Pera, della (Peruzzi)
E antica tradizione fiorentina che la casata dei Peruzzi - ancora oggi fiorente - fosse derivata da quei de la Pera che D. fa citare da Cacciaguida (Pd XVI 126) onde dare un esempio di quanto modesta fosse l'estensione urbanistica di Firenze nei primi secoli della sua storia, in una città dal picciol cerchio nella quale si poteva entrare per una postierla che traeva il nome da quello di una famiglia abitante nei suoi pressi. A loro volta, i della P., probabili antenati dei Peruzzi, vennero più tardi accomunati dai genealogisti fiorentini dei secoli XVI, XVII e XVIII con le casate alle quali essi tenevano ad assegnare antiche origini romane, analogamente a ciò che quegli eruditi amavano fare a proposito di Firenze figlia di Roma (Cv I III 4).
Giovanni Villani è, però, piuttosto incerto (IV 13) nell'accogliere questa tradizione; e se scrive che " quelli della Pera ovvero Peruzza " abitavano " dietro a San Piero Scheraggio ove sono oggi le case de' figliuoli Petri ", aggiunge subito che " alcuno dice ch'e' Peruzzi che sono oggi furono stratti di quello legnaggio " e conclude con un " ma non l'affermo ", che ci dà la misura di quanto già ai tempi di D. questa vicenda genealogica fosse difficile a ricostruire. Fra i commentatori della Commedia, l'Ottimo - accuratissimo in queste erudizioni fiorentine - asserisce che i della P. " vennero sì meno, che di loro non fu memoria ", escludendo, quindi, la continuità con i Peruzzi; il Landino, citando il Malispini, aggiunge che " questi della Pera... sono spenti ", così come fa più tardi il Vellutello, il quale afferma l'avvenuta estinzione dei della P., né accenna alla continuità di quella stirpe nei Peruzzi. Il Follini (editore della Storia fiorentina del Malispini) avanza, invece, l'ipotesi che la denominazione della postierla (" Peruzza ", o " Pieruzza ") non sia derivata dal cognome dei della P., come dice D., bensì dal nome della vicina chiesa di San Piero (Pero) a Scheraggio. I della P. avrebbero poi preso nome dalla postierla, presso la quale avevano le case; postierla che si diceva " Peruzza " per distinguerla dalla " mastra porta di San Piero ", di poco lontana. Fra l'altro, il Follini dichiara di dissentire da quei commenatori che avevano accettato l'ipotesi della continuità - anzi, dell'identità - genealogica tradizionalmente stabilita, " erroneamente ", tuttavia, creduta.
Come, però, non mancano riserve a proposito della tradizione, così non ne mancano conferme autorevoli. Quali quella dataci da Pietro, il quale chiama i della P. senz'altro Peruzzi; dal commentatore del codice cassinese e da Francesco da Buti (" da quei de la Pera, cioè de' Peruzzi, li quali furono grandi cittadini abitanti in su quella porta nel Sesto di San Piero Scheraggio ").
Ha un qualche interesse un tentativo di ricostruzione etimologica del nome della postierla, e quindi del cognome della stirpe che ne avrebbe preso la denominazione, compiuto dai commentatori della Commedia, Benvenuto da Imola, Giovanni da Serravalle e Stefano Talice da Ricaldone, i quali affermano (pur rendendosi conto della scarsa credibilità di quanto dicono, che sa di aggiustamento voluto a posteriori, senza valido fondamento critico) che una " vendipira " (secondo Benvenuto), o una " mulier... quae vendebat fructus et vocabatur... Pera, quae habebat duos filios pravos homines, qui furabantur, seminabant zyzaniam, ita quod quasi dicebatur in Florentia: ‛ Cave tibi a filiis Perae ' " (secondo il Serravalle), o addirittura una " tricula " o " meretricula " (nell'accenno che ne fa il Talice), soleva esercitare i suoi piccoli commerci di frutta (specialmente di pere) " iuxta illam portulam ", la quale " ab illa Pera, scilicet muliere... dicebatur Porta Pera ". Il Serravalle conclude il suo dire con un'affermazione perentoria (" Et hoc videtur incredibile; fuit tamen verum ") la quale sembra essa stessa confessione dello scarso fondamento critico del racconto che egli, forse mutuandone il motivo centrale dai commentatori precedenti, amplifica in senso peggiorativo svariando sullo stesso tema.
Incertezza di conclusioni a proposito di questo problema storico-genealogico si ha anche negli scritti degli eruditi e nei lavori critici più recenti, ai quali la frammentarietà delle fonti archivistiche (scarsissime per i secoli più antichi della storia cittadina e delle vicende delle grandi consorterie fiorentine) non offre elementi validi e risolutivi da aggiungere alle contrastanti asserzioni dei cronisti e dei commentatori di Dante. Il Passerini, ad esempio, si limita a dichiarare di " rispetta[re], senza investigarla, la tradizione " e presenta la " cognazione " dei Peruzzi come continuazione di quella più antica dei della P.; seguito in questa presa di posizione dal Vernon e, più tardi, dall'archivista e genealogista degli Azzi Vitelleschi, che limita a un " si crede " i suoi dubbi circa questo problema, pur istituendo un sostanziale rapporto d'identità fra i della P. e i Peruzzi.
Se poco o nulla sappiamo circa i della P. - dei quali non restano tracce nella documentazione archivistica, forse in conseguenza della confusione (o continuità) con i Peruzzi -, ben noti sono, invece, questi ultimi, consorteria di grande rilievo nella vita pubblica fiorentina medievale e moderna. La vicenda genealogica di questa famiglia travalica il limite cronologico dell'età di D. e si continua fino ai nostri giorni.
Limitandoci, tuttavia, ai soli primi secoli della storia familiare dei Peruzzi, è agevole trovare, oltre che nelle cronache del Villani e del Compagni, nella documentazione archivistica fiorentina le testimonianze dell'importanza che essi ebbero nella società del comune, per i numerosi e impegnativi uffici ricoperti nelle magistrature politiche e amministrative, nella diplomazia, nel governo del Dominio, e, più ancora, per l'attività lungamente fortunata svolta dalla ben nota compagnia mercantile e dalla " ragione " bancaria che da essi presero il nome nel Trecento.
Capostipite della consorteria è ritenuto essere stato nel secolo XII un Ubaldino di Peruzzo, i cui figli sono ricordati in documenti fiorentini dei primi del Duecento. L'unità della stirpe si articolò agl'inizi di quel secolo in due ramificazioni, con i figli di un Amideo di Guido di Peruzzo, Arnolfo e Filippo. La discendenza di codesti due personaggi si suddivise a sua volta in numerosi rami; questi ebbero durata e importanza politico-sociale diversa.
I Peruzzi furono tradizionalmente guelfi e sin dai tempi più antichi fecero parte dell'aristocrazia del quartiere di Santa Croce, dove nel Medioevo erano poste le loro case. Già avanti il secolo XII essi facevano parte del gruppo di famiglie padrone di case e torri entro il primo cerchio delle mura urbane; nel 1286 Pacino di Arnolfo comprò dal comune una porzione delle vecchie mura della seconda cinta, la porta civica detta dei Peruzzi, una strada, una piazza e un palazzo, che reca ancora lo stemma della consorteria. Già nel Duecento la ricchezza dei P. era notevolissima, in conseguenza del fortunato esercizio della mercatura (ebbero in origine un fondaco di panni a Santa Cecilia) e dell'ancora più fortunata attività di cambiatori e di prestatori, che si estese all'Italia e poi in Francia e in Inghilterra, dopo un poco fortunato tentativo di penetrazione nella Spagna. Politicamente allineati agl'interessi del guelfismo e della curia romana, i Peruzzi sostennero - come fecero altre grandi consorterie mercantili fiorentine, quali gli Acciaiuoli - gli Angiò, i quali aprirono ai loro traffici e alla loro influenza politico-amministrativa-finanziaria il regno meridionale. La società dei Peruzzi aprì in Italia e fuori filiali nelle maggiori piazze commerciali, e s'impegnò in grossi prestiti ai papi, agli ordini ospitalieri di Gerusalemme e di Rodi, ai principi e ai sovrani europei; ricavandone utili cospicui insieme con vantaggi di natura politica ed economica. Ai primi del Trecento il giro dei loro capitali aveva raggiunto cifre elevatissime, come mostrano i bilanci della società del periodo 1308-1312. Questa floridezza economica si sviluppò per due secoli, in stretta concordanza con l'influenza politico-sociale. Membri autorevoli com'erano del ceto dirigente cittadino, capi delle Arti maggiori che avevano in mano i destini di Firenze, gli esponenti della consorteria parteciparono in posizione di primo piano alla suprema conduzione degli affari del comune, come membri della signoria, come alti magistrati, come ambasciatori, incaricati di trattare gl'interessi dello stato, che s'identificavano tanto spesso con quelli della classe dirigente e della loro consorteria. Filippo di Amideo di Guido fu armato cavaliere " a spron d'oro " dal popolo, combatté a Montaperti, e fu capo della Lega guelfa nel 1260; fu priore nel 1284 e nel 1285, oltre che dirigente della ditta domestica; nel 1303 fornì ai ministri di Filippo il Bello di Francia i mezzi per la lotta contro il papa Bonifacio VIII.
L'importanza politica ed economica dei Peruzzi venne più volte rafforzata anche mediante un'accorta ostentazione di amichevoli rapporti con i potenti del tempo: sia che ricevessero nelle loro case il re Roberto d'Angiò, nel 1310, sia che vi ospitassero Maria di Borbone (1347) o, più tardi, addirittura l'imperatore Giovanni VII Paleologo, durante il concilio di unione del 1439. Fra loro si ebbero anche dei mecenati, e in particolare a uno di essi, amico dell'Alighieri, si deve l'iniziativa presa alla morte di D. di trarne dal cadavere la maschera detta " del Torrigiani ", oggi conservata a Napoli.
Di qualche decennio posteriore alla morte di D. è il clamoroso fallimento della compagnia dei Peruzzi, la cui catastrofe segna anche l'inizio del tramonto della libertà cittadina, legata al fiorire della borghesia impegnata nel commercio, nella banca, nella produzione artigiana. Il tracollo fu dato alle fortune dei Peruzzi dai troppo stretti legami intrattenuti fin dai primi del Trecento con la casa reale d'Inghilterra, della quale la compagnia, operando in unione con quella dei Bardi, finanziò largamente le spese di corte e le imprese militari in Francia. Sfortunato in guerra, Edoardo III fu costretto a mancare agl'impegni assunti verso i creditori; né Bonifacio Peruzzi riuscì a ottenere dal sovrano il pagamento di somme sufficienti almeno a evitare un completo disastro. Nel 1343 essa risultava creditrice di circa 600.000 fiorini, mentre ai Bardi la corona inglese ne doveva più di 780.000. L'inesigibilità dei crediti, il sopravvenire della peste del 1340 e della carestia del 1341, il danno che derivò all'economia fiorentina dallo sforzo bellico conseguente alla lotta contro gli Scaligeri e i Pisani, e, infine, il tracollo della signoria del duca di Atene, obbligarono i Bardi e i Peruzzi a fallire, nell'ottobre 1343, trascinando nella propria rovina quella di moltissimi altri operatori economici. Nel giugno del 1347 il concordato definitivo con i creditori veniva sottoscritto, per i Peruzzi, da Pacino di Tommaso, da Donato di Pacino, da Ottaviano di Amideo, da Berto e Lepre di Ridolfo, e da Bartolomeo di Giotto.
Bibl. - Le fonti cronistiche e archivistiche relative alla vicenda genealogica dei Peruzzi, alla compagnia, e alla storia fiorentina dell'età di D. della quale essi furono attori principalissimi, sono criticamente studiate dal Davidsohn, Storia, passim, e da G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Milano 1966. Sintesi della loro storia familiare sono state pubblicate da L. Passerini, nel commento al romanzo di A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ecc., II, Firenze 1845², 422-424; da G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno, ecc., II, Documenti, Londra 1862, 549; da Scartazzini, Enciclopedia 1474-1475; e da G. degli Azzi Vitelleschi, nella Enciclopedia storico-nobiliare italiana, a c. di V. Spreti, V, Milano 1932, 277-281 (che aggiorna le notizie fino ai P. tuttora viventi). Per la storia della compagnia mercantile, oltre al Davidsohn, cfr. L.S. Peruzzi, Storia del commercio e dei banchieri di Firenze in tutto il mondo conosciuto dal 1200 al 1245, Firenze 1868; B. Barbadoro, Le finanze della repubblica fiorentina, ibid. 1929; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, ibid. 1926; ID., I libri di commercio dei Peruzzi, Milano 1934 (edizione dei libri superstiti); Y, Renouard, Les relations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à 1378, Parigi 1914. Per la conoscenza delle tesi sostenute dagli eruditi circa le origini e i primi secoli di storia della famiglia, cfr. G.F; Gamurrini, Storia genealogica delle famiglie nobili toscane e umbre, II, Firenze 1614, 127; S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, ibid. 1615, 17, 57, 115; ID., Famiglie nobili napoletane, II, ibid. 1642, 250, 263; ID., Albero e istoria della famiglia dei conti Guidi, ibid. 1640, 38; ID., Opuscoli, III, ibid. 1642, 12, 168; ID., Vescovi di Fiesole, di Volterra e d'Arezzo, ibid. 1637, 44, 45, 227; V. Borghini, Discorsi, a c. di D. M. Manni, II, ibid. 1755, passim; B. de' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli, nella quale si ragiona... delle famiglie e degli uomini di Firenze, ibid. 1585, 56; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze e de' Fiorentini, ibid. 1593, 124, 136, 138, 145, 146; ID., Difesa della città di Firenze e de' Fiorentini, ecc., Lione 1577; U. Verini, De illustratione urbis Florentiae libri III, Parigi 1583, 55; M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d'Italia, ecc., I, Roma 1656, 107, 327; II, Pistoia 1657, passim; III, Venezia 1662, 273.