CINELLI, Delfino
Nato a Signa (Firenze) il 16 ag. 1889 da Oreste e da Diornira Bellini, di famiglia agiata, dopo aver frequentato il collegio Cicognini di Prato.e poi il collegio S. Giorgio all'Ardenza, intraprese gli studi commerciali. Il padre era un industriale della paglia, e fino a trentacinque anni il C. si occupò degli affari dell'industria patema all'estero. Fu un anno a Londra, sui diciotto anni, poi in Svizzera, in Germania, negli U.S.A. più volte, a partire dal 1909, Al ritorno da Londra lanciò l'idea della imitazione in paglia dei tessuti alla moda. Nel 1915a Detroit sposò France Hartz. Nel 1925 Si ritirò dall'industria e rilevò unazienda agricola vicino Siena, La Spannocchia, dove morì il 1° maggio, 1942.
L'infanzia e l'adolescenza sono ricordate nell'autobiografico Mio padre (Milano 1932), scritto durante l'ultima malattia paterna. È un documento assai vivo della provincia italiana ai primi del Novecento, quando il paternalismo padronale cominciava a vacillare nel confronto con le prime lotte sindacali, benché una autentica, ingenua nostalgia per la vita del borgo ottocqntesco impedisca una distaccata coscienza dei rapporti reali. Il padre del C., divenuto dal nulla il primo industriale di Signa, l'unico a esportare il prodotto finito, aveva portato al paese una certa agiatezza. "Il tenore di vita dell'operaio era meno elevato e non era protetto da nessuna previdenza sociale ... Erano diversi anche i rapporti tra le classi allora. Forse perché la divisione delle classi era così netta, così definita e definitiva, il passaggio dall'una all'altra così raro e difficile, finiva che non se ne era coscienti: era una condizione naturale della vita" (p. 93). La crisi del dopoguerra colpì anche il padre del C; e i primi scioperi sono registrati con amara ostilità: "capitanate da una famosa megera che per la sua irruenza si guadagnò il nomignolo di "Baldissera" le donne a schiere tumultuanti fecero irruzione nel piazzale davanti alla fabbrica minacciando di dar fuoco alle porte ... Rammento che uno squadrone di cavalleria era accampato davanti alla fabbrica ... E soprattutto rammento la calda ondata di risentimento ... quando il babbo andava a parlamentare ...; era come arrendersi, tradire" (pp. 111 s.). Ma tra l'orditura ideologica e il risentimento classista, compaiono anche vivi motivi, quando prevale la vena fresca, descrittiva, macchiaiola del C., e sono quadri staccati che rimangono impressi: la viottola verso l'Amo, luogo delle passeggiate serali della madre, la sagra paesana, le antiche strade toscane, una gita fatta da ragazzo fino a Vinci.
Nella scrittura del C. si notano due tendenze: l'una di narratore sobrio, sicuro, senza enfasi, nella tradizione dei narratori toscani discendenti da Pratesi e da Fucini; l'altra di ideologo, che produce romanzi d'idee e di discussione. A giudizio unanime della critica il C. migliore fu il primo, quasi il secondo anziché da un dono autentico e personale, derivasse da una giustapposizione di sovrastrutture culturali dell'epoca, da un bisogno di fare il punto, di idealizzare, che restava fuori da una conchiusa forma d'arte. In Miopadre egli stesso dichiarava l'intento di "ritorno alle forme del vecchio racconto toscano che va diritto alle cose senza preoccuparsi dei caratteri i quali dovrebbero scaturire viventi di per sé dalla narrazione", giacché "si cominciava a stancarsi della prigionia dell'analisi, della psicologia malaticcia che da anni affliggeva le lettere" (p. 223), e pare di sentire echi del "ritorno all'ordine" della Ronda.
Dopo un primo esordio poetico che non ebbe seguito (Le nove novene, Milano 1926), il C. si era impegnato sul piano della prosa. Ne venne La trappola (ibid. 1928), storia tragicomica di un oste ingannato dai raggiri di un giovani signore che ne concupiva la moglie; romanzo rapido, efficace, dove sono concentrate le migliori qualità del narratore, accolto dalla critica con favore. Pubblicò poi due volumi intitolati Teatrodei giovani, fiabe note ricostruite in versi (I, Le fiabe, Milano1928) e vicende nuove (II, La vita, ibid. 1929), che ottennero un discreto successo; furono rappresentate a Firenze, (Accademia dei Fidenti) e Milano (Arcimboldi) e apparvero sovente nei repertori di scuole e collegi.
Il C. cominciava allora a dividere la vita tra le cure letterarie e quelle rurali. E nel secondo romanzo. Castigliònche Dio sol sa (Milano 1928; ediz. def., ibid. 1931), assai più ponderoso del primo, sono rispecchiate le. difficoltà e gli entusiasmi di un cittadino per la prima volta alle prese con i problemi dell'amministrazione agricola. Nel successivo La carriera di Riccardo Bonòmini (ibid. 19301, il C. riconoscerà: "Il libro rispecchiava se non proprio la mia vita quale era, almeno quale avrei voluto, e anzi avevo tentato che fosse" (p. 144). Ma egli era letterato oltreché agricoltore, e accanto all'esperienza pratica andava acquistando, proprio attraverso questo contatto diretto con la natura, una sua concezione fatalistica e bonaria della vita; l'uomo non può imporre le sue leggi alla natura e le cose bisogna lasciare che vadano per il loro verso. Castigliòn che Dio sol sa è un libro senza drammi, dove la terra è vista come madre benefica ma anche giudice austero. In questa chiave si articolano anche gli altri suoi racconti regionali: Cinquemila lire (Milano 1930; 2 ediz., ibid. 1931; già a puntate su Pegaso, I [1929]); Lucia (Milano-Roma 1933; già a puntate su Pegaso, IV [1932]) e Campagna (Milano 1939, una raccolta di racconti apparsi sul Corriere della sera). Vicampeggiano figure di donna cui lo scrittore attribuisce qualità più letterarie che reali, quali servissero, o tutte prese dai sensi o tutte sacrificate alla virtù, a completare una prospettiva immobile e tradizionale della campagna. La tematica è costante: la lotta tra bene e male, l'inesorabilità del fato, l'impotenza dell'uomo di fronte al destino. Di questi racconti regionali, se si escludono La trappola e i racconti venatori, non son tanto i personaggi che restano nel ricordo a lettura ultimata, quanto la campagna, la vita delle fattorie, i costumi.
Il C. non volle niantenersi nei limiti della scrittura regionale. Alla concretezza del toscano attento ai colori, ai rumori, alle luci della campagna, che attinge da notazioni recenti e ravvivati ricordi (Maremma, Firenze 1931, un libriccino icritto per una collana dedicata alle regioni, che "ci ridà il senso della Maremma di Fattori e di Carducci, dei grandi orizzonti, coi bovi neri e immobili e i rossi puledri in fuga, le rade boscaglie, la striscia di mare in fondo ...": Baldini), si mescolano ideali tolstoiani e umanitari. Non a caso il C. fu autore anche di un ritratto di Tolstoi (Milano 1934); al grande scrittore russo lo avvicinavano le idee generali sull'uomo e sul mondo, e quell'essere al contempo scrittore e proprietario terriero. Raramente si avvertono nelle sue opere echi di mode letterarie; fa eccezione Calafuria (ibid. 1929), romanzo di sentimenti e di caratteri quasi dannunziano, con risultati assai poveri sul piano psicologico. Del resto si può dire che, pur variando dal racconto regionale al resoconto giornalistico, dal romanzo all'autobiografia, il C. mantiene una tematica costante che è poi quella dettata da una religiosità antica e campagnola, quale traspare dalle pagine di Lucia e di Castigliòn che Dio sol sa. Così un ponderoso romanzo, Ilmiracolodel pane e del vino (Milano 1936; 2 ediz., ibid. 1940; già a puntate su Nuova Antologia, 1° ott.-16 dic. 1935), dove la crisi esistenziale di una giovane donna americana trova soluzione, sullo sfondo di un'isola del Pacifico, a contatto con una natura violenta e una religiosità primitiva e dall'incontro con un lebbroso, non è tanto studio di caratteri o scoperta di una nuova realtà, quanto dimostrazione di una realtà dell'autore.
Sull'America, dove soggiornò sovente, il C. ha lasciato due libri. Nel primo Raffiche sui grattacieli (Milano-Roma 1932; già a puntate su Nuova Antologia, 1° maggio-16 giugno 1932), prevale la componente autobiografica, altra costante della sua scrittura, e che ha ostacolato quella fusione, che la critica aveva visto in Cinquemila lire e Lucia, tra il narrare piano, conversevole, e l'aspirazione a dare una tonalità più alta e drammatica al discorso. Uscito dalla dimensione regionale, il C. appare, e si dichiara, provinciale. Il libro, dove l'America del 1932 è simboleggiata dalla figura di un grande finanziere sull'orlo della rovina e in immagini di giovani donne irrequiete alla ricerca di una loro identità, si chiude su un tono di speranza, che trova la sua sorgente, come spesso nel C., nella forza rigenerante della natura. In America d'oggi. Capitalismo suicida (Firenze 193 8), il C. offre abbondanza di notizie sulla situazione americana, ma qui più che mai si lascia andare alle tentazioni di un idealismo utopico, vagheggiando una "nuova rinascenza" dovuta al progresso scientifico e tecnologico che porterà all'uomo la libertà. A questo seguì, oltre Compagna (Milano 1939), ancora un libro di racconti toscani, Ardenza (ibid. 1942).
Costantemente seguito in vita dalla critica, i suoi pregi di scrittore fegionale furono ripetutamente e autorevolmente riconosciuti (nel 1929 Castigliòn che Dio sol sa ebbe il premio Borletti dell'Accademia Mondadori, e Mio padre nel 1932il premio Fusinato). La sua fortuna pare tramontare dopo la morte, al punto che oggi sembra dimenticato, se si eccettuano frequenti ristampe di sue traduzioni di E. A. Poe (E. A. Poe, Gordon Pym, trad. E. Vittorini, introd. del C., Milano 1937, ristamp. 1950, 1963, 1971;Id., Lo scarabeo d'oro e altri racconti, trad. del C. e di E. Vittorini, Milano 1937, ristamp. 1951, 1970;Id., Racconti, trad. del C. e di Vittorini, Milano 1961, ristamp. 1970;Id., Racconti e arabeschi, trad. del C. e di Vittorini, Milano 1937, ristamp. 1970;Id., Gli assassini della rue Morgue e altri racconti, trad. del C. e di Vittorini, Milano 1073).
Fonti e Bibl.: Necr. in Nuova Antologia, 16 maggio 1942, pp. 141 ss.; B. Tecchi, D. C., Calafuria, in Pegaso, II(1930), 1, pp. 116 ss.; L. D. Cr., D. C., Cinquemila lire, in Nuova Antologia, 16 marzo 1931, pp. 267 ss.; P. Pancrazi, D. C., La carriera di Riccardo Bonomini, in Pegaso, III (1931), 3, pp. 372 ss.; A. Baldini, in Nuova Antologia, 16 giugno 1931, pp. 525-28; E. Palmieri, D. C., in L'Italia che scrive, XVI(1933), pp. 33 ss.; C. Marzot, L'ultimo C., in La Nuova Italia, 20 marzo 1933, pp. 85-88; V. Boscarino, Gli scrittori de l'Eroica, Perugia 1934; B. Tecchi, Maestri e amici, Pescara 1934, pp. 119-130; G. Manacorda, Icontrafforti, Brescia 1946, pp. 179-186; P. Pancrazi, Scrittori d'oggi, Bari 1946, III, pp. 159-164; IV, pp. 72-77; S. Guarnieri, Cinquant'anni di narrativa in Italia, Firenze 1955, pp. 211-217; Diz. universale della lett. contemporanea, p. 804; Enc. Ital., Appendice, I, p. 419; Diz. enciclop. della lett. ital., p. 57.