DELLA GHERARDESCA, Bonifazio (Fazio) Novello
Unico figlio maschio del conte di Donoratico Gherardo detto Gaddo di Bonifazio, alla morte del padre, il 1 maggio 1320,era ancora minorenne, sì che rimase sotto la tutela del prozio paterno, il conte Ranieri di Gherardo, che divenne signore di Pisa. L'11 maggio 1321 il podestà di Pisa stabilì che al giovane spettasse, per le spese necessarie al mantenimento suo e della sua casa, tenuto conto della sua elevata condizione sociale, la rilevante cifra di 10.000 lire l'anno. Dai documenti relativi a questo atto risulta, come dagli altri documenti riferentesi alla minorità del D., che in esso ebbe un ruolo di rilievo, come procuratore del giovane conte o del suo tutore, Tinuccio Della Rocca. Dopo la morte del conte Ranieri (13 dic. 1325), Tinuccio assunse la tutela del D. nel 1326, e in tale veste si recò alla fine del 1326 in Aragona dove, il 18dicembre ottenne per il giovane conte dal re Giacomo II la rinnovazione della concessione in feudo di quei beni che possedeva in Sardegna prima che l'isola fosse stata conquistata definitivamente dagli Aragonesi (primavera del 1326).
Poco dopo, nel marzo del 1327, il D. agiva da solo, avendo ormai raggiunto la maggiore età. A questo stesso anno 1327 risalgono anche le prime notizie in nostro possesso sull'attività politica del D. che ci testimoniano come questi andasse assumendo un ruolo importante, anche se non ancora prevalente, in Pisa: risulta infatti che egli fu tra coloro i quali, tra il settembre e l'ottobre di quell'anno, accettarono di dare la città a Ludovico il Bavaro. Poco dopo verosimilmente, sposò Bertecca, figlia di Castruccio Castracani degli Antelminelli, signore di Lucca, già fiero nemico di Pisa ma in quel momento alleato del Bavaro.
Da Bertecca, che era già sua moglie nel luglio 1328 e che morì prima del 1337, il D. ebbe due figli maschi - Ranieri Novello, futuro signore di Pisa dal 1340 al 1347, e Gherardo, morto bambino il 23 luglio 1336 - e una femmina, Emilia, che sposò Ugolino Gonzaga.
Niente sappiamo del D. durante la signoria di Ludovico il Bavaro su Pisa; ma, dopoché l'imperatore ebbe lasciato la città nell'aprile del 1328 per la Lombardia, il diffuso malcontento per la sua signoria portò il 17 giugno 1329 all'aperta ribellione, capeggiata dal D., e alla cacciata del suo vicario, Tarlato d'Arezzo. Il D. fu nominato capitano della masnada e capitano generale di Pisa e iniziò una politica realistica e più consona agli interessi cittadini, i cui primi obiettivi furono la pace con Firenze e con le altre città guelfe toscane, con il re di Napoli e con la Chiesa. Con Firenze si giunse rapidamente alla pace di Montopoli del 12 agosto, anche se non mancò l'opposizione di alcuni irriducibili "ghibellini". L'anno seguente fu stipulata la pace con Siena, il 12 luglio, e poi, il 6 settembre, con il re Roberto d'Angiò. Contemporaneamente a questi fatti politici Pisa ritornò sul piano religioso, nel settembre 1329, all'obbedienza al papa Giovanni XXII. La città era stata infatti sin'allora la sede di Pietro da Corvara, l'antipapa fatto eleggere a Roma il 15 maggio 1328 col nome di Niccolò V da Ludovico il Bavaro. L'imperatore, partendo, aveva posto Niccolò V sotto la protezione del D., il quale lo ospitò nel suo castello maremmano di Bolgheri finché non ottenne per lui garanzie dal pontefice. Nell'agosto del 1330 Pietro da Corvara fu trasferito ad Avignone. Sia il D. sia i Pisani furono largamente ricompensati dal papa: il D. ricevette dal pontefice i castelli di Montemassimo presso Livorno, il 22 maggio 1331, e di Pereta nella diocesi di Sovana nel settembre 1332; ottenne inoltre nel febbraio del 1331 di fondare un monastero di clarisse presso la chiesa di S. Martino in Chinzica.
Dopo la liberazione dal Bavaro, i Pisani ripresero il corso della propria politica, spinta ora dagli interessi economici cittadini ad un'intesa col retroterra, assumendo malgrado i rovesci e le perdite subite negli anni precedenti una parte attiva sia nei confronti della questione lucchese - Lucca era in mano ad un gruppo di audaci avventurieri pronti a venderla al migliore offerente - sia nei confronti di Massa, con l'intento di rafforzare le proprie posizioni in Maremma. Quando, nel giugno del 1331, Massa Marittima si ribellò ai Senesi, i Pisani colsero l'occasione per affermarvi il proprio protettorato. Pronta fu la reazione senese: ne seguì una guerra che ebbe sorti alterne e terminò il 4 sett. 1333 grazie all'intermediazione dei Fiorentini, i quali però cercarono d'imporre il loro protettorato su Massa, finché, il 24 ag. 1335, i Massetani filosenesi cacciarono il podestà fiorentino e sottomisero definitivamente la loro città a Siena. li tentativo compiuto da Firenze di estendere la sua egemonia sino a Massa preoccupò molto Pisa, che si volse allora ad appoggiare Abatino Del Malia, il quale il 28 luglio 1335 aveva fatto ribellare Grosseto ai Senesi. La manovra fallì perché, dopo appena un anno di governo, Abatino cedette Grosseto ai Senesi (26 luglio 1336).
Intanto, però, il gruppo dirigente pisano, che esprimeva la volontà e le esigenze della maggioranza borghese ed aveva il suo centro nel D., aveva dovuto affrontare una serie di problemi interni. Nel 1329 e poi di nuovo nel 1331 si era provveduto ad un rinnovo delle "tasche" degli Anziani; nel 1330 era stata nominata una speciale commissione - alla quale partecipò talvolta lo stesso D. - incaricata dell'opera di pacificazione interna.
Un primo tentativo di opposizione al D. e alla sua politica si verificò nel luglio del 1330 e fu guidato da Gherardo di Pellaio Lanfranchi. Nel gennaio del 1332, con l'appoggio di Lucca e di Parma i fuorusciti, capeggiati da quell'Orlandi che era stato vescovo di Aleria in Corsica e poi arcivescovo scismastico di Pisa, tentarono d'impadronirsi con la forza della città, ma vennero respinti, grazie anche al pronto intervento fiorentino. Si trattava però di episodi che rappresentavano l'ultimo disperato sforzo compiuto da una scarsa minoranza per riprendere il potere a Pisa. Tuttavia la situazione non era del tutto tranquilla. Tra il 1332 e il 1335 Si produsse infatti e crebbe un certo malcontento interno, dovuto anche alla guerra con Siena, malcontento che si manifestò con ribellioni e congiure nel contado. Il governo cittadino cercò di ovviare a questa situazione al principio del 1335 attraverso una riforma degli uffici pubblici, che fu affidata ad una ristretta commissione di cui fece parte anche il Della Gherardesca. La sera del 10 nov. 1335 scoppiò una nuova ribellione, questa volta in Pisa, capeggiata dai Gualandi Maccaione, da Ranieri Gualterotti Lanfranchi e da alcuni dei Casalei Galli, degli Upezzinghi e dei Sismondi, e da Enrico Gaddubbi dei Gaetani. Essa ebbe come pretesto la conferma in carica di Michele Lante da Vico, già da lunghi anni cancelliere degli Anziani, ma in realtà era stata preparata da accordi con Mastino Della Scala, nuovo signore di Lucca. Grazie alla pronta reazione del D., del governo e del popolo, i ribelli furono sconfitti e costretti a lasciare la città la notte stessa, prima che potessero giungere gli aiuti lucchesi loro promessi. Dopo questa ribellione, il D. provvide a consolidare il proprio regime e giunse a farsi nominare, il 15 dicembre, capitano di Guerra e di Guardia.
Il secondo periodo della signoria del D., dalla congiura del 1335 alla di lui morte avvenuta alla fine del 1340, fu caratterizzato da un'atmosfera di pace e di benessere, atmosfera che non venne turbata da assalti esterni o da rivolte interne. Il D., pur accentrando nelle sue mani poteri sempre più ampi, riuscì tuttavia ad evitare forme troppo autoritarie e personali di governo e alterazioni dell'assetto costituzionale del Comune, che avrebbero potuto irritare la popolazione o far sorgere malcontenti. Egli e il governo promossero una serie di misure tese ad incrementare l'economia e il benessere della città e del contado, tanto che della sua signoria rimane un ricordo assai positivo nei cronisti pisani trecenteschi. Al suo nome restarono, tra l'altro, legate una serie d'iniziative edilizie in città, come la costruzione della torre Vittoriosa all'imboccatura settentrionale del ponte di Spina in ricordo della vittoria sui ribelli del 1335; i lavori di risistemazione della piazza degli Anziani; l'inizio della costruzione della nuova piazza del Grano nel 1338; e il rafforzamento delle opere di difesa cittadine. Anche nel contado furono promossi lavori pubblici: si trattò soprattutto di opere di fortificazione e, per migliorare le comunicazioni con i territori meridionali di dominio pisano, della costruzione tra il 1338 e il 1340 di un ponte sul fiume Cecina, alla testata del quale furono impresse oltre alle armi del Comune, quelle dei conti di Donoratico, segno indubbio dell'interesse del D. per quest'opera. Presso il ponte egli volle insediare, nella primavera del 1340, la colonia agricola di Villabuona. Il nome del D, è ad ogni modo particolarmente legato all'istituzione ufficiale dello Studio a Pisa nel 1338.
In politica estera il D. cercò d'instaurare o di mantenere buoni rapporti con le città vicine: positivo fu l'accordo con Firenze, e non ostile fu, malgrado l'aiuto dato da quella città ai ribelli del 1335, l'atteggiamento ufficiale verso Lucca ed il suo nuovo signore Mastino Della Scala. Una novità è rappresentata dall'instaurarsi, a partire dal 1333, di buoni rapporti anche con l'antica rivale, Genova, rafforzatisi nel 1335, dopo il ritorno al potere in quella città dei Doria e degli Spinola. E proprio una Spinola, Contelda, figlia di Corradino, il D. sposò in seconde nozze, il 29 genn. 1337. Infine, il 10 apr. 1340, fu stipulata una convenzione navale tra Pisa e Genova.
Il D. morì ancora giovane - poco più che trentenne - il 22 dic. 1340, a Pisa.
Lasciava la terza moglie, una nobildonna romana, Isabella di Iacopo Savelli, da lui sposata dopo la morte di Contelda Spinola, e due figli di cui uno solo maschio, l'allora undicenne Ranieri Novello, che aveva avuto dalla prima moglie, Bertecca di Castruccio Castracani. Come il padre e come il nonno, aveva abitato sempre nel palazzo vicino al ponte Vecchio, nella cappella di S. Sebastiano in Chinzica. Ci è rimasto il suo testamento, redatto il 19 luglio 1337 e modificato in alcune parti poco prima della morte, in particolare nelle clausole riguardanti la sua terza moglie. Dichiarava erede universale il figlio Ranieri Novello, e lo poneva sotto la tutela di Tinuccio Della Rocca, il quale aveva sempre goduto della sua fiducia.
Il corpo del D. fu sepolto, secondo la volontà del defunto, nel sepolcro della famiglia nella chiesa di S. Francesco.
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