vicenda, ad esempio, il ruolo del priore dei domenicani di Verona, che è fra i giustiziati? È lecita l'ipotesi di un malcontento che nasca fuori dal "palazzo", o ai margini di esso, e di cui il D. si sia reso interprete?).
Poche tra le fonti non locali fanno cenno a questo episodio (il Chronicon Placentinum, la cronaca dei Della Pugliola): a differenza della precedente congiura scaligera, quella del 1354 promossa da Fregnano contro Cangrande (II), ebbe connivenze e ripercussioni esterne, e coinvolse esponenti del ceto di governo al massimo livello. Questo del 1365 resta un fatto locale; importante però (se potrà esser meglio analizzato) come spia del modificarsi, e forse del deteriorarsi, del rapporto fra Signoria e certi settori della società urbana.
Dal 1365 il D. restò rinchiuso per un decennio nel castello di Peschiera (nell'assoluto silenzio delle fonti). Da allora, Cansignorio è, anche formalmente, il solo dominus, come tale figurando in tutti gli atti pubblici. Il D. ricompare, nella documentazione cronistica, solo al momento della sua uccisione, il 17 o 18 ott. 1375, Cansignorio, gravemente ammalato e conscio dell'ostacolo costituito dal D. alla successione dei suoi figli Bartolomeo ed Antonio, fece riaprire formalmente il processo ed il D. venne giustiziato in carcere; il suo corpo fu esposto pubblicamente.
Forse ancor prima di far uccidere il D., Cansignorio aveva fatto giurare fedeltà ai due giovani eredi da parte dei maggiorenti vicentini; dopo la sua morte, l'arbitrium fu loro conferito senza intoppi a Verona. Questa resta la ricostruzione più verosimile, anche se alcune fonti (l'episodio ebbe una vasta eco nella cronistica coeva, sia pure sulla base esclusiva di voci "varie e vaghe", come ha ben osservato il Cipolla, Ant. cron. ver.) attribuiscono la decisione di giustiziare il D. agli stessi Bartolomeo ed Antonio.
Se non un uomo "senza storia", come pur è stato definito, il D. - dominato dalla vigorosa personalità di Cansignorio -resta certo una figura marginale nella vicenda politica scaligera dei decenni del "crepuscolo".
Il D., che non si sposò, ebbe tre figlie (Silvestra, Pantasilea ed Orsolina), tutte e tre almeno dal 1380 francescane del convento veronese di S. Maria di Campomarzio.
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