DELFINONE
Famiglia di ricamatori attiva a Milano nel sec. XVI, i cui estremi biografici sono ricostruiti da fonti archivistiche inedite, indicate dagli Indici lombardi (Arch. di Stato di Milano, LXXI).
Gerolamo di Ambrogio compare in un documento relativo all'affitto di una casa in parrocchia S. Maria Beltrade a Milano il 1° sett. 1520 dove è indicato "per instrumentum emancipatum" (Ibid., Notarile, b. 5381 n. 2971). A questa data, pertanto, Gerolamo doveva essere già adulto e professionalmente autonomo. Dopo atti privati rogati nel 1535, 1536, 1539, 1543 (ibid., b. 8400 n. 2160, b. 8401 n. 2376), 1549 (ibid., b. 7033 n. 10370), nel 1555, in un atto (ibid., b. 12296 n. 1071) relativo ai figli Giovanni Battista e Scipione, si fa riferimento a un precedente contratto del 1552, da cui Gerolamo risultava già defunto. La sua morte si colloca quindi tra il 1549 e il 1552.
L'unica fonte storica sull'attività di Gerolamo è il Lomazzo, legato da profonda consuetudine con il figlio: Scipione. Secondo il Lomazzo (1590, pp. 399, 401), il maestro di Gerolamo fu Luca Schiavone. Dopo il suo apprendistato, Gerolamo raggiunse grande fama nella sua" professione, in cui "ebbe particolare eccellenza ne' ricami di cose religiose". Il Lomazzo afferma che "fu ricamatore del Principe Doria, a cui fece anco il suo ritratto con quello del Duca di Borbone e dell'ultimo Duca degli Sforci, in ricamo", eseguito forse nel 1526 (l'opera è andata perduta). La notizia di stabili rapporti di lavoro tra Andrea Doria e Gerolamo rende prezioso, per la ricostruzione dell'attività del ricamatore, l'inventario degli arredi del palazzo di Fassolo a Genova, redatto nel 1561 alla morte del Doria (E. Pandiani, Arredi ed argenti di Andrea Doria da un inventario del 1561, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LIII [1926], pp. 258-262, 269 s.). Nell'inventario non compaiono i tre ritratti, ma sono registrati molti parati da letto ricamati in oro e argento su tessuti preziosi, nonché numerosi "apparati" per le singole sale, e dieci paia di lenzuola di cui si specifica che i ricami furono eseguiti a Milano. Si può presumere che parte dei ricami di arredamento e tutti quelli di biancheria eseguiti a Milano fossero opera di Gerolamo, ma nulla è sopravvissuto. Oltre ai tre ritratti, il Lomazzo (1590) ricorda una seconda opera a ricamo di Gerolamo, la "vita della Vergine ch'egli fece al cardinale di Baiosa, la quale e cosa rarissima". Il lavoro, ora perduto, fu commissionato da un vescovo di Bayeux, probabilmente il milanese Agostino Trivulzio.
Nel 1546 fu affidato a Gerolamo il ricamo del gonfalone di Milano con l'immagine di S. Ambrogio (Casati, 1847, p. 5; Don Ferrante, 1923; Baroni, 1933, pp. 459 s.; Valerio, 1973, p. 19; Bologna, 1981, p. 95; Colombo, Il gonfalone..., in corso di stampa). Dalle scarse notizie sembra che a quella data il progetto fosse già in fase esecutiva, ma fu interrotto o non realizzato poiché nel 1565 l'esecuzione dello stendardo, tuttora esistente, fu affidata al figlio Scipione. Il Lomazzo conclude le notizie su Gerolamo segnalando che anche nelle "tapezzerie" egli "era pervenuto al fondo di cotal arte", senza però specificare alcuna sua opera.
Poiché il vocabolo "tapezzerie" indicava certamente gli arazzi (Colombo, 1982-83, pp. 40 s.), sulla traccia indicata dal Lomazzo si dovrà recuperare l'attività di Gerolamo come arazziere, allo stato attuale degli studi totalmente ignota. Sarebbe utile verificare un eventuale impegno di Gerolamo alle commissioni di Andrea Doria anche come arazziere (Pandiani, cit., p. 265; P. Boccardo, in Raffaello e la cultura raffaellesca in Liguria, Genova 1983, pp. 74-80).Scipione, figlio di Gerolamo (1520 c.-1590). Poiché sia Lomazzo (1590, p. 407) che Morigia (1592, p. 292; 1595, p. 299) segnalano che eseguì una Caccia a ricamo per Enrico VIII d'Inghilterra, morto nel 1547, prima di quella data egli doveva aver conseguito notevole maturità e fama. Se ne deduce quindi una data di nascita intorno al 1520 o poco dopo. La data di morte risulta dallo strumento dotale del figlio Marcantonio, datato 3 sett. 1590 (Arch. di Stato di Milano, Notarile, b. 17577 n. 2942).
La minuta notarile fu redatta con l'indicazione della presenza del padre e del figlio, ma prima della stipula ufficiale del contratto il testo fu corretto con la cancellazione del nome di Scipione, la riduzione al singolare di tutti i verbi e l'aggiunta "quondam Scipionis" al nome di Marcantonio; la morte di Scipione evidentemente sopravvenne tra la stesura e la registrazione dell'atto.
Le notizie sull'attività di Scipione sono ricavate da alcuni documenti inediti dell'Archivio di Stato di Milano e dalle opere del Morigia e del Lomazzo. Con quest'ultimo esistevano relazioni personali e culturali molto strette, essendo Scipione uno dei consiglieri sapienti della "Academiglia" della Val Di Bregno, di cui il Lomazzo era abate (Lomazzo, 1589, p. 49). A causa di tali frequentazioni personali, il Lomazzo fornisce la quasi totalità delle notizie sull'attività dei tre membri della famiglia, a cui si atterranno le citazioni bibliografiche dei secoli successivi.
Nel 1556 Scipione aveva già eseguito e spedito a Parigi un finimento da cavallo ricamato in oro e argento, perduto, che dovette essere di notevole importanza, poiché diede luogo ad una controversia documentata fino al 1560 (Arch. di Stato di Milano, Notarile, b. 12297 nn. 1346, 1347, 1473, 1554; b. 12298 nn. 1642, 1708). Da questo stesso anno venne indicato con l'appellativo "nobilis dominus" (ibid., b. 12298 n. 1795) che testimonia dell'elevata posizione sociale del ricamatore.
Tra il 27 apr. 1562 e il 19 genn. 1563 eseguì, insieme con A. Della Chiesa, "una livrea", per Ludovico Gonzaga, duca di Nevers (ibid., b. 12299 n. 2039; b. 12300 n. 2190). L'11 giugno 1565 Scipione chiese l'autorizzazione a portare armi, perché era minacciato di morte da un tal Piola (Arch. di Stato di Milano, Autografi, 93). Il 14 luglio dello stesso anno 1565 firmò, insieme con C. Pusterla, che è già testimoniato frequentasse nel 1561 (Ibid., Notarile, b. 12298 n. 1891; b. 12299 n. 1963), il contratto per l'esecuzione del gonfalone di Milano, commissionato dalla Magnifica Comunità della città, su disegno di G. Meda.
L'imponente opera (m 5,25 x 3,69), fu consegnata il 7 sett. 1566 e collaudata il 20 dicembre successivo (Morigia, 1595, p. 299; Beltrami, 1897, pp. 41, 51 ss.). Ricordato trent'anni dopo dal Morigia (ibid.) come opera di "mirabile ricamatura e degna di lodi per la sua rarità ed eccellenza", il gonfalone è l'unica testimonianza sopravvissuta di tutta l'attività dei tre D. (Milano, Civiche Raccolte d'arte applicata, proveniente dalla basilica di S. Ambrogio). Su ambedue le facce è rappresentato S. Ambrogio che atterra gli Ariani, sotto un arco trionfale e sullo sfondo di una grande chiesa (per le scelte iconografiche e le loro connessioni con il concilio di Trento e con la situazione politica e religiosa di Milano, cfr. Colombo, 1982-83, pp. 105-132; Id., Per una lettura ..., in corso di pubblicazione). L'importanza del gonfalone risiede non solo nel potere della committenza, nella mobilitazione degli artisti milanesi intorno al concorso per il disegno (C. Urbino, Arcimboldi, Meda), nella qualità del lavoro prestato dai ricamatori, ma soprattutto nel suo valore di simbolo dell'amministrazione pubblica di Milano. Tale fu la coscienza di questo valore che Milano conservò attraverso i secoli sia il prezioso e fragile oggetto, sia il contratto ad esso relativo. È questo un fondamentale documento per la tecnica esecutiva del gonfalone, ma anche per una più generale ricostruzione della tecnica del ricamo nel XVI secolo.
Secondo il contratto, lo stendardo, di 10 braccia d'altezza e 6 e 3/4 di larghezza (corrispondenti a m 5,90 x 3,98, misure lievemente superiori a quelle attuali), doveva essere composto da numerosi elementi separati, ricamati su tela d'oro e d'argento, oppure di colore rosato per gli incarnati, successivamente assemblati sulle due facce del supporto. Le tecniche di ricamo indicate sono la "adombratura", il "profilo", il "rilievo" e il "lavoro a la brozola". Il riscontro tra il dettagliatissimo testo del contratto e il gonfalone consente di riconoscere le singole parti e, su di esse, le tecniche prescritte. In tal modo si può riconoscere la "adombratura" come un procedimento che integra il ricamo a punti lunghi e radi con una velatura di colore soprammesso, secondo il disegno prestabilito. Il "profilo" indica l'uso di cordoni in filato d'oro e d'argento, di vario diametro, applicati sulle linee di forza del disegno. Il "rilievo", presumibilmente una lavorazione a imbottito, è ora difficilmente riscontrabile, per le forti alterazioni subite nel corso dei numerosi restauri. Il "lavoro a la brozola" è prescritto nei paramenti del santo e nelle incorniciature degli elementi decorativi dell'arco, realizzati con un ricamo interamente coprente il tessuto di supporto, a piccoli punti annodati e rilevati ("broza" è termine in uso nell'Italia settentrionale e significa bottone). La faccia del santo e le piccole figure che ornano la pianeta dovevano essere eseguite con una tecnica "che non patisca aqua". Rispetto al contratto furono apportate variazioni nell'area dove sono raffigurati gli ariani, in cui le maglie ricamate ad ago furono sostituite con una tela d'argento "adombrata" e "profilata" e non fu eseguito il previsto trofeo di armi. Avendo lo stendardo subito numerosi restauri segnalati dagli studiosi (Casati, 1847, pp. 8-11; Don Ferrante, 1923, p. 120; Baroni, 1933, p. 462; Rosa, 1957, p. 853; Bologna, 1981, p. 96), i rilievi sono stati pesantemente abbassati e i colori dei filati nelle parti ricamate rinforzati, velati o comunque alterati da interventi propri della pittura.
Pochi mesi dopo la consegna del gonfalone di Milano, due documenti segnalano indirettamente l'assunzione di un'importante commissione che comportava rilevanti spese per l'acquisto di filati d'oro e d'argento. Infatti al 13 apr. 1567 risale una promessa di pagamento ad Antonio Della Chiesa per oro e argento filato e il 16 maggio Scipione prometteva la restituzione di 1050 lire imperiali "Domino Jo. Paulo de Lomatio filio emancipato D.ni Joh. Antonii" (Arch. di Stato di Milano, Notarile, b. 12304 nn. 3396, 3410).
Il 21 nov. 1581 Scipione riceveva 734 lire imperiali da Massimiliano Stampa, marchese di Soncino, per un'obbligazione contratta presso il notaio Antonio Ghisoni, non rintracciata (ibid., b. 17584 n. 413). Nel 1589 pubblicava nel Rabisch del Lomazzo la "Frotola redicolosa di recaton dor Compa' Delfinogn, recamado dra Vall'", lunga invettiva contro i grossisti che acquistavano ogni genere di merce in campagna, rivendendola a caro prezzo in città (per tale scritto satirico Scipione è ricordato dal Tanzi, 1766, come esponente della poesia satirica dialettale).
Ad integrazione dei dati documentari il Lomazzo e il Morigia segnalano opere e notizie relative a Scipione, che confermano una sua preminente posizione nel quadro della cultura milanese della seconda metà del Cinquecento. Secondo i due storici anche Scipione, come il padre, fu oltre che ricamatore, arazziere. Quale ricamatore, secondo Lomazzo (1590, p. 401), Scipione uguagliò il padre nell'esecuzione dei soggetti religiosi, mentre lo superò nei soggetti di caccia. Sia il Lomazzo (1590) sia il Morigia (1592, p. 292; 1595, p. 299) segnalano che Scipione eseguì a ricamo due Cacce, ora perdute o non identificate, una per Enrico VIII d'Inghilterra (morto nel 1547) e una per Filippo II di Spagna, che la regalò alla regina Maria d'Ungheria (è databile al 1556-1558).
Il Morigia (1592, p. 293; 1595, p. 299) segnala tra gli arazzi la "tappezzeria de Satiri e Centauri" eseguita per Filippo II, perduta (R. Andrada Pfeiffer, comunicazione scritta).
Ma l'attività del ricamatore ed arazziere dovette essere ben più ampia delle poche opere ricordate dalle fonti, poiché il Lomazzo (1590, p. 401) informa che "non è principe e signore in queste parti che non abbi alcuna cosa della sua mirabil arte anco in tappezzerie" e il Morigia (1592, p. 292; 1595, p. 299) aggiunge che vi sono "molte divotioni che si vedono di sua mano, fatte a diversi Prencipi". È curioso come, nonostante questa prestigiosa e ampia attività, Scipione non compaia tra gli artisti attivi per il duomo di Milano. La Boeheim (1889, pp. 414 s.) ha attribuito a Scipione la fodera ricamata di una rotella da torneo del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Da altre fonti risulta che il fratello, Giovanni Battista, era notaio (Arch. di Stato di Milano, Notarile, b. 12298 n. 1764), come sarà uno dei figli, Giuseppe, e successivamente numerosi altri membri della famiglia, nel corso del XVII secolo (Ibid., Invent. d. Fondo Notarile).
Marcantonio, figlio di Scipione, nacque intorno al 1570, e morì prima del dicembre 1616. Il probabile periodo della nascita è desunto dal citato strumento dotale del 3 sett. 1590 (Ibid., Notarile, b. 17577), dove Marcantonio compare con il padre, suggerendo così di essere ancora giovane e non emancipato. Anche il Lomazzo (1590, p. 401) lo segnala quale giovane artista in via di intraprendere con onore la stessa professione del padre e del nonno. Pertanto si può supporre che nel 1590 Marcantonio avesse circa 20 anni. Il termine ante quem per la data di morte è indicato da un documento del 13 dic. 1616, relativo ad alcune difficoltà nell'eredità Soatta, in cui compare "Scipio Delfinonus, filius quondam Marci Antonii" (ibid., b. 22908 n. 1547). Né il Lomazzo, né i documenti segnalano specifiche opere di Marcantonio.
Di tutta l'ampia attività della famiglia null'altro è sopravvissuto che lo stendardo di Milano; eppure dalle notizie raccolte risulta chiaramente che i D. diedero vita ad un centro di produzione di ricami e arazzi di importanza europea. Nel loro laboratorio si eseguirono lavori su commissione dei più potenti principi d'Europa, durante circa un secolo, se si considera l'attività perduta del maestro della famiglia, Luca Schiavone.
Purtroppo la perdita quasi totale delle loro opere non consente di individuare il patrimonio delle scelte tecniche e stilistiche operate nel loro laboratorio con cui si potrebbe colmare le lacune di conoscenze tra i ricamatori milanesi della corte sforzesca e quelli della età barocca.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti d'arch. già citate nel testo, cfr. G. P. Lomazzo, Trattato della pittura, scoltura et architettura, Milano 1585, p. 418; Id., Libro secondo dei grotteschi, Milano 1587, p. 114; Id., Rabisch dra Academiglia, Milano 1589, pp. 49, 82, 140 ss.; Id., Idea del tempio della Pittura [1590], a cura di R. Klein, Firenze 1974, I, pp. 399, 401; II, p. 744, note 61, 62; P. Morigia, Historia dell'antichità di Milano, Venezia 1592, pp. 290, 292 s.; Id., La nobiltà di Milano, Milano 1595, p. 299; P. A. Orlandi, Abcedario pittorico…, Bologna 1704, p. 299; C. A. Tanzi, Alcune poesie milanesi e toscane, Milano 1766, p. 91; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1809], Firenze 1970, II, p. 322; P. Zani, Enc. metodica ... delle belle arti, I, 7, Parma 1821, p. 275; G. Casati, Descriz. del confalone o stendardo di Sant'Ambrogio, Milano 1847, pp. 5 s., 8-11; G. Boeheim, Werken Mailänder Waffenschmiede in den Kaiserlichen Sammlungen, in Jahrbuch der Kunsthist. Samml. des allerh. Kaiserhauses (1889), pp. 414 s.; L. Beltrami, L'arte negli arredi sacri della Lombardia, Milano 1897, pp. 41, 51 ss.; Don Ferrante [O. Vergani], Il gonfalone del Comune di Milano, in Città di Milano, XXXIX (1923), 4, p. 120; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, IV, Milano 1923, p. 12; C. Baroni, Appunti d'archivio su G. Meda, in Riv. d'arte, XV (1933), pp. 459-462; G. Rosa, Le arti minori dal 1530al 1630, in Storia di Milano, X, Milano 1957, pp. 851-855; A. P. Valerio, in Il Seicento lombardo, Milano 1973, p. 19; R. P. Ciardi, Gian Paolo Lomazzo. Scritti sulle arti, I, Firenze 1973, pp. 371 s.; II, ibid. 1974, p. 363; G. Butazzi, Tessuti, ricami, trine, in Grandi collez. di arte decorativa nel Castello Sforzesco, Milano 1976, p. 143; G. Bora, C. Urbino. Tre schizzi con storie di s. Ambrogio, in Omaggio a Tiziano (catal.), Milano 1977, p. 86; G. Bologna, Milano e il suo stemma, Milano 1981, pp. 95-98; M. E. Colombo, Il gonfalone di S. Ambrogio; storia, arte, iconografia, tesi di perfezionamento, Univers. cattolica del S. Cuore di Milano, a.a. 1982-83; C. Buss, L'arte del ricamo in ambito ecclesiastico a Milano tra il XVI ed il XX secolo, in Stendardi processionali delle confraternite promosse da s. Carlo (catal.), Milano 1984, pp. 10, 12, 15, 16; M. E. Colombo, Il gonfalone di Milano: l'iter progettuale, in Rass. di studi e di notizie. Castello sforzesco, Milano 1988, in corso di pubblic.; id., Per una lettura iconografica del gonfalonedi Milano, in Atti del Convegno P. Tibaldi, in corso di pubblic.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon…, IX, p. 17.