DELLA LANA, Iacopo, detto il Laneo
Nacque a Bologna, sicuramente dopo il 1278, da Uguccione di Filippo.
Il Gualandi rilevò la contemporanea presenza a Bologna fra il sec. XIII e il XIV di diversi omonimi del D., e li distinse per genealogia e per quartiere. Oltre al D. ci dà notizia di Iacopo di Guglielmo, di lacopo di Gherarduccio e di lacopo di Domenico. Inoltre il Livi individuò uno Iacopo "quondam Bonzanini", e uno Iacopo "qui Mellus vocatur filius quondam Vandi". Si conosce infine uno "lacopo de Lana", frate eremitano, il quale compare in qualità di testimone ad un atto di pace fra privati nella chiesa di S. Giacomo a Bologna il 17giugno 1325: non è improbabile che quest'ultimo corrisponda a qualcuno dei già nominati.
Oggi, comunque, appare sicura l'identificazione del commentatore di Dante col Della Lana.
Fiorentina sembra essere l'origine della sua famiglia: il padre Uguccione risulta infatti ascritto alla Compagnia dei Toschi dall'anno 1293 e, sin dal 1263, vi apparteneva il nonno Filippo, frate della penitenza o del terz'ordine di S. Bernardo. A Bologna Uguccione abitò nel quartiere di Porta Procula, come si legge in un documento del 1308 ("De quarterio Portae Proculae Capellae Sancte Luciae ... Uguizone cui dicitur Cone quondam fratris Philippi"). Sappiamo però che, almeno dal secondo semestre di quello stesso anno, Uguccione ed i fratelli Oliviero e Bartolomeo abbandonarono Bologna. Il 7 ag. 1308, infatti, Tommasino di Rolandino, in qualità di procuratore "Uguicionis, cui dicitur Zonus, Bertolini et Auliverii fratrum et filiorum condam fratris Philippi, Capellae Sanctae Luciae", cura per loro conto la vendita di un pezzo di terra. Non sappiamo ove essi si recarono, ma nel 1323 li troviamo a Venezia, come ci attesta l'inventario dell'eredità dello stesso Tommasino, dal quale apprendiamo che "Zonem, Bartolomeum et Auliverium fratres ... nunc: morantur in terra Veneciarum".
Della nascita del D. non sappiamo nulla; possiamo però dedurre da successivi riscontri che egli sia nato, come. già detto, dopo il 1278. Ce ne dà conferma il fatto che in una rassegna generale, ordinata nel 1296 allo scopo di censire i cittadini di età compresa fra i diciotto ed i sessant'anni abili alle armi, mentre vi compaiono il padre "dominus Ugucio" e lo zio "dominus Bertolinus condam fratris Phylipi", non troviamo traccia alcuna del D., segno ch'egli appunto non aveva ancora compiuti i diciotto anni. A poi dubbio se il D. seguì il padre a Venezia, oppure se in Bologna, sede del legato pontificio Bertrando del Poggetto, egli abbia scritto il suo commento, ricco di spunti antipapali e fortemente impregnato di ghibellinismo. Se da un lato, infatti, il D. rivela nel suo commento d'aver notizia dei fatti e delle cose di Venezia e delle terre vicine, al punto da spingerci a ritenere che qui egli abbia dimorato per un po', dall'altro sono lo spirito e la natura stessa di quel commento a ricondurci all'ambiente universitario bolognese. A giudizio del Gualandi il D. non seguì la famiglia a Venezia, ma rimase a Bologna e la cosa potrebbe trovare conferma in alcuni documenti. Innanzitutto uno Iacopo della Lana compare nel novero dei cavalieri che Bologna inviò nel 1315 a sostenere Firenze impegnata nella guerra contro Uguccione Della Faggiuola. Poi, nei libri delle provvigioni e delle riformagioni, uno Iacopo della Lana viene più volte citato negli anni 1318 e 1319. Infine, sempre nei suddetti libri, in data 26 apr. 1323, uno Iacopo de la Lana compare come ingegnere e "magistris lignaminis", creditore del Comune "pro 141assidibus alberis pro ratione vigintiquinque ... depositarius debeat solvere libr. 36 et solidos 5".
Tali notizie paiono tuttavia scarsamente attendibili, sia per la già rilevata presenza di non pochi omonimi del D., sia per l'evidente discordanza fra quella presunta professione di magister lignaminis e l'opera sua di interpretazione in margine alla Commedia. Sarà dunque preferibile, in mancanza di sicuri dati archivistici, attenersi alle scarse notizie che, su di lui, ci forniscono i codici ed a quanto ci è possibile ricavare dalla forma e dalla natura stessa del commento.
Sin dal sec. XIV possiamo contare almeno 32 codici. che contengono, tutto od in parte, il commento in volgare del D., ma non tutti recano il nome dell'autore. Fra questi, di particolare interesse sono due spezzoni di uno stesso manoscritto, rispettivamente conservati presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze (n. 1005) e presso la Braidense di Milano (AG. XII.2). Mentre il Riccardiano ci tramanda il testo dell'Inferno e del Purgatorio unitamente al commento acefalo del D., il Braidense, del tutto simile all'altro nell'aspetto generale e nel formato, a sua volta ci trasmette il testo del Paradiso con il commento relativo. Dall'explicit apprendiamo che questo codice Riccardiano-Braidense fuesemplato dal noto copista e miniatore bolognese Galvano di Tommaso cui sono forse attribuibili quelle forme linguistiche settentrionali che, nel manoscritto, caratterizzano la lezione dantesca. Considerando che Galvano di Tommaso fu attivo a Bologna sino al 1341 e poi a Padova sino al 1347, anno in cui morì, dobbiamo riconoscere in questa una delle copie più antiche del commento. Nei margini di diverse carte del codice troviamo, più volte citato, "Iacomo de Cone del fra' Phylippo da Bologna" ovvero "Iacomo de Cone del fra' Phylippo della Lana", o più semplicemente, "Iacomo del Con". Si tratta cioè di una ben precisa identificazione, tanto più valida in quanto opera di un contemporaneo del D., residente nella sua stessa città.
Del commento del D. esistono anche traduzioni latine, le più importanti delle quali sono opera di Guglielmo Bernardi e del giureconsulto bergamasco Alberico da Rosciate. La traduzione del Bernardi sembra sia stata ultimata nel 1349: tale infatti è l'anno che viene indicato alla fine dell'Inferno, tradotto dal Bernardi in un codice Bodleiano del sec. XV. La traduzione del Rosciate, della quale si ignorano gli anni, compare in un manoscritto della Nazionale di Parigi (Fonds Italien n. 538, già della Libreria di S. Giustina di Padova), che fu esemplato nel 1351. Mentre la traduzione del Bernardi ci si presenta quasi letterale e fedele al testo volgare che viene traducendo, quella del Rosciate, soprattutto nell'Inferno, èpiù libera e ricca di chiose. Ed è appunto il Rosciate a fornirci, in appendice alla sua traduzione, ulteriori notizie sul D.: "Hunc comentum tocius huius comedie composuit quidam dominus Iacobus de lalanna Bononiénsis licentiatus in artibus et teologia, qui fuit filius fratris Filipi de lalana ordinis Gaudentium; et fecit in sermone vulgari tusco". Sebbene il Rosciate confonda il padre Uguccione col nonno Filippo e lo dica erroneamente frate godente, non possiamo però non accettare quella qualifica di "licentiatus in artibus et teologia" con la quale egli designa il Della Lana. Solo collocando il D. sullo sfondo dello Studio bolognese possiamo bene intendere ed apprezzare lo spirito della sua opera di esegesi, che proprio sulla coeva cultura scolastica si fonda e, ciò che più conta, trae forma.
Nell'esaminare, dunque, con maggiore attenzione il commento, possiamo innanzitutto avanzare alcune ipotesi relative alla sua possibile datazione. Fu già il Rocca ad osservare come il modo stesso con cui il D. parla dei tempi di Dante possa spingerci ad ipotizzare la stesura del commento in tempi abbastanza lontani dal poeta. Eppure, anche prescindendo dal Riccardiano-Braidense, sono proprio le traduzioni a ricondurci ad una data sicuramente anteriore alla metà del sec. XIV. Più precisamente alcuni luoghi del commento ci suggeriscono che questo dovette esser completo prima del 1328. Nel commento al canto XX dell'Inferno, là ove Dante narra di Pinamonte Bonacolsi, il quale si impadronì della signoria di Mantova nel 1272, il D. dice che "al presente non è in Mantova se non messer Passerino". Sapendo che Rinaldo Bonacolsi, detto Passerino, fu signore di Mantova sino al 1328, anno in cui fu ucciso, possiamo riconoscere in quell'anno un probabile termine ante quem per la stesura del commento. E la cosa trova ulteriore conferma in un altro luogo del commento, nel proemio al canto XXV del Paradiso. Nel passo in questione, il D. ci descrive infatti la situazione a Firenze all'epoca in cui i fuoriusciti "tornati, incontanente fecero nuova lezione di priori" e la dice durata sino all'epoca sua: noi sappiamo che tale situazione perdurò in Firenze sino alla morte di Castruccio Castracani, avvenuta il 3 settembre del 1328.
A fissare una data di inizio per la stesura del commento possiamo valerci delle osservazioni avanzate a suo tempo dallo Scarabelli e riprese poi dal Rocca. Se lo Scarabelli osserva che il D., nel citare s. Tommaso, lo indica spesso con l'appellativo di frate in luogo di quello di santo, il Rocca nel rilevare un luogo in appendice al commento dell'Inferno in cui il D. definisce s. Tominaso "quel benedetto santo", ritiene verosimile che la stesura del commento alla prima cantica non possa essere anteriore al 1323, anno della canonizzazione del santo. Con la critica più recente si possono, dunque, indicare negli anni 1324 e 1328 i limiti cronologici della stesura del commento. Terzo fra i grandi commentatori di Dante, dopo lacopo Alighieri e contemporaneo, ma poco più tardo, a Graziolo Bambaglioli, il D. per primo estende a tutto il poema l'opera di esegesi, ed ampliandola ne rinnova le forme ed i contenuti. Attento alla spiegazione letterale, che garantisca al lettore la piena comprensione del testo, il D. si volge ad una lettura del poema in chiave filosofico-teologica nella quale appieno rivela la propria fisionomia intellettuale di o teologo licenziato". L'accresciuta quatitità della materia, ampiamente attinta dalle dottrine scolastiche obbliga il D. ad una ridistribuzione della stessa. A così che, accanto alla chiosa che accompagna il testo, il D. viene utilizzando i proemi quali luoghi da lui preferiti per non brevi digressioni, sviluppate alla iraniera di vere e proprie "questioni". Tale tendenza a concentrare nel proemio il meglio dell'interpretazione si accentua con il procedere del commento. Il proemio, inizialmente funzionale ad un collegamento fra i diversi canti, e sede di una breve illustrazione dell'"intenzione del capitolo", diviene, soprattutto nel Paradiso, l'unico luogo per il commento, mentre la chiosa che accompagna il testo si limita ad una breve esposizione letterale dei versi. Nel proemio generale alla Commedia il D., che mostra di conoscere l'Epistola a Cangrande come conosce del resto il De monarchia, indica tra i fini del poema il "rimuovere le persone che sono al mondo dal vivere misero e in peccato e produrli al virtuoso e grazioso stato", ma tende poi a risolvere l'esemplarità del viaggio dantesco riducendolo nell'ambito di una astratta e generica allegorizzazione. Il D., che nel rivolgersi al lettore volentieri lo indica con l'appellativo di "studente" o "studiente", gli illustra una dottrina considerata oggettivamente preesistente al testo commentato, talvolta addirittura estranea ad esso.
A beneficio del lettore il D. inframmezza la sua spiegazione con momenti novellistici ove antico e moderno, mitologia e cronaca si fondono. A questo interesse per le "molte novelle" unisce una particolare attenzione per la "polita parladura", evidente nei rapidi apprezzamenti e nei giudizi su alcuni luoghi del poema; entrambe, le "molte novelle" e la "polita parladura" rientrano poi, a giudizio del chiosatore, fra i fini della stessa Commedia. Il commento ci rivela altresì l'ideologia politica del D., antiteocratica ed antipapale, accesa di un ghibellinismo che supera, a volte, le posizioni dello stesso Dante e che si rivela, fra l'altro, nella massiccia inserzione di brani dalla Monarchia.
Della morte del D. non conosciamo l'anno: sappiamo solo che nel 1358 era ancora vivente, testimone alla pace concordata fra suo figlio Pietro ed alcuni suoi nemici.
Il commento del D. fu edito per la prima volta da Vendelin de Spira a Venezia nel 1477 (cfr. Indice generale degli incunaboli, I, n. 358);è del 1866 una non troppo felice edizione del commento, a cura di L. Scarbelli: Comedia di Dante Allagherii, Bologna 1866-67.
Fonti e Bibl.: A. Gualandi, G. dalla Lana bolognese, primo commentatore della Divina Commedia..., Bologna 1865;utile lo studio di L. Rocca, Di alcuni commenti della Divina Commedia composti nei primi vent'anni dopo la morte di Dante, Firenze 1891,pp. 127-227. Cfr. inoltre A. Fiammazzo, Le vers. latine del Laneo, in Bull. della Soc. dantesca ital., n. s., IX (1909) pp. 132 s.; G.Livi, Dante, suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, pp. 52 s., 63 s., 253-56; Id., Dante e Bologna. Nuovi studi e documenti, Bologna 1921, pp. 36-43;E.Cavallari, La fortuna di Dante nel Trecento, Firenze 1921, pp. 185-190;H.Schroeder, Das Problem einer Neuherausgabe des Lana-Kommentars, in Deutsches Dante-Jahrbuch,XVII (1935), pp. 77-101; M.Ceresi, Collez. di codici danteschi della Divina Commedia, in Boll. dell'Istituto di patologia del libro "A. Gallo", XXIV (1965), p. 35;F.Mazzoni, I. D. e la crisi nell'interpretazione della Divina Commedia, in Dante e Bologna nei tempi di Dante, Bologna 1967, pp. 265-306; G.Costa, Dante e l'esegesi trecentesca della Commedia,in La leggenda dei secoli d'oro della letter. ital., Bari 1972, pp. 9-13; Encicl. dantesca, III, pp. 563 ss. (s. v. Lana, Iacopo della).