DELLA SCALA, Cangrande I
Signore di Verona, poi di Vicenza, Feltre, Belluno, Padova e Treviso, nato il 9 marzo 1291 da Alberto della Scala e Verde di Salizzole, morto a Treviso il 22 luglio 1329. Fatto cavaliere dal padre nel 1294, rimase dopo la morte di lui sotto la tutela dei fratelli Bartolomeo, e poi di Alboino; associato da questo alla signoria (1308) e già sposo a Giovanna di Svevia (nipote di Federico di Antiochia, figlio naturale di Federico II), aveva già militato nelle guerre contro i guelfi. Durante la spedizione di Enrico VII ottiene col fratello, il 7 marzo 1311, il vicariato imperiale di Verona; il 15 aprile strappa Vicenza ai Padovani. Ma questa conquista determinò una lotta a morte con Padova, che assorbì quasi tutta la vita di C. e lo trascinò all'occupazione di gran parte della Venezia. Scorrerie, devastazioni reciproche, diversioni del Bacchiglione, attacchi a Vicenza, riempirono questi anni, malgrado le vittorie di C. sui Padovani sotto le mura di Vicenza (17 settembre 1314 e 22 maggio 1317). Padova, vista inutile ogni mediazione, ricorse prima alla signoria di Giacomo da Carrara, poi a quella di Enrico conte di Gorizia, a cui Treviso, pur minacciata da C., si era data. E le milizie del conte di Gorizia sbaragliarono sotto Padova, al Bassanello, il 23 agosto 1320, il campo di C. che dal marzo stringeva la città. Battuto, lo Scaligero, quasi per isolare le città nemiche, approfittò di torbidi interni per togliere a Guecello da Camino Feltre e Belluno (1321). Padova intanto era passata nello stesso anno sotto il vicariato di Enrico duca di Carinzia, che nel 1324 scese in Italia, ma, guadagnato dall'oro di C., abbandonò l'impresa. Con la mediazione di Lodovico il Bavaro fu fatta la pace; ma la lotta continuò coperta, e Padova, turbata dai moti interni aiutati da C., doveva nel settembre 1328 sottomettersi. L'anno dopo, il 18 luglio 1329, C. entrava in Treviso, e il 22 vi moriva.
Questa lotta ostinata non impedì a Cangrande di partecipare con gli altri capi ghibellini a tutte le lotte contro i guelfi: anzi egli il 16 dicembre 1318 veniva a Soncino nominato capitano generale della Lega ghibellina, e fu nel 1320 scomunicato da Giovanni XXII. Negli ultimi anni la sua ambizione irrequieta non ebbe limiti. Durante il soggiorno a Milano con Lodovico il Bavaro, gli fu attribuito il disegno di volersi impadronire della città; quando Padova stava per cedere, aiutò la caduta dei Bonaccolsi e riuscì a ottenere dall'imperatore il vicariato di Mantova. Certo la morte prematura gl'impedì di consolidare lo stato indebolito dai grandi sacrifici e ancora mal connesso, che i nipoti, appena sette anni dopo, facevano precipitare. Audace, tenace, pronto alla decisione e all'azione, ospitale, protettore di letterati e di artisti, è la figura più brillante fra i capi ghibellini del suo tempo e la lode di Dante (Par., XVII, 76) getta una luce gloriosa sulla sua memoria.
Egli cinse Verona di nuove mura (1324-25) per far fronte alla minaccia tedesca: eresse, per voto, S. Maria della Scala e rinnovò gli Statuti dei mestieri (1319) e della città (1328). Riposa nell'arca sulla porta di S. Maria Antica: nel 1921, aperta l'urna, fu trovata ancora intatta la sua salma. (V. tav. CLV).
Bibl.: Oltre alle opere generali sulla famiglia, cfr. G. G. Orti Manara, Cenni storici e doc. su Cangrande, Verona 1853; A. Scolari, Il veltro di Dante, Bologna 1913; ma specialmente C. Cipolla, Doc. per la storia delle relazioni dipl. tra Mantova e Verona, Venezia 1907; H. Spangenberg, Cangrande I della Scala, voll. 2, Berlino 1892-95.