DELLA ROVERE (Rovere, Dalla Rovere), Francesco Maria
Nacque a Genova il 13 febbr. 1695 da Clemente e da Maria di Giovan Battista Doria.
La famiglia Della Rovere, originaria di Savona, di umile condizione, aveva acquistato prestigio e ricchezza grazie ai due papi della famiglia, Sisto IV e Giulio II. A Genova, in quel periodo, i Della Rovere strinsero legami politici e familiari con i potenti Doria, nel cui "albergo" vennero poi iscritti con la riforma del 1528: il ceppo genovese della famiglia contava a quella data dieci membri. Il legame preferenziale coi Doria si protrasse, anche dopo l'abolizione degli "alberghi" avvenuta nel 1576, attraverso una politica matrimoniale ancora operante all'epoca del D., egli stesso nipote oltre che figlio di una Doria. E ad un altro Doria, Giuseppe Maria (nel 1753 commissario a Salerno, nel 1754 energico governatore di Corsica; poi ultimo doge biennale), il D. appare legato nelle scelte politiche e negli interessi culturali.
Dal padre Clemente, più volte senatore della Repubblica (nel 1714, 1718, 1722 e 1736), il D. come unico figlio aveva ereditato un considerevole patrimonio di circa 550.000 lire, che lo poneva tra i quaranta genovesi più ricchi (tale situazione patrimoniale risulta da un elenco di contribuenti per un'imposta straordinaria dell'1% che nel 1738 venne applicata sui patrimoni superiori alle 6.000 lire, per contribuire alle spese straordinarie che la nuova guerra europea rendeva necessarie). Forte di tale ricchezza, dotato di una raffinata cultura, sposato con una donna altrettanto colta e socialmente influente, Caterina Negrone, protettore di letterati e poeta egli stesso (col nome di Alimonte nella ligustica Accademia di Arcadia), appassionato bibliofilo, patrocinatore di accademie, il D. sembra preferire l'atteggiamento paternalistico del benefattore e del mecenate (fu anche per molti anni protettore, e generoso sovvenzionatore, dell'ospedale di Pammatone) a quello del politico attivamente impegnato in un programma riformista. D'altra parte egli appartenne alla generazione preilluminista, cui erano ancora estranee idee di incisive riforme economiche e politiche. Così il D. aveva parte dei suoi capitali impegnati nella fabbricazione e nel commercio di arazzi, cristalli e maioliche: e se queste ultime probabilmente erano prodotte ad Albisola, per i primi, che importava dalla Francia, il D. non si serviva di manodopera locale. D'altra parte, la fondazione di una Società patria per le manifatture sarà dibattuta e ottenuta a Genova in anni successivi alla sua morte. Ma, come membro della Accademia ligustica di belle arti e come amico del già citato Giuseppe Doria, figlio del fondatore dell'Accademia stessa, il D. potrebbe non essere estraneo al tentativo di istituzione, nel 1764, di una "scuola di disegno per l'arte dei tessitori di drappi di seta" e, in particolare, alla chiamata come maestro del lionese Ignazio Belletti.Nel territorio di Savona, dove possedeva ville e terreni, il D. provvide ad opere di pubblica utilità: non solo fece restaurare il palazzo Della Rovere in Savona (che era stato fatto costruire da Giulio II su disegno del Sangallo) e la cappella di S. Nicolò ad Albisola (i lavori furono affidati dal D. ai fratelli Porta di Milano nel 1760), ma fece anche costruire una imponente muraglia nel tentativo di arginare le frequenti inondazioni cui la piana di Albisola, alla confluenza del Sansobbia e del Riabasco, andava soggetta.
La sua attività più propriamente politica non fu molto intensa. A parte l'occasionale impegno nel magistrato di Guerra nel 1746, durante l'occupazione austriaca della città (in cui peraltro la sua attività non emerge significativamente, se non per essere tra quei nobili che si dichiararono a favore della resistenza più energica possibile: e quando sarà doge si ricorderà di un "popolare", organizzatore della resistenza), il D. figura, soltanto, a più riprese nel magistrato di Abbondanza. In tale magistratura, che curava i rifornimenti e i prezzi dei generi di prima necessità, e di cui fu spesso presidente, gli si fa merito di aver spesso agito con tanta abilità da avere più volte evitato carestie a Genova e alle, Riviere. Il 29 genn. 1765 fu eletto doge a 70 anni, con una modesta maggioranza (246 voti su 444). L'incoronazione avvenne il 22 giugno, oratori, in S. Lorenzo, don G. B. Carossino, e, a palazzo ducale, Domenico Botto.
Nel biennio del suo dogato il D. prese l'iniziativa di far ascrivere alla nobiltà quelle famiglie che, nelle situazioni di tensione o di ribellione degli ultimi quindici anni, si erano mantenute fedeli alla Repubblica: tra gli altri, i Sappia de Rossi di Sanremo (proprio mentre nell'ottobrenovembre 1766 la Comunità rivierasca, dopo la repressa ribellione del 1753, era di nuovo in fermento per le notizie provenienti dalla corte di Vienna che metteva in discussione i diritti di Genova) e la famiglia di Gregorio Romairone, il quale, nel conflitto del, 1746, era stato commissario generale dell'Assemblea del popolo. Inoltre, benché i rapporti tra la Repubblica e la S. Sede fossero in quel periodo molto tesi a causa della questione del visitatore in Corsica, il D., grazie alle sue personali buone relazioni con gli ambienti ecclesiastici, ottenne la porpora cardinalizia per Nicolò Serra e per Lazzaro Pallavicini, già nunzio in Spagna.
Durante il dogato, sostenne a proprie spese operazioni di restauro al palazzo ducale. Ma la propria munificenza e il proprio buon gusto il D. aveva espresso in maniera ancor oggi ammirabile nei lavori di ampliamento e ristrutturazione della sua splendida villa di Albisola, nella quale, attorno al 1744, sulla preesistente costruzione cinquecentesca fece incorporare l'antica torre, collegando i vari corpi con due lunghe terrazze, sotto le quali fece ricavare le gallerie che si aprono sul bel giardino all'italiana, ornato da quattro fontane con vari scenografici gruppi marmorei. La villa pervenne per successione prima ai Grillo Cattaneo e poi ai Gavotti.
Il D. morì, infatti, ad un anno dalla fine del suo dogato, il 23 maggio 1768, a Genova, senza aver avuto figli, e con lui si estingueva il ramo genovese dei nobili Della Rovere.
La moglie Caterina Negrone, figlia e discendente di dogi (il padre, Domenico, doge nel 1724;il nonno, il grande Bendinelli, nel 1695;l'antenato, Giovan Battista, nel 1589),aveva non poco contribuito al prestigio del D. e ne aveva condiviso gli interessi artistico-letterari. A lei, già sposa del D., nel 1724 Giacinto Gibboni aveva dedicato un'ode panegirica, "La corona delle corone", in occasione dell'elezione ducale del padre; e a lei, vent'anni dopo, furono dedicate entrambe le orazioni ufficiali per l'incoronazione ducale del marito. Alla di lei morte, avvenuta il 21 genn. 1789,il palazzo genovese dei Della Rovere, sito sull'omonima piazzetta in salita S. Caterina, passò alla famiglia Piccardo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, ms. 494, c. 225;Genova, Bibl. Franzoniana, ms. 125:G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova (sec. XVIII), c. 509;F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova,Lipsia 1750, pp. 40,42 s.; A. M. Stokvis, Manuel d'histoire, Leide 1890-93, 111,p. 756;L. Levati, I dogi di Genova dal 1746 al 1771 e vita genovese degli stessi anni,Genova 1914, pp. 56-61, 410 s.; L. Volpicella, Ilibri cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLIX (1921), 2, pp. 392 s.; G. Giacchero, Storia econ. del Settecento genovese, Genova 1951, p. 157; Dimore genovesi, a cura di O. Grosso, Milano 1956, p. 142.