DELLA PORTA, Giovanni Battista
Figlio di Alessio, del quale non si conosce la professione, e di una Battistina, nacque a Porlezza (Como) nel 1542. Nipote del noto scultore Tommaso Della Porta il Vecchio, cugino in secondo grado di Guglielmo Della Porta anch'egli famoso scultore, il D. ebbe due fratelli presumibilmente più giovani che lavorarono con lui: Giovanni Paolo e, soprattutto, Tommaso il Giovane. Nel 1580 sposò a Roma Elisabetta Mariottini, dalla quale ebbe una figlia, Barbara, che gli premorì (Hibbard, 1971, p. 95).
Non si sa con esattezza quando il D. venne a Roma, ma allorché nel 1562 lo zio Tommaso ricevette il titolo di cavaliere, fu stabilito che alla sua morte tale onorificenza passasse al D.; si può quindi dedurre che nel 1562 fosse già attivo insieme con lo zio nel campo del restauro delle sculture antiche. Il fatto che la società tra zio e nipote fosse molto stretta spiega perché il Baglione ascrivesse al D. la vendita delle teste dei dodici imperatori al cardinale Alessandro Farnese piuttosto che a Tommaso, che fu il vero venditore (Bertolotti, 1881, I, p. 168). Nel 1566 il D. è citato nei documenti per aver commesso un piccolo reato per cui lo zio si faceva fideiussore (ibid., pp. 169 s.). La prima opera nota del D. sono le dieci Ninfe per la fontana dell'Ovato a villa d'Este a Tivoli, secondo i disegni di Pirro Ligorio.
Il contratto del luglio 1567 prevedeva dieci figure alte 120 cm di peperino ricoperto in stucco, che dovevano essere collocate nelle dieci nicchie della fontana che Curzio Maccarone stava costruendo; stabiliva inoltre il prezzo di 10 scudi ciascuna; le statue dovevano essere completate su tre lati secondo il disegno del Ligorio e l'intera opera doveva essere terminata entro il successivo mese di settembre, altrimenti il prezzo sarebbe stato dimezzato. Una statua era stata già terminata (Seni, 1902, pp. 66 s.); otto ninfe sono tuttora esistenti sebbene molto deteriorate. Il contratto menziona anche una statua di Roma, che fu affidata tuttavia nell'agosto 1568 a Pietro Motta per lo stesso prezzo offerto al D. (70 scudi). Non si sa se il D. rinunciò all'incarico o se gli fu tolto, ma la stessa cosa sembra sia avvenuta nel caso della colossale statua di Tiberio, di proprietà di Ippolito d'Este, che fu lasciata incompiuta dal D. e, nel dicembre 1567, affidata ad altri due scultori per il completamento (Seni, 1902, pp. 68 s.).
Forse il D. stava cercando degli incarichi migliori come appare evidente da una lettera da Roma dell'11 nov. 1566, del vescovo Garimberto a Cesare Gonzaga, signore di Guastalla (occupato in quel momento a trasferire la sua collezione da Mantova, a Guastalla; cfr. Partridge, 1971, p. 484), in cui raccomandava "Maestro Giovanbattista scultore, nipote del già Maestro Thomosino ... nel restaurare et rassettar delle sue anticaglie". Èa questo punto forse che il D. divenne amico di Francesco Capriani da Volterra, l'architetto di Cesare Gonzaga a Guastalla, con cui in futuro avrebbe lavorato spesso: per esempio intorno al 1569 Francesco da Volterra e il D. diventavano rispettivamente l'architetto e lo scultore di casa Caetani (Caetani, 1933). In ogni caso i rapporti del D. con Cesare Gonzaga sono confermati da una lettera inviata a quest'ultimo dall'antiquario romano Iacopo Strada nel giugno 1568 in cui il D. viene definito "molto servidor di vostra Excellentia" (Campori, 1866, p. 50).
II D. ricevette il suo più lungo e più importante incarico in campo scultoreo presso la S. Casa di Loreto: dieci Sibille e tre Profeti per il rivestimento.
Nell'aprile 1570 il D., probabilmente accompagnato dal fratello Tommaso, era a Loreto dove riceveva un anticipo di 50 fiorini (25 scudi) per "delle sibille che fa" (per tutti i documenti relativi all'attività del D. nella S. Casa cfr. Weil Garris, 1977, II). I pagamenti continuarono nel 1570, nel 1571 (con il primo a Tommaso in aprile, pagato tramite il D. come lo fu per tutti i seguenti), fino al 1572. Una lettera del maggio di quell'anno attesta che sei Sibille erano finite, tre prossime alla fine e che il D. doveva essere pagato 200 scudi per ciascuna statua, mentre egli ne chiedeva 250. Nel luglio 1572 il governatore di Loreto scriveva al granduca di Toscana annunciando l'imminente arrivo del D. a Carrara per procurarsi quattro pezzi di marmo per il rivestimento; il viaggio deve aver avuto luogo nell'autunnol dato che in novembre al D. venivano rimborsate le spese di viaggio. In dicembre le dieci Sibille erano finite e il D. si riteneva soddisfatto del pagamento di i.800 scudi; sembra che avesse donato una statua "per limosine et per sua divotione" (Weil Garris, 1977, II, docc. nn. 1285, 1303). Nel 1573 il D. era di nuovo a Carrara a lavorare ad almeno due blocchi di marmo "per li 4 profeti" della S. Casa; gli furono pagati due mesi di lavoro per sbozzare le figure, il trasporto e le spese di viaggio.
A questo punto il D. presumibilmente tornava a Roma: nell'agosto 1574 era annoverato fra i Virtuosi del Pantheon (Orbaan, 1915) e deve aver ricevuto attorno a quello stesso periodo l'incarico di scolpire un Cristo risorto e due Angeli per il nuovo altare del Ss. Sacramento a S. Giovanni in Laterano. Dal 1574 Francesco da Volterra era stato architetto di questo progetto di Gregorio XIII, ma l'unico documento relativo alla partecipazione del D. risale al maggio 1576 quando egli stesso e "i scultori" ricevevano il pagamento finale per un totale di 200 scudi per le tre figure (Arch. di Stato di Roma, Cam. I, Tes. Segr., vol.1303).
L'altare, distrutto nel 1599, come dimostra un disegno coevo, presentava il Cristo al culmine del timpano e un angelo adorante per ogni lato (M. A. Ciappi, Compendio delle heroiche et gloriose attioni... Papa Gregorio XIII, Roma 1591, p. 8). Dal disegno e dal prezzo si può ipotizzare che le statue erano di media grandezza e forse è possibile identificarle con quelle di Cristo e due putti nell'altare del coro d'inverno (o cappella Colonna, costruita nel 1625), poiché i documenti attestano che alcuni pezzi del distrutto altare furono riutilizzati (Arch. di Stato di Roma, Cam. I, Giust. Tes.,B. 25, fil. 11 [1601]).
Nel dicembre 1576 il D. era di nuovo a Loreto dove veniva pagato per il trasporto di "4 marmi di far profeti" da Napoli a Recanati. Nel maggio 1578 gli veniva dato un anticipo per i Profeti e un altro pagamento risulta a luglio; e un altro ancora, sempre a luglio, di 690 fiorini per "un profeta". In dicembre Tommaso veniva pagato per un profeta e nel 1579 G. Lombardo era pagato per un altro, Amos (Weil Garris, 1977, I, p. 99). Il conto finale della S. Casa riporta solo una somma relativa a questi tre profeti, quindi il quesito su come sia stato impiegato il quarto pezzo di marmo trasportato dal D. a Loreto va ad aggiungersi al problema attributivo delle statue oggi esistenti del rivestimento, se vadano al D., a Tommaso, o a tutti e due insieme. In base ad un'analisi stilistica i profeti Balaam e Mosè sono usualmente attribuiti ai Della Porta (benché i bozzetti, conservati rispettivamente a Roma, coll. Gaudioso, e ad Urbino, Museo nazionale, non richiamino in particolare lo stile dell'uno o dell'altro dei due fratelli). Malgrado il D. avesse finito la sua opera per la S. Casa nella primavera 1578, continuò a lavorare per Loreto; nel giugno 1578, il cardinale Nicolò Caetani incaricò Francesco da Volterra di progettare la sua tomba nella basilica.
Per tale incarico Francesco da Volterra si accordò con il D., che nell'ottobre 1578 riceveva 300 dei 1.650 scudi promessi per il suo lavoro per la tomba, "pro opera constructionis sepulchri". Nel 1579 il D. scolpiva a Roma le figure della Fede e della Carità e l'anno successivo il monumento, mandato da Roma, veniva eretto a Loreto sotto la direzione del D. (Caetani, 1933, II, p. 172). Data l'entità della somma il D. doveva essere responsabile sia per la fornitura sia per la lavorazione dei marmi per la tomba, così come per le due figure in piedi fiancheggianti la statua ritratto del cardinale, eseguita in bronzo da A. Calcagni.Forse non era molto occupato all'inizio del nono decennio se nel febbraio 1583 scriveva a Vespasiano Gonzaga, duca di Guastalla, della stima di suo zio Tommaso nei suoi confronti e offrendo di vendergli una statua antica che era stata restaurata. Scrisse di nuovo nell'aprile 1584 chiedendo se le statue (senza specificare quali) fossero piaciute al duca e prometteva di mandargli quattro "pezzi del'istoria ... per adornare el camerino" (Campori, 1866, pp. 64 s.). Per Sisto V il D. lavorò almeno a due progetti, entrambi diretti dall'architetto papaleDomenico Fontana: la ricostruzione e la decorazione della cappella del Presepio di S. Maria Maggiore, più tardi chiamata cappella Sistina, e la monumentale facciata della fontana del Mosè, in seguito al ripristino dell'acquedotto Felice. Nel luglio 1586 Sisto V aveva deciso di spendere 25.000 scudi per la tomba in S. Maria Maggiore del suo predecessore e protettore, il domenicano Pio V (morto nel 1572). L'organizzatore del progetto scultoreo, Leonardo Sormani, che disegnò il ritratto in bronzo del papa, eretto nel giugno 1587, ricevette un primo pagamento nel dicembre 1587 di 300 scudi, e altri nell'aprile e nel settembre 1588, da dividere con gli scultori P. Antichi. F. Vacca, G. A. Valsoldo, P. P. Oliviero e il D., autore della statua di S. Domenico (Bertolotti, Artisti subalpini,Mantova 1884, p. 104).
La figura del santo, piatta, schematica e in qualche modo banale, anticipa nello stile il suo successivo e più vasto lavoro: il rilievo, alto più di 3 m, con Aronne che conduce il popolo ebreo'a dissetarsi,per la fontana del Mosè a Roma.
Qui le figure pesanti e piatte, lo spazio sovraffollato, che sembra scoppiare, formano, comunque, un accompagnamento adeguato al grande e prorompente Mosè che colpisce la roccia di Antichi e Sormani con il quale Sisto V celebrò in forma teatrale l'arrivo del nuovo acquedotto a Roma. La creazione. della fontana per l'Acqua Felice fu annunciata nel luglio 1587 e il D. fu pagato, fra il 1588 e il 1590, un totale di 1.000 scudi, sebbene la stima fosse stata di 1.350 (Bertolotti, 1881, I, p. 221, D'Onofrio, 1957, p. 92). Baglione (1642, p. 74) attribuisce al D. uno dei due angeli che sostengono lo stemma papale sopra la fontana, i quali sono invece opera rispettivamente di Vacca e di Oliviero (Lanciani, 1912, p. 158).
Subito dopo l'ultimo pagamento per l'Aronne, nel marzo 1590, il 30 aprile il D. fece testamento (Bertolotti, 1881, I, p. 181): vi risulta cittadino romano, residente a Campo Marzio e afferma di lasciare il mobilio alla giovane moglie, Elisabetta Mariottini che aveva sposato nell'ottobre 1580, e tutto il resto ai fratelli Giovanni Paolo e Tommaso (il quale a sua volta nel testamento del 1583, gli aveva lasciato ("5 petia statuarum modernarum").
Durante il 1590 il D. lavorò a due importanti progetti sepolcrali, a Roma e a Sabbioneta. A S. Silvestro al Quirinale scolpì il busto-ritratto per il cenotafio in memoria di Federico Corner, morto nello stesso anno, cardinale a Padova, dove fu sepolto.
Eretto per volere di Gregorio XIV, il cenotafio fu ideato da D. Fontana; il D. fu pagato 125 scudi per la sua collaborazione nel gennaio 1591 (Donati, 1942, p. 41).
II card. Scipione Gonzaga, in una lettera dell'aprile 1591 - in cui raccomandava al duca di Mantova il D. come "molto intendente di architettura et di statue" e in cui ricordava come egli stesso possedesse due statue del D. - asseriva che lo scultore era stato chiainato a Sabbioneta "per la sepoltura del Signor Duca di Sabioneta" (Bertolotti, 1885, p. 75). Si tratta di Vespasiano Gonzaga con il quale il D. aveva lavorato fra il 1583 e il 1584 e che era morto nel febbraio 1591, avendo chiesto nel testamento ai suoi eredi di spendere 1.500 scudi per la sua tomba, oltre alla pietra che aveva già fatto portare da Roma (Affò, 1780, pp. 114 s.). L'imponente tomba parietale nella chiesa dell'Incoronata risulta in un documento disegnata dai "Cavaliere della Porta" (Marani, 1965, p. 139): sicuramente il D., che fornì anche la pietra. La tomba, comunque, è quasi la copia esatta della tomba Caetani di Loreto del 1578, ideata da Francesco da Volterra. Sebbene non rimangano documenti, le due figure della Giustizia e della Fortezza,nelle nicchie laterali, che fiancheggiano la statua in bronzo di Vespasiano,opera di Leone Leoni, sono evidentemente opera del Della Porta.
In questi stessi anni il D. stava nuovamente lavorando per la famiglia Caetani: nel 1589 egli progettò lo stemma in marmo del duca Onorato Caetani per la porta interna della chiesa di S. Maria della Vittoria a Sermoneta, e nel 1590 il busto in marmo dello stesso Onorato, il quale morì nel novembre 1592 (il suo catafalco fu disegnato da Francesco Capriani da Volterra); la sua lastra tombale, decorata con placchette bronzee raffiguranti trofei militari, fu eseguita dal D. entro il 1593, per 250 scudi. La tomba, restaurata, si trova ora nella cappella di famiglia a S. Pudenziana (Caetani, 1933, pp. 269 s.). Nel 1595 il D., come attestano i documenti (Hibbard, 1971, p. 110), forniva la pietra necessaria per la cappella Rusticucci nella chiesa del Gesù.
Enrico Caetani, diventato cardinale di S.Pudenziana nel 1585, nel 1587 aveva affidato la direzione del restauro della chiesa a Francesco da Volterra. cui fu associato il D. "per tutto quanto riguardava i marmi" (Caetani, 1933, p. 325). Dopo la morte del Capriani (1594), il lavoro proseguì forse sotto l'Oliviero che scolpì il rilievo in marmo per l'altare, ed era ancora in corso nel 1601 quando intervenne il Maderno. Il D., pertanto, doveva essere impegnato in S. Pudenziana ancora nel 1597, anno della sua morte (ad esempio nel 1595 è ricordato come fornitore delle colonne di marmo prezioso per l'altare: ibid.). Dopo la sua morte il suo lavoro fu valutato da Oliviero 3.366 scudi, somma che fu pagata ai fratelli Giovanni Paolo e Tommaso, a seguito di una disputa con i Caetani, nel dicembre 1601 (ibid.). Nel contempo questi ultimi avevano lavorato con il D. per i Caetani, ricevendo un pagamento finale nel dicembre 1598 (Bertolotti, 1881, I, p. 201).
Nell'ultimo anno della sua vita, nella stessa chiesa di S. Pudenziana, il D. eseguiva la più importante, forse, delle tre sculture citate dal Baglione, il gruppo in marmo a grandezza naturale con la Consegna delle chiavi, a commemorazione del luogo dove si supponeva che s. Pietro avesse celebrato una messa. La scultura fu commissionata da mons. Desiderio Collini, protonotario e segretario apostolico; il contratto, del 15 giugno 1596, stabiliva che la cappella, l'altare e le statue fossero finite in otto mesi, secondo un disegno già esistente, per la somma di 1-300 scudi e che il Cristo e S. Pietro fossero "a imitatione" di quelli della chiesa di S. Agostino (Bertolotti, 1881, I, pp. 182 s.).
Il 15 ott. 1597, veniva fatto un inventario dei beni trovati nella sua casa dopo la morte (Bertolotti, 1881, I, pp. 186-189). Questo fatto conferma l'asserzione di Baglione che il D. morì nel 1597. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Popolo. La sua vedova, che subito si risposò con C. Maderno, morì nel 1602.
Al momento della morte il D. viveva in via del Corso. L'inventario delle sue proprietà dimostra chiaramente che era un uomo benestante: aveva una collezione di almeno quattordici dipinti ed un cocchiere alle sue dipendenze. In seguito la vedova denunciò alla Rota i due fratelli del D., sostenendo che le statue antiche facevano parte dell'arredamento e pertanto erano sue di diritto; la causa andò avanti fino al 1601 (ibid., p. 189). La collezione di sculture antiche e moderne del D. potrebbe essere quella di novantacinque pezzi, annoverati in una lista come provenienti dalla "casa delli heredi delo Cavaliere della Porta" (Graeven, 1893), titolo che aveva anche Teodoro, figlio di Guglielmo. Comunque, come asserisce il Baglione, il D. impiegò molto del suo tempo "a cambiar cose antiche, e in questo negotio ... si bene guadagnar solea, che il faticarsi poco curava". Fosse per talento o per cultura acquisita, il D. fu comunque sufficientemente colto per fare un discorso nel 1594, all'Accademia del disegno, su Il buono e perfetto scultore (Zuccaro [1604], p. 66). Quanto al suo temperamento si sa soltanto che era abbastanza pio da donare una delle dieci Sibille per il rivestimento della S. Casa di Loreto.
Il Baglione asserisce che il D. imparò la sua arte da Guglielmo, suo cugino più anziano (forse di trent'anni), ma non ci sono documenti che confermino questa affermazione; tuttavia si può dire che il D. ricevette indirettamente gli insegnamenti di Guglielmo tramite suo zio Tommaso, le cui statue di Virtù per la tomba di Paolo IV in S. Maria sopra Minerva si richiamano alle Virtù della tomba di Paolo III in S. Pietro. Per lo stile proprio del D. bisogna fare riferimento ai lavori in cui è documentato da solo: il rilievo di Aronne nella fontana del Mosè e la statua di S. Domenico per la tomba di Pio V in S. Maria Maggiore, opere entrambe della fine del nono decennio. Tenendo presenti queste figure stolide, dai volti larghi, classicheggianti, ma dai movimenti goffi, si può riconoscere la mano del D. nelle Sibille di Loreto, in particolare nella Tiburtina, nella Delfica e nella Pontina, ma anche nella Eritrea e nella Samia (Weil Garris, 1977, I, pp. 338 ss.). Comunque tutte le dieci sibille mostrano una chiara derivazione da figure simili di I. Sansovino, Guglielmo Della Porta e, naturalmente, di Michelangelo; inoltre, molto probabilmente, sono il frutto di una collaborazione tra il D., suo fratello Tommaso e aiutanti non meglio conosciuti. A anche possibile che le figure si basino, come già le Ninfe del D. per la fontana di villa d'Este a Tivoli del 1567, su disegni fatti da altri, ad esempio il Tribolo o i Lombardi. Questo può valere anche per i Profeti di Loreto: esistono infatti bozzetti in terracotta per Balaam e per Mosè, che sembrano essere stati copiati da F. Brandani nel 1541 (Serpa, 1930, passim)e pertanto è forse oziosa la questione di stabilire in base allo stile quali dei tre profeti (Balaam, Mosè e Isaia)siano stati eseguiti dai fratelli Della Porta (Weil Garris, 1977, I, pp. 332 ss.; Frulli, 1983). Se il D. fu l'autore o comunque sovrintese alla esecuzione del Mosè,dimostra qui scarsa conoscenza del corpo umano: il bozzetto a confronto appare molto più armonioso e convincente. Allo stesso modo le sue statue, la Carità e la Fede del Monumento Caetani (1578) e la Giustizia e la Fortezza della Tomba Gonzaga (1591), hanno posizioni goffe (ad eccezione della Carità)e presentano, soprattutto la Giustizia,una gestualità teatrale, oltremodo enfatizzata. Le figure del Cristo e di S. Pietro a S.Pudenziana (1596), d'altro canto molto più frenate, sono legnose e slegate l'una dall'altra. Tracciare qualsiasi tipo di sviluppo stilistico. nella produzione del D. è piuttosto difficile. Le Ninfe di Tivoli, infatti, che sono la sua prima commissione, nel loro classicismo e nella derivazione da disegni eseguiti da Pirro Ligorio per un'altra opera presentano già due aspetti che saranno costanti in tutta l'opera successiva del D.: una stretta aderenza ai modelli antichi e la fiducia nei suggerimenti e nell'esempio degli altri artisti. Ma forse proprio questa mancanza di originalità fece di lui un collaboratore di successo, quale egli fu nei riguardi di suo fratello, di suo zio, di Domenico Fontana e soprattutto, per un lungo periodo, di Francesco da Volterra. Infipe va ricordata l'asserzione del Baglione che il D. "spetialmente faceva de' ritratti assai bene", come si vede nel busto ritratto del cardinale Cornaro in S. Silvestro al Quirinale.
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