PAOLO, della Pergola
– Fu il più famoso esponente di una famiglia marchigiana di insegnanti (Lepori, pp. 541 s.) e nacque a Pergola, nelle Marche, nell’ultimo ventennio del Trecento.
Il cognome è incerto. Secondo Arnaldo Segarizzi (1917, p. 232) il riferimento al fratello Alvise quale figlio di «Antonio de Stefani da la Pergola», in un documento del 28 luglio 1461, ne indicherebbe l’appartenenza alla «famiglia Stefani», ma il raffronto con altri documenti induce invece a credere che «de Stefani» si riferisca al nome del nonno (Nardi, 1957, p. 136, n. 15). La scarsezza di notizie biografiche su Paolo, molto ammirato dai contemporanei, aveva dato origine anche all’ipotesi che gli attribuiva «il cognome di un altro Paolo dalla Pergola, il Godi» (Segarizzi, 1917, p. 232). Errata risulta quindi la congettura di Cicogna (pp. 467 s.), che attribuisce a Paolo Godi l’influenza del nostro sul vetraio muranese Angelo Barovier, suo discepolo, a proposito della tecnica di coloritura del vetro (Mariacher).
Avviato forse alla carriera ecclesiastica nella nativa Pergola, si trasferì ben presto a Venezia, dove se non il padre Antonio, certamente il nonno Stefano, medico e figlio di maestro Giovanni (Piana, p. 144), doveva avere dimorato stabilmente, insieme agli altri due figli (Luchino, «rector scholarum» a S. Giovanni Nuovo, e Pietro, che pure ci è noto come «magister»). Con lo stesso titolo di «magister» è ricordato anche il fratello di Paolo, Alvise, che insegnò in diverse scuole veneziane tra il 1420 e il 1461 (Lepori, pp. 541 s.).
Il 7 febbr. 1421 Paolo assunse l’insegnamento di logica e filosofia alla Scuola di Rialto e ne tenne ininterrottamente la cattedra fino al 15 luglio 1454.
La Scuola, fondata nel 1408 per lascito del ricco commerciante fiorentino divenuto cittadino di Venezia, Tomà Talenti, uomo «nutrito di disprezzo per le lettere e di dedizione alla filosofia di Aristotele» (Lepori, p. 539) – una posizione che lo portò in acceso contrasto con Petrarca – era dunque frutto di una precisa scelta culturale in favore dell’insegnamento «di logica e di filosofia naturale», come avviamento a una formazione rivolta precipuamente alle scienze (Nardi, 1957, p. 108).
Così, soprattutto per opera di Paolo della Pergola, la Scuola assunse la struttura di una vera e propria facoltà delle arti con insegnamenti di teologia, astronomia e matematica; ma il governo veneziano non volle contrapporla allo Studio patavino, di cui restò solo scuola propedeutica (Maccagni, pp. 160 s.).
Tre testimonianze ci informano sul corso di studi di Paolo. Un suo discepolo, frate Giovanni Antonio, afferma che fu allievo del veneziano Paolo Nicoletti (Paolo Veneto), di cui è probabile che abbia seguito le lezioni tenute a Padova (dal 1408 fin verso il 1420) e dove conobbe, tra gli altri condiscepoli, Gaetano da Thiene, con cui restò poi legato da sincera amicizia (Segarizzi, 1915-16, p. 666). Paolo Veneto tenne corsi anche a Bologna nel 1424, dove il pergolese si laureò l’anno successivo in artibus (Piana, p. 144). Tra i suoi promotori fu Niccolò Fava, deciso oppositore delle tesi averroistiche del suo illustre maestro veneziano. Più tardi troviamo Paolo della Pergola citato come doctor artium in vari documenti accademici dello Studio patavino (Zonta e Brotto, nn. 804, 1023, 1584, 1625) e in uno di essi (n. 2404) anche come dottore artium et theologiae. Il titolo di dottore in teologia gli viene attribuito anche in alcuni manoscritti dei Dubia e del suo Compendium logicae (cfr. Kristeller, p. 111 e Roma, Biblioteca Corsiniana, ms. 876).
Dall’inizio del suo magistero alla Scuola di Rialto, nel febbraio 1421, fino alla morte, nel 1455, Paolo della Pergola dimorò stabilmente a Venezia, dove Giorgo Trapezunzio ne attesta la presenza fin dal 1420. In quattro testamenti, datati dal 1441 al 1449, Paolo è citato come pievano della chiesa di S. Giovanni Elemosinario di Rialto, presso la quale trovò sede stabile la Scuola (Lepori, pp. 546 s.). Per attestazione di Luca Pacioli, fu anche canonico di S. Marco e nell’aprile 1448 fu eletto vescovo di Capodistria, carica che tuttavia non accettò per non rinunciare all’insegnamento (Segarizzi, 1915-16, p. 658). Le testimonianze, tra le altre, dell’umanista bolognese Giovanni Lamola (Müllner, pp. 239-243) e di Ciriaco d’Ancona mostrano che egli godeva di indubbio prestigio culturale sia a Venezia, sia a Padova.
Sotto la reggenza di Paolo della Pergola la Scuola di Rialto ampliò l’ambito delle materie insegnate e modificò il proprio stato giuridico e istituzionale. Alla logica e alla filosofia naturale Paolo aggiunse altre discipline, sull’esempio della facoltà delle arti di Padova, di cui divenne, come si è accennato, un’ottima scuola propedeutica per le lauree in artibus, in medicina e anche in teologia. Alla Scuola fu più tardi conferito lo statuto di scuola pubblica, di cui lo Stato assumeva la responsabilità giuridica e sosteneva in gran parte l’onere finanziario, ma l’ambizioso tentativo di Paolo di trasformarla in una vera e propria facoltà universitaria incontrò un’insuperabile resistenza da parte del Consiglio dei Dieci, che lo censurò con durezza nella seduta del 17 giugno 1445 (Lepori, p. 550).
L’impegno didattico di Paolo fu, per diretta testimonianza, eccezionale e di carattere quasi enciclopedico. Oltre alla logica e alla fisica, tenne anche lezioni di metafisica e di filosofia morale, nonché qualche corso di teologia. Sicché, a parte l’insegnamento della teologia, il maestro di Rialto «svolgeva, lui solo, un programma di insegnamento identico in sostanza a quello che a Padova svolgevano almeno quattro o cinque maestri della scuola delle Arti» (Nardi, 1957, p. 113). Non è nemmeno escluso che tenesse anche lezioni di matematica e sono noti i suoi interessi per l’alchimia. Le sue conoscenze sulla mescolanza e la trasformazione dei metalli furono applicate all’arte vetraria da Angelo Barovier, suo discepolo a Rialto, per ottenere le mirabili colorazioni dei vetri di Murano (Lepori, p. 549).
Varie fonti confermano che le lezioni di Paolo della Pergola furono frequentate con successo da molti studenti, religiosi e laici. Tra i suoi discepoli più noti, si segnalano Francesco Contarini, di Bertuccio, poi vescovo di Cittanova d’Istria e maestro di teologia e metafisica; Gioacchino Torriani, nominato generale dell’Ordine domenicano nel 1487; l’averroista Nicoletto Vernia, divenuto nel 1458 lettore ordinario di filosofia naturale all’Università di Padova; l’altro Francesco Contarini, di Nicolò, noto per la lettera contro Poggio, scritta con Lauro Querini e Nicolò Barbo in difesa della nobiltà veneziana; Sebastiano Badoer, protettore e amico del Vernia; e per finire il suo successore Domenico Bragadin. Molti suoi allievi contribuirono come amanuensi alla diffusione dei testi studiati nella Scuola, presso la quale Paolo istituì anche una specie di convitto (Lepori, pp. 553 s.).
Paolo della Pergola morì il 30 luglio 1455 e fu sepolto con grandi onori nella chiesa di S. Giovanni Elemosinario, dove gli fu costruito a pubbliche spese un monumento sepolcrale, poi distrutto da un incendio nel 1513, di cui Segarizzi riporta l’epigrafe (Segarizzi, 1915-16, p. 659, n. 2).
Di Paolo, ci restano le opere logiche, scritte per sua stessa testimonianza a scopi esclusivamente didattici: i Dubia super consequentiis Strodi, che forse riprendono in forma organica i contenuti di un corso sull’opera di Ralph Strode (cfr. Boh, 2000, pp. 139 s.); il Compendium logicae (o Logica), che segue da vicino la Logica parva di Paolo Veneto e il De sensu composito et diviso, che dipende dall’omonimo trattato di William Heytesbury (Maierù, p. 35). Tali opere ebbero una vasta circolazione manoscritta e nell’ultimo ventennio del Quattrocento godettero anche di una notevole fortuna editoriale. La lettura dei Dubia era prescritta dagli Statuti del 1496 della facoltà delle arti dello studio patavino (Lepori, pp. 556 s.). Nella Logica Paolo fornisce esposizioni delle principali dottrine logiche in tutto parallele a quelle del suo maestro, da cui non si discosta e dal quale di solito dipende (Maierù, pp. 118, 471, 482). L’opera non viene certo giudicata come esempio di innovazione, ma piuttosto come un mosaico delle dottrine note al suo tempo (M.A. Brown, p. viii). Come il suo maestro, la trattazione del pergolese sviluppa una logica «priva di ontologia» (Lahey, p. 481) che si sforza di «omettere» ogni questione che non riguardi la dimensione meramente «sintattica» del linguaggio (Boh, 1965, pp. 31s). Nel trattato De sensu composito et diviso segue, certo, il testo di Heytesbury, ma «con sviluppi propri e originali» (Vasoli, p. 45). A Paolo sono inoltre attribuiti due commenti, incompleti, sui sophismata e i sophismata asinina di Heytesbury (S.F. Brown, p. 925; Braakhuis).
Dal contenuto delle opere logiche non è possibile accertare la posizione teorica di Paolo, mentre sulle sue propensioni filosofiche ci offre fondate indicazioni il dialogo inedito De mortalium felicitate di Nicolò da Cattaro, vescovo di Modrussa, più noto col nome di Modrussiense. Il dialogo, terminato nel 1461-62 e ambientato nella Scuola, attesta che Paolo commentava nelle sue lezioni le opere di Duns Scoto e che sotto la sua direzione la Scuola aveva uno spiccato orientamento scotistico, una circostanza confermata anche dall’insegnamento affidatogli presso i minoriti francescani di Venezia (Lepori, pp. 559 s.). L’aristotelismo professato da Paolo doveva dunque essere «un aristotelismo temperato ad mentem Scoti» (ibid., p. 570).
Fonti e Bibl.: E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, vol. VI.1, Venezia 1853; K. Müllner, Reden und Briefe italienischer Humanisten, Wien 1899; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini: Ab anno 1406 ad annum 1450, a cura di G. Zonta e G. Brotto, Padova 19702, ad indicem; A. Segarizzi, Cenni sulle scuole pubbliche a Venezia nel secolo XV e sul primo maestro d’esse, in Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, LXXV, 2 (1915-16), pp. 637-667; Id., Notizie varie, in Nuovo archivio veneto, XXXIII, 1, n.s. XVII (1917), p. 232; B. Nardi, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze 1957, pp. 99-145; Paul of Pergula, Logica and Tractatus de sensu composito et diviso, a cura di M.A. Brown, St. Bonaventure, NY, 1961; B. Nardi, La Scuola di Rialto e l’Umanesimo veneziano, in Civiltà europea e civiltà veneziana, vol. II, Umanesimo europeo e Umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze 1963, pp. 93-139; G. Mariacher, Barovier, Angelo (Agnolo da Murano), in Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma 1964, pp. 492 s.; I. Boh, Paul of Pergula on supposition and consequences, in Franciscan Studies, XXV (1965), pp. 30-89; C. Piana, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Padova, Quaracchi 1966, ad indicem; B. Nardi, voce Pergola, Paolo della, in Enciclopedia filosofica, Firenze 1967, vol. IV, coll. 1495 s.; A. Maierù, Terminologia logica della tarda scolastica, Roma 1972; F. Lepori, La Scuola di Rialto dalla fondazione alla metà del Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 3. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento I-III, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore-Stocchi, Vicenza 1980, II, pp. 539-605; C. Vasoli, La logica, ibid., III, pp. 35-73; C. Maccagni, Le scienze nello studio di Padova e nel Veneto, ibid., pp. 135-171; H.A.H. Braakhuis, Paul of Pergula’s Commentary on the ‘Sophismata’ of William Heytesbury, in English Logic in Italy in the 14th and 15th Centuries, a cura di A. Maierù, Napoli 1982, pp. 343-357; I. Boh, The Four Phases of Medieval Epistemic Logic, in Theoria, LXVI (2000), pp. 129-144; S. E. Lahey, Paul of Pergula, in A Companion to Philosophy in the Middle Ages, a cura di J.J.E. Gracia e T.B. Noone, Malden, Mass. 2003, pp. 481 s.; S.F. Brown, Paul of Pergula, in Encyclopedia of Medieval Philosophy: Philosophy between 500 and 1500, a cura di H. Lagerlund, Dordrecht 2011, II, pp. 923-925.