DELLA PERGOLA, Delfino
Nacque agli inizi del sec. XV da Angelo, originario di Pergola (ora prov. Pesaro-Urbino), condottiero al servizio di Filippo Maria Visconti. Il padre fu successivamente creato conte di Biandrate; ebbe due fratelli, Antonio e Leonoro.
Il 24 ag. 1424, forse proprio per l'interessamento del duca di Milano, Martino V nominò il D. vescovo di Parma; ma poiché a quella data egli, benché già avviato nella carriera degli studi, non aveva ancora ricevuto che gli ordini minori, essendo chierico della diocesi eugubina, fu consacrato vescovo solo il 18 sett. 1426. Lo stesso giorno prese possesso della sede vescovile, mentre il padre era commissario straordinario della città per conto del Visconti.
Non si hanno notizie degli anni immediatamente seguenti; forse si allontanò da Parma nel 1428, a causa della violenta peste scoppiata in quell'anno. Nel 1430 vi ritornò dopo aver conseguito il dottorato in Pavia; da allora presenziò a numerosi altri dottorati concessi nella città di cui era vescovo. Nello stesso periodo il D. iniziò un primo breve periodo di intensa attività nella sua diocesi, caratterizzato fino dagli inizi da una infaticabile difesa dei propri diritti: nel 1431 riuscì a rientrare in possesso di tutti i beni della mensa vescovile, che gli erano stati sottratti in seguito ad una questione con il Visconti, al quale il vescovo di Parma aveva rifiutato un cospicuo prestito necessario alle guerre del duca; non gli riuscì, invece, di riaffermare la propria autorità nei confronti del monastero femminile parmense di S. Paolo, che ottenne da Eugenio IV il diritto di autonomia giurisdizionale dal vescovo.
Nel frattempo il D. decideva di recarsi a Basilea per partecipare ai lavori del concilio, acconsentendo anche in tal modo alle inclinazioni del Visconti, tuttora favorevole all'assemblea conciliare. Nella primavera del 1432 si trovava però ancora a Parma, durante il soggiorno nella città dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, il quale, il 26 maggio, al momento di lasciare la città, confermò al D. ed all'episcopato tutti i privilegi e le immunità precedentemente concessi da re ed imperatori.
Il 2 ag. 1432 era certamente a Basilea, dove insieme con Berengario, vescovo di Périgueux, venne nominato dal concilio giudice generale e commissario deputato ad esaminare la protesta presentata da Domenico Capranica, relativa al rifiuto di papa Eugenio IV di riconoscergli la nomina cardinalizia da parte del predecessore Martino V. In tale occasione egli ebbe modo di interrogare Enea Silvio Piccolomini, allora segretario del Capranica, perché gli mostrasse il documento con cui Eugenio IV ed i cardinali da lui deputati si ostinavano a negare al vescovo di Fermo il diritto al cardinalato. La commissione si espresse a favore del Capranica.
Rimase ancora a Basilea, e vi ritornò negli anni successivi; nel 1434 ottenne dai padri del concilio una bolla che gli riconosceva il possesso di Castrignano, e l'11 genn. 1436 ricevette la conferma dei privilegi goduti dai vescovi di Parma in base ad una bolla concessa al vescovato da Innocenzo IV, il cui contenuto fu ora riaffermato per il nuovo vescovo. Dal concilio ebbe, inoltre, l'incarico di trattare con gli ambasciatori dei principi europei e soprattutto di invitare i Greci alla nuova sede del concilio che si intendeva promuovere per trattare specificatamente il tema dell'unione.
Sicuramente dopo il maggio 1436 egli si recò una prima volta in Oriente a svolgere la sua missione. Una seconda missione in Grecia il D. la svolse alla metà del 1438, ma prima di lasciare Basilea, il 20 ed il 21 giugno, depositò i propri averi presso l'uditore del concilio, Alberto Ferrari. Questi, durante la sua assenza, si allontanò con i beni, cosicché il D., non potendoli riavere al suo ritorno, ne fece rimostranza all'assemblea conciliare, che commise l'intera faccenda a Giovanni Gherluini. L'anno seguente il concilio arrivò alla deposizione di Eugenio IV, ma è improbabile che il D. fosse tra i padri che deposero il pontefice; i suoi compiti a Basilea rimasero, infatti, sempre limitati a commissioni non pertinenti affari di fede, né sembra che egli fosse in questo momento in particolare disaccordo con il papa.
In questi anni intanto, nonostante le assenze frequenti, il D, continuava ad occuparsi del governo della sede vescovile, difendendo la propria autorità da una parte contro le pretese autonomie del clero e dei monaci della diocesi e dall'altra contro i tentativi di prevaricazione dell'autorità secolare. Nel 1438 si riaccese una vecchia questione per il pagamento della dogana del sale; e il D. dovette interessare il Piccinino perché vietasse agli ufficiali della città di esigere il pagamento della gabella dagli abitanti di Rigoso soggetti alla mensa vescovile. Nel gennaio dello stesso anno egli ratificò una scomunica che in sua assenza era stata pronunciata dal vescovo di Lodi, Antonio Bernieri, contro Baldo Soardi signore di Calestano che aveva riscosso a proprio nome le decime spettanti all'episcopato e, nel febbraio, provvide ad aumentare le entrate del vescovo suffraganeo della Maddalena. Il medesimo problema, delle entrate della diocesi, si riproponeva poco più tardi: nel 1440 il D. fece presente ad Eugenio IV lo stato di enormi ristrettezze in cui versavano il capitolo e la cattedrale di Parma, soprattutto a causa delle grandi inondazioni che avevano colpito la regione nell'ultimo periodo, chiedendo perciò, ed ottenendo dal pontefice, che venisse unito alla mensa vescovile il priorato di S. Felicola al fine di incrementarne le entrate.
Soprattutto egli dovette impegnarsi in una serie di controversie. La principale fu quella contro Pier Maria Rossi a proposito di certi castelli che il Rossi possedeva ed il vescovo reclamava come appartenenti alla giurisdizione episcopale e che si prolungò fino al 1454 quando il D. si recò a Roma a difendere, con scarso successo, i propri interessi davanti all'uditore apostolico. Un'altra questione fu quella dibattuta a lungo con il prevosto ed il clero di Borgo San Donnino per contenere la volontà di autonomia dei Borghigiani, che però egli riuscì a domare solo nel 1448. Nel 1446, per compiacere ai desideri del Visconti, aveva dato a livello ad alcuni membri della nobile famiglia milanese dei Trivulzi certe terre del vescovato poste presso la riva del Po. Nel 1447, quando alla morte del duca si formò in Parma un governo popolare, il D. si mostrò ad esso favorevole e ne ottenne che i difensori del Comune si adoperassero per sedare le discordie con il Rossi. Nel 1451 promosse tra i fedeli della città forme di partecipazione allo sforzo economico per la costruzione di una nuova chiesa da edificare in onore dei ss. Pietro apostolo, Pietro martire eCristoforo;accordò indulgenze alla Confraternita della Disciplina o di S. Giovanni Battista ed assegnò ad alcune pie donne di Parma il monastero di S. Maria Maddalena dove poter esercitare la regola di s. Agostino. In questo stesso anno, in qualità di commissario apostolico, commise a Benedetto vescovo di Tripoli, che dimorava in Parma, di condurre un'inchiesta sull'arciprete di Tizzano, Pietro Raschi, e nel 1455 pronunciò la sentenza di scioglimento dai voti in favore di Stefano Genovese, costretto dai genitori a prendere in giovane età i voti tra i canonici agostiniani lateranensi.
Nel 1452 intanto, si era avuta un'altra grave controversia causata dal fatto che il D. volle occuparsi dell'osservanza della regola da parte dei benedettini di Parma, andando così ad urtare contro le prerogative dell'abate del monastero di S. Giovanni Evangelista. Alla visita del vescovo, questi si rifiutò di farlo entrare nel monastero e si appellò con successo al papa, ritenendo di non doversi assoggettare alla giurisdizione dell'ordinario. Nello stesso anno, inoltre, il D. ricevette dal cardinale Bessarione, allora legato in Bologna, l'incarico di visitare la diocesi. Gli anni seguenti furono caratterizzati dal periodico riaccendersi di tutte queste dispute e dalle crescenti gravi perdite delle rendite ecclesiastiche, perdite così gravi che il D. pensò, a partire dal 1454, di recuperare alcune terre che erano state del padre, sparse nel territorio di Gubbio e della Pentapoli. Continui furono anche i viaggi: a Roma soprattutto, per seguire personalmente le cause che lo riguardavano, ma anche a Mantova nel 1459 per partecipare al congresso convocato da Pio II per preparare la crociata contro i Turchi.
Nel 1463, stanco per i continui conflitti, in particolare quello con gli abitanti di Borgo San Donnino, che si era riacceso più violento, il D. si accordò con Giacomo Antonio Della Torre per cedergli la propria diocesi e avere in cambio quella di Modena. La sua attività, benché molto breve, fu qui assai incisiva: oltre a stipulare diversi contratti per la Chiesa modenese, il D. dispose nel 1464 la costituzione di un nuovo censo di tutti i benefici e le chiese della diocesi e nel 1465 pubblicò un editto contro gli usurai (un tema che gli era caro e che già aveva sviluppato mentre era vescovo di Parma), che fu in seguito approvato dal duca Borso d'Este.
Il D. morì di lì a poco, presumibilmente a Modena, certamente prima del 7 giugno 1465, quando venivano eseguiti dei lavori al palazzo arcivescovile della città.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Capp. lat. 165, p. I, ff. 175r-191v; J. Haller, Concilium Basiliense...,V-VI,Basel 1904-27, ad Indicem;G. Silingardi, Catalogus omnium episcoporum Mutinensium quorum nomina magna adhibita diligentia reperiri potuerunt, Mutinae 1606, p. 125; E. Giannini, Mem. istor. di Pergola e degli uomini illustri di essa,Urbino 1732, pp. 85-86; A. Pezzana, Storia della città di Parma,Parma 1837-1859, I, p. 3; II-III, ad Indices; IV, pp. 57, 120; G. M. Allodi, Serie cronol. dei vescovi di Parma, I,Parma 1856, pp. 702-767; G. P. Bognetti, Per la storia dello Stato visconteo,in Arch. stor. lombardo,LIV (1927), p. 308 (regesto di un docum. ducale attestante un tentativo, fallito, del D. di escludere il fratello Antonio dall'eredità paterna per presunta illegittimità di nascita: 1443); C. Piana, Ricerche su le università di Bologna e di Parma nel secolo XV, Firenze 1963, pp. 364, 366, 368, 371-373, 375, 388, 393, 397, 401, 403; Id., Nuove ricerche su le università di Bologna e di Parma, Firenze 1966, p. 477; G. Pistoni, Il palazzo arcivescovile di Modena, Modena 1976, pp. 34 s., 98; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles.,XLV, p. 322; LII, p. 96; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, I,Monasterii 1913, p. 411; II, ibid. 1914, pp.218, 235.