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DELLA CHIESA, Carlo Francesco Renato, marchese di Cinzano

di Enrico Stumpo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)
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DELLA CHIESA, Carlo Francesco Renato, marchese di Cinzano

Enrico Stumpo

Nacque a Saluzzo il 4 luglio 1624, primogenito di Giovanni Antonio, conte di Stroppo, e di Lucrezia Castagna.

Di famiglia d'antica nobiltà, legata prima ai marchesi di Saluzzo, poi dopo la morte dell'ultimo marchese, alla Francia, e infine ai Savoia, dopo la pace di Lione del 1601, il D. venne avviato dal padre agli studi di diritto, prima a Parigi, poi ad Avignone, seguendo la consuetudine della famiglia. Lo stesso Giovanni Antonio, entrato al servizio dei Savoia, aveva scelto la carriera di magistrato. Un altro fratello, Francesco Agostino, fu storiografo ducale e vescovo di Saluzzo, mentre altri tre fratelli, Carlo, Silvestro e Flaminio, capitani delle milizie ducali, caddero nelle guerre di Carlo Emanuele I.

Appare quindi evidente che la carriera del D. si svolse in parte all'ombra di tali precedenti servizi della famiglia. E in effetti la sua lunga carriera, svoltasi nell'arco di più di mezzo secolo, costituisce un perfetto esempio dei servizi resi dalla nobiltà sabauda alla casa ducale. Essa fu infatti il risultato di un insieme di elementi che caratterizzano tutta, o quasi, la nobiltà e la burocrazia nel Piemonte dell'epoca: la capacità personale, i servizi precedenti resi dalla famiglia, il ricorso alla vendita o alla "finanza" per alcune cariche. Per fare un solo esempio il D. pagò, fra "finanze" per alcune cariche e prestiti al duca, ben 90.500 lire d'argento di Piemonte nel corso della sua carriera, quando lo stipendio più alto da lui raggiunto come presidente della Camera si aggirava sulle 6.000 lire. Sarebbe tuttavia errato credere che la carriera del D. fosse dovuta alla venalità. Questa gli servì in qualche caso per abbreviare i tempi dell'attesa nel passaggio da una carica ad un'altra, o per ottenere di mantenerne più d'una. Gli altri fattori, particolarmente la sua capacità ed il lungo servizio, furono probabilmente ancor più determinanti.

Nell'aprile 1645 il D. si addottorò nello Studio di Torino, dopo gli studi e la laurea in Avignone. Pochi mesi dopo fu nominato prefetto di Saluzzo. Il 10 febbr. 1651 successe al padre nella carica di senatore e consigliere ordinario nel Senato di Piemonte. Quindi, nel 1657, con "finanza" di lire 12.000 d'argento, ottenne la carica di quarto presidente della Camera dei conti di Piemonte. Negli anni seguenti si successero le promozioni e le cariche, parte per finanza, parte per merito: terzo presidente della Camera nel 1662, cavaliere di gran croce e gran conservatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro l'anno seguente; secondo presidente della Camera - carica acquistata per 13.500 lire - nel 1664, e quattro anni dopo, presidente, nel Senato, del contado d'Asti. Nel 1677 è secondo presidente del Senato e nel 1683 primo presidente della Camera. Infine nel 1692, con finanza di 20.000 lire, ottenne, caso piuttosto raro, la carica di primo presidente del Senato, cumulando le due più prestigiose cariche della magistratura piemontese.

Che tuttavia la carriera del D. fosse dovuta più che altro alle sue capacità e al servizio effettivamente prestato lo dimostrano sia la sua copiosa corrispondenza con le reggenti e i duchi Carlo Emanuele II e Vittorio Amedeo II, sia i numerosissimi biglietti e dispacci sovrani a lui indirizzati e conservati nell'archivio di famiglia. Da questi risulta che per ben due volte il D. fu impiegato anche in incombenze militari. Nel settembre 1649 venne inviato infatti a Saluzzo per levare 200 uomini e contrastare l'azione spagnola verso Ceva; e nel 1672 venne ancora incaricato di levare 300 volontari, in occasione della guerra contro Genova. Ma ricevette soprattutto incarichi civili, muovendosi per tutto il Piemonte. Nel 1660 era a Bene, nel 1663 a Fossano, nel 1666 a Savigliano, quindi nel 1668 a Biella e Vercelli, sempre per "il buon reggimento" delle Comunità. E ancora nel 1677 era inviato a Chambéry, nel 1682 a Mondovì, nel 1685 a Nizza.

Ed è soprattutto nel governo della difficile provincia di Mondovì, sottomessa manu militari da don Gabriele di Savoia l'anno precedente, che il D. mostrò tutte le sue capacità conquistandosi l'anno dopo, come premio, la carica di primo presidente della Camera. Anche se vari autori accennano a una durata di dieci mesi del governo della provincia, in realtà, dalla corrispondenza del D., conservata nell'Archivio di Stato di Torino, risulta che egli si fermò a Mondovì dal giugno 1682 all'ottobre 1683, forse con altro incarico. Di tale governo il D. ha lasciato una preziosa relazione inedita, conservata nell'archivio di famiglia.

Tra il 1680 e il 1681 Mondovì e la provincia si sollevarono contro il malgoverno ducale, soprattutto contro le ingiuste ripartizioni dei carichi fiscali e in particolare della gabella del sale. Nella provincia fioriva inoltre un ricco contrabbando con Genova che le autorità cercavano di contrastare con repressioni violente e assai impopolari. Fu la più grave rivolta popolare in Piemonte nel corso del secolo, repressa con l'intervento delle truppe regolari, con una vera e propria spedizione militare. E alla repressione con le armi seguirono alcuni mesi di governo militare con esecuzioni, esili e trasferimenti coatti di semplici sospetti. La relazione del D., finora sconosciuta, è molto interessante. Essa è divisa in tre parti: nella prima vi è una premessa storica e geografica sulla città e la provincia, che al tempo di Emanuele Filiberto era più ricca e popolata della stessa Torino e contava uno Studio, poi trasferito nella capitale. Nella seconda parte il D. esamina la situazione della provincia dopo la rivolta, confrontandola a quella di un malato dopo una grave malattia e quindi convalescente. Nella terza infine suggerisce i rimedi da proporre nei tre campi, giudiziario, politico e militare. Colpisce nel D. il riconoscimento di alcuni errori e ingiustizie nel governo della provincia prima della rivolta (termine da lui sempre evitato con cura, preferendo quello più vago di "moti") e la rinuncia del ricorso alla forza a favore della "soavità", anche se poi i rimedi proposti risultano sempre quelli tipici del tempo: allontanamento dei sospetti, anche se funzionari o militari, con trasferimenti coatti; esenzione da alcuni carichi fiscali o alleggerimento di altri per qualche anno e simili.

L'azione del D. fu tuttavia molto apprezzata a corte e oltre alle ricompense personali ne ottenne anche per il figlio Francesco Filippo che, già prefetto di Saluzzo, senatore a Nizza, consigliere e referendario di Stato, ebbe la carica di sovrintendente generale della politica e polizia della città di Torino, nel 1684, e successe poi al padre in quella di governatore della città e provincia di Mondovì.

L'attività del D. non si limitò tuttavia al campo amministrativo. Come già il padre, che aveva pubblicato in due volumi alcune Observationes forenses Senatus Pedemontani (Torino 1653), di lui ci restano, a stampa, una Consultatio in collationibus beneficiorum ... , s. n. t. e un Responsum Senatus Pedemontani super indulta datum, attribuito allo stesso D., a testimonianza della sua duplice attività sia nella Camera dei conti sia nel Senato di Piemonte (in realtà questa seconda opera è un prodotto collegiale del Senato di Torino sotto la sua presidenza). Del resto il fatto di essere stato nominato seppure al termine ormai della sua carriera, anche alla carica di primo presidente del Senato lo conferma.

L'unica critica che fu fatta al D. nel corso della sua carriera resta quella contenuta nel giudizio di lui dato dal presidente Bellezia al duca in occasione della nomina del D. a primo presidente della Camera: "Una sola cosa corre di lui ed è che sia uomo di fazione..., il che quando fosse vero potrebbe sperarsene la correzione del trovarsi in quel supremo grado, dalle prudentissime ammonizioni dell'A.V.R., dall'assistenza degli altri presidenti di toga e di finanza... e dei patrimoniali..." (cfr. Dionisotti, p. 255).

Ancora nell'ultimo periodo della sua vita il D., che aveva servito sotto le due duchesse reggenti e il duca Carlo Emanuele II, fu utilizzato dal giovane Vittorio Amedeo II. L'incarico più importante fu senza dubbio la sua missione a Vienna nel 1691, per sollecitare l'invio urgente delle truppe imperiali in Piemonte, in occasione dell'entrata in guerra del duca di Savoia contro la Francia di Luigi XIV durante la guerra della lega di Augusta.

Le lettere del duca al D. testimoniano la gravità della situazione dei Sabaudi e l'urgenza della sua missione. La prima, del 27 maggio 1691, reca la notizia dell'arrivo delle truppe francesi del maresciallo N. Catinat ad Avigliana, a 20 chilometri da Torino. Nelle altre il duca, "dal campo presso Torino", dopo aver annunciato la stipulazione della lega "con S. M. Britannica e le Provincie Unite", che in effetti contribuirono largamente alle spese di guerra del duca, si congratulava con il D. per essersi fermato a Vienna e a Monaco di Baviera fino alla partenza delle truppe alleate verso la Lombardia e il Piemonte. E al ritorno, il 2 maggio 1692, il D. venne nominato primo presidente del Senato di Piemonte, con la "finanza" tuttavia di lire 20.000 "per le urgenti necessità della presente guerra".

Morì a Torino, il 30 giugno 1699, e fu sepolto nel suo feudo di Cinzano, del quale aveva ottenuto l'erezione in marchesato.

Aveva sposato in prime nozze Laura dei marchesi Pallavicino (1648) e, in seconde nozze, Elena Broglia, dama d'onore della duchessa reggente, Maria Giovanna Battista di Savoia. Oltre al primogenito Francesco Filippo, a lui premorto nel 1693, da cui derivò il ramo dei marchesi di Roddi e Cinzano, aveva avuto quattro figlie femmine: Barbara, Vittoria, Marianna, Vittoria Gabriella, tutte sposate con esponenti delle più illustri famiglie piemontesi.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Archivio di Corte, Lettere particolari, C, mm. 75-76 (1649-1699), con oltre duecento lett. del D. ai duchi di Savoia; Ibid., Camerale, Patenti Controllo Finanze, 1649, f. 62: nomina a prefetto di Saluzzo; 1651, f. 21: senatore del Senato di Piemonte; 1657, ff. 86, 96: quarto presidente della Camera dei conti; 1664-65, f. 167: secondo presidente della Camera; 1665-66, ff. 105, 107, 128: investitura del marchesato di Cinzano; 1667-68, f. 212: terzo presidente del Senato di Piemonte; 1677, II, f. 205: secondo presidente del Senato; 1682-83, f. 147: primo presidente della Camera; 1691-92, f. 138: primo presidente del Senato; Ibid., Senato di Piemonte, Testamenti pubblicati XVII, f. 90: testamento del D. del 1696; Ibid.: Arch. Della Chiesa di Roddi e Cinzano, Prove di nobiltà, cat. II, m. 1, n. 16: prove di nob. del D., per l'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; Ibid., Cariche giuridiche, cat. IV, m. 1, nn. 43-48: patenti originali e titoli del D.; m. 2, nn. 2 ss.: patenti per le cariche già ricordate; nn. 23-24: lettere di Vittorio Amedeo II al D. per la sua missione a Vienna, 1691; n. 28: relazione originale del D. sul buon governo della città e provincia di Mondovì; Ibid., Patenti e biglietti, cat. VI, mm. 1-2, 1649-1692: ordini e biglietti di S.A.R. al D.; Ibid., Contratti e matrimoni, m. 1, n. 47: contratto di matrimonio con Laura Pallavicino; Ibid., Testamenti e primogeniture, cat. VIII, n. 1, n. 38, 1654: primogenitura a favore del D. di un terzo di tutti i beni feudali della famiglia; n. 2, nn. 4-5: due testamenti del D., 1696-97. G. G. Loya, Elogio di Gioffredo, Lodovico, Giovanni Antonio e Francesco Agostino Della Chiesa, in Piem. illustri, IV, Torino 1784, pp. 111 ss.; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte..., Torino 1798, I, 282 s., 392; C. Dionisotti, Storia della magistr. piemontese, Torino 1881, pp. 254, 274, 280, 327, 395, 404; D. Carutti, Storia di Vittorio Amedeo II, Torino 1897, pp. 95 ss.; sulla storia della rivolta di Mondovì, ma senza particolari riferimenti all'opera del D., esiste solo F. Valla, Saggio intorno alla guerra del sale. Contr. alla storia di Mondovì, Mondovì 1894; C. Savio Storia di Saluzzo dal 1635 al 1730, Saluzzo 1928: pp. 66 s.; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, p. 254; E. Stumpo, Finanza e Stato moderno nel Piemonte del Seicento, Roma 1979, pp. 179, 217.

Vedi anche
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