Vedi DELFI dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
DELFI (Δελϕοί, Delphi)
Città e santuario in Grecia, nella regione della Focide, situato sulle pendici meridionali del Parnaso a circa 600 m d'altezza sul Golfo di Corinto.
Fu luogo sacro fin da epoca antichissima e le varie divinità che si sono susseguite insieme coi varî strati etnici di Grecia hanno costituito come una catena di dèi titolari del santuario e dell'oracolo. Questo, naturalmente, ha funzionato in varie maniere a seconda delle divinità stesse, sempre però fondamentalmente legato alle tre fontane - Kastalia che ancora sussiste, Delphousa e Kassotis, non più identificabili - e alla fessura della roccia presso il grande muro dei decreti di emancipazione (zona dei nn. 28-30, nella pianta), dalla quale fessura, in altri tempi, si diceva emanassero vapori capaci di stordire e rendere profetici uomini ed animali, per lo più capre. La stessa conformazione orridamente alpestre della gola della Kastalia tra le due pareti quasi a picco delle rocce Fedrìadi (= splendenti) ha contribuito a esaltare il significato religioso del luogo.
Nel periodo più antico (tracce fino ad epoca neolitica; IV-III millennio a. C.) troviamo come prima divinità centrale Ghe - Terra - Themis, con le tre Ninfe Fonti o Thriai; con Ghe è certamente connesso il betilo conico, la sacra pietra, che i Greci chiamarono omphalòs e spiegarono poi razionalisticamente come la pietra offerta a Kronos e da lui rigettata; e vi è connesso anche il serpente Python (e il toponimo Pytho), ucciso poi da Apollo quando il dio divenne padrone del santuario. In un secondo periodo si trova come divinità centrale Posidone, in origine divinità assai complessa del mare, della terra e degli inferi. Al sopravvenire di Apollo, Posidone si ritira al Tenaro. Un'altra divinità delfica è Dioniso, oriundo della Tracia; egli porta a D. l'ebbrezza e il culto orgiastico e introduce nella religione l'elemento femminile. Apollo, dio greco d'Asia Minore, immigra a D. da Creta, secondo la tradizione cantata nell'Inno Omerico; il nuovo dio si allea facilmente con Dioniso e raccoglie residui cultuali di tutti gli strati precedenti costituendo il nuovo culto delfico dell'ultimo millennio a. C.
Grande influenza ha sempre esercitato il santuario delfico, e specialmente nelle fondazioni di colonie, nelle purificazioni, nelle istituzioni di culti. E la condotta di D., come autorità religiosa centrale, suprema legislatrice e indicatrice della giusta via nei momenti più critici della storia greca, ha sempre naturalmente risentito l'influenza dell'elemento politico via via più forte. Dapprima si ha un periodo amfizionico (VIII sec.: D. è al centro di una lega di città greche specialmente del N); poi un periodo tessalo; nel VI sec. vi spadroneggiano gli Alcmeonidi cacciati da Atene; nelle lotte tra Grecia e Persiani non di rado l'oracolo è sotto il timore persiano e non sostiene i Greci; dopo Egospotami un periodo spartano; seguono un periodo tebano e uno macedonico e poi etolico; dopo il 191 comincia la preponderanza romana.
La zona archeologica consta principalmente di tre parti; al centro la gola della Kastalia, a destra il ginnasio e il terrazzo detto Marmarià, a sinistra la città parzialmente scavata e il grande tèmenos, completamente scavato. Di tutta la zona archeologica abbiamo la descrizione di Pausania (v.) (II sec. d. C.) nel X libro della Periegesis. Lo scavo del santuario e la sua valorizzazione museografica e storica costituiscono alto titolo di merito agli archeologi francesi i quali dal 188o - da quando la Società archeologica di Atene acquistò il territorio dal villaggio di Kastri e lo mise a disposizione della Scuola Francese (Foucart, Haussoullier) - e, specialmente, dopo il 1892 (Homolle), condussero attivamente i lavori e gli studî relativi.
Il terrazzo di Marmarià (nome recente) è il primo gruppo di monumenti che si trova venendo, come fece Pausania e come faceva la maggior parte dei pellegrini antichi, dalla Beozia. È un terrazzo artificiale lungo, adesso, circa 150 m, largo 40 m; la parte più antica risale all'epoca tardo-neolitica e micenea, vi erano altari di Atena Hygìeia e di Ilizia. Il tempio arcaico - circa 480 a. C. - con il lato corto di poco inferiore alla metà del lato lungo (m 13,25 × 27,45) era dedicato ad Atena Pronala, n. 6. È un dorico periptero, esastilo, di tufo. Ha dato nello scavo della cella alcuni elementi di un tempietto più antico e più piccolo, da porsi nel VII sec. a. C., che era stato distrutto nel 480 dalla caduta di rocce dal Parnaso (Herod., viii, 39). Il 26 marzo 1905 un simile accidente abbatté 12 colonne del lato E del tempio ricostruito, delle quali ora restano in piedi solo 3. La cosa più notevole del tempietto arcaico è la colonna, certamente assai esile - al sommo scapo (circa m 0,36) - di fronte a un capitello di un diametro massimo di 0,854. Questa notevole differenza induce a un raffronto tra questa colonna e quelle disegnate sul tempietto del vaso François del 560-550 a. C.; se ne può dedurre, come conseguenza, che la pesantezza tradizionale dell'ordine dorico non è originaria, ma che è stata conquistata a poco a poco in epoca classica, mentre in origine è ancora qua e là documentata la snellezza e la leggerezza dell'originale ligneo.
I nn. 4 e 5 corrispondono a due tempietti o thesauròi, uno dorico, costruito fra il 490 e il 460 a. con fondazioni in calcare (m 7,28 × 10,41) ed elevato in marmo; e l'altro, ionico, attribuito ai Focesi di Massalia, costruito fra il 535 e il 530 a. C., in antis (m 6,37 × 8,63) con zoccolo scanalato. Più importante, perché non anonima, è la thòlos, o tempio rotondo, n. 3, della fine del V sec. a. C. I templi rotondi in Grecia non sono frequenti, o risalgono in generale all'epoca più antica, in quanto riproducono il tipo della capanna circolare e sono destinati al culto del fuoco, a una tomba o a un betilo. Questa thòlos delfica è ricordata da Vitruvio (vii, praef. 12) come opera di Theodorus Phocaeus ed è da porsi, per ragioni di struttura, nell'ultimo venticinquennio del V secolo. Essa era sorretta da 20 colonne doriche alle quali corrispondono dentro la cella 10 colonne corinzie, delle quali 3 sono state rimontate con capitello corinzio di sapore arcaico in quanto acanto e volute non sono connessi tra loro. È evidente, pertanto, la presenza di un canone a base decimale, accanto al modulo tradizionale del piede attico (m 0,29). È caratteristico anche il soffitto del peristilio a cassettoni a losanga costruiti su cerchi concentrici e raggi curvi irradianti dal centro del tetto.
La parte O del recinto, con muri di sostegno in poligonale del VI sec. a. C. e in blocchi squadrati del IV sec. a. C., contiene il nuovo tempio di Atena Pronaia, n. 2, dorico (m 22,60 × 11,55), prostilo, senza opistodomo, con colonne interne del pronao ioniche; è in calcare e si data nel IV sec. a. C. Vicini sono i resti di un edificio del V sec. a. C. (m 12,05 × 10,90) con due vani su corridoio, forse abitazioni dei sacerdoti, n. 1. A 300 m a O si stende un'altra terrazza a due ripiani; quello superiore con lungo muro di sostegno (m 160) che costituisce la parete di fondo di un portico ionico largo m 7, dinanzi al quale correva una pista scoperta o paradromìs larga m 7, con canali lungo il bordo S-O, nella quale si esercitavano gli atleti. Dinanzi si stendeva la corte del ginnasio la cui costruzione risale al IV sec. a. C. Il ripiano inferiore, a S-E della corte, è occupato dalla palestra con corte quadrata centrale (m 13,85 di lato) circondata da un peristilio. Oggi, nel centro della corte, sorgono le rovine della cappella di un piccolo convento che dipendeva dal monastero di Gerusalemme, con pitture ora trasportate nel Museo Bizantino di Atene. Sui lati N-O e O alcuni ambienti erano annessi alla palestra. Vicina è una corte pentagonale di m 26 di lato dove sorgevano le terme: tre sale con resti di mosaici e un frigidarium circolare (diametro m 10, prof. m 1,80), con gradini e canalizzazione; il muro di sostegno N-E, alto m 2, aveva impianti per docce; il calidarium, a N, è un'aggiunta romana, con mosaico a grosse tessere.
Dal ginnasio si sale alla fonte Kastalia (quota 538), che era stata sistemata con una facciata intagliata nella roccia ornata di 7 pilastri di marmo con trabeazione. All'interno aveva un bacino con 7 bocche, ornate probabilmente di protomi bronzee, dalle quali. l'acqua cadeva in un altro bacino scoperto (lungo m 10, largo m 3) a cui si scendeva, da O, con una scala di 8 gradini per purificarsi prima di entrare nel santuario.
Il grande tèmenos è rettangolare (m 190 × 135); nel muro di recinzione, in parte in opera poligonale del VI sec., in parte in opera quadrangolare, talora irregolare talora regolare del V sec. a. C., sono aperte 9 porte di varia importanza, di cui quella in basso (m 533 s. m.) è la principale, con propileo, dalla quale ha inizio la via sacra (hierà hodòs) che percorrevano le processioni religiose fino al tempio di Apollo.
Dinanzi alla porta si estende una piazza rettangolare (m 43 × 27); è fiancheggiata da portici di età romana e sotto il portico a settentrione, ionico, si aprono botteghe. A S sorgono costruzioni romane. La porta del peribolo, larga m 3,60, ha cinque gradini. La via sacra sale a rampe ad angoli acuti, è larga da 4 a 5 m e pavimentata di lastre; ai lati si innalzano monumenti votivi eretti dai varî centri greci.
Sul lato N si allineano varie basi: quella n. 1 del toro bronzeo, (m 5,91 × 2,60) opera di Theopropos di Egina, dedicato nel 480 circa a. C. da Corcira in seguito a una fortunata pesca di tonni; più avanti base dell'ex voto degli Arcadi, n. 2 con due filari di calcare bianco e di marmo nero, dedicato dalla Lega Arcadica dopo le battaglie di Leuttra in antagonismo con l'ex voto retrostante n. 4 di Sparta: sosteneva statue bronzee di Apollo e di eroi ed eroine mitiche di Arcadia. L'ex voto di Sparta, era stato innalzato nel 403 da Lisandro con il bottino della vittoria di Egospotami; consisteva in un'esedra rettangolare (m 19,90 × 6,20), pavimentata, coperta da un tetto sostenuto da 8 colonne e conteneva 37 statue collocate su due file sopra un banco addossato al fondo (lung. m 9,86) e sopra due altri laterali (larghi m 5). Erano statue dei Dioscuri, di Zeus, Apollo, Artemide, Posidone che coronava Lisandro, Agias, il pilota Ermone; altre 28 statue, poste sulla seconda fila, raffiguravano generali e ammiragli spartani, e da queste venne in seguito al monumento la denominazione "dei Navarchi". Seguiva l'ex voto di Argo, n. 9, consacrato dopo il 369 per la fondazione di Messene: consisteva in una esedra pavimentata, semicircolare (diam. m 13,72) che conteneva 20 statue dei re e delle regine di Argo, opera di Antiphanes di Argo, la cui firma si legge sulla base. Altre nicchie esistenti non sono state identificate; una, quadrata, reca decreti in onore di varî personaggi; seguono un basamento (m 9), una nicchia semicircolare e un basamento rettilineo; dietro, resti confusi di altre basi e di fondazioni varie.
Sul lato S si allineano l'ex voto n. 5 degli Ateniesi, eretto con il bottino di Maratona e in onore di Milziade; ne rimangono le fondazioni poligonali del basamento che sosteneva 16 statue fra le quali alcune di Fidia (Atena, Apollo, Milziade, eroi eponimi dei demi attici) opera della giovinezza dell'artista intorno al 460 a. C. Seguiva l'ex voto di Argo n. 6 dedicato in seguito alla vittoria su Sparta del 456 circa, con le statue dei Sette contro Tebe che si innalzavano su una base di cui rimangono le sostruzioni. Accanto era l'ex voto di Argo n. 7 con il carro di Anfiarao, e un altro n. 8 dedicato ancora da Argo ai sette epigoni, con il bottino della stessa vittoria su Sparta ad Oinoe, e costituito da un emiciclo pavimentato (diam. m 12). Seguiva l'ex voto dei Tarantini n. 10 consacrato in seguito alla vittoria sui Messapi verso il 500 a. C., di cui restano quattro blocchi della base con due iscrizioni: le statue erano in bronzo, opera di Hageladas di Argo. Sempre sul lato S della via rimangono poi i resti del Tesoro di Sicione, n. 11 dorico in antis (m 6,33 × 8,55), volto ad E, costruito verso il 500 a. C. in tufo, sopra un ammasso di blocchi squadrati e di rocchi di colonne derivati da altri edifici più antichi (e cioè da un monòpteros con 14 colonne doriche, e una thòlos di un diametro di m 6,32 circa); è interessante notare che le dimensioni esterne del monòpteros: 4,18 e 5,47, equivalgono all'incirca a quelle interne della cella del thesauròs, mentre la thòlos entrerebbe nella cella della più recente thòlos di Marmarià (si ricordi a questo proposito che ad Atene le dimensioni esterne dello Hekatòmpedon corrispondono a quelle interne della cella del Partenone). Furono anche trovati frammenti di nove differenti metope (0,58 × 0,90) in calcare rossastro appartenenti, con ogni probabilità, al monòpteros (prima metà del sec. VI); esse costituiscono un importante capitolo dell'arte arcaica in quanto, rimanendo immuni dalla prolissità e sovrabbondanza ionica, appaiono sempre più un genuino prodotto di arte peloponnesiaca, così largamente documentata ad Argo, Corinto e Sicione. È evidente una forte convivenza con la decorazione dei vasi protocorinzî. Nella sua delineazione ingenua e talora impacciata quest'arte sicionia, seguendo probabilmente il modello dei vasi miniaturistici coevi, affronta nel rilievo la soluzione di alcuni difficili problemi plastici: il cogliere cioè l'istantaneità di una data azione, e il subordinare le leggi ferree della pietra al bisogno ingenuo e provinciale di "raccontare" e di presentare plasticamente un'azione o un movimento praticamente ineseguibili, mescolando e amalgamando, a seconda dell'uso, la tecnica della pittura e quella della scultura (cavalli dei Dioscuri). Le metope sono quindi, oltre tutto, un notevole documento di partecipazione intellettualistica all'opera di concezione artistica. Nella metopa degli Argonauti qui ricordata l'elemento di nave rappresentato lateralmente è inquadrato dai due Dioscuri a cavallo; di questi cavalli son visibili le quattro zampe e la coda, essi son pertanto concepiti a tutto tondo. Abbiamo quindi una curiosa persistenza dello scorcio pittorico rappresentato, contro ogni logica, plasticamente; forse l'artista voleva far capire che la nave si muoveva verso lo spettatore (infatti se fosse stata alla fonda si sarebbe presentata di poppa) e quindi ha rappresentato i due Dioscuri, di fronte, a destra e a sinistra dello scafo (questo in proiezione laterale), che vanno a cavallo sul mare, non sulla terra, che non c'è, allo stesso modo come corre sulla superficie del mare il toro nella metopa di Europa; questo delle cavalcature che trottano sul pelo dell'acqua sembra un motivo particolare della scuola sicionia. I Dioscuri e altri due giovani eroi compaiono anche sulla metopa della "razzia" con quattro triadi di vitelli (una triade manca); anche qui le teste dei razziatori e le quattro dei bovini rivolte verso lo spettatore, nonché la lancia orizzontale che frena la marcia di ogni triade, dimostrano che il gruppo, in schema rettangolare di quattro file di vitelli, mantenute parallele ciascuna da un guidatore, marciava frontalmente verso lo spettatore.
Sempre sul lato S della via sacra si levano i resti del Tesoro dei Sifni, n. 13 elegantissimo esempio di gusto ionico (8,54 × 6,13). Recuperati una delle Cariatidi, il fregio e il frontone. Il fregio, ora nel museo di D., costituisce uno dei documenti plastici più importanti dell'arte arcaica (circa 530 a. C.). Gigantomachia a N, consesso degli dèi e battaglia a E, giudizio di Paride a O, ratto e corteo a S. Molto usata la pittura, la quale non si limita a decorare, ma supplisce direttamente corpi e oggetti che sarebbe stato difficile o impossibile ricavare nel marmo. Non solo, ma alcune parti - specialmente le armi - sono spesso supplite in bronzo. Due sono stati gli autori, o i gruppi di autori: a N e ad E il rilievo è concepito ed eseguito plasticamente, coi bordi rotondi e col marmo vuotato dietro di loro al massimo possibile; ad E e a O la tecnica cambia: non si ha più un rilievo plastico, ma a "silhouette", una vera e propria "scultura disegnativa" (Picard). La zona figurata è una superficie delimitata da un taglio netto normale al fondo. La delimitazione è fatta per lo più a solchi di trapano. È tecnica pittorica tradotta in marmo con mentalità e mani pittoriche; tutto ciò che è volume rimane quindi al di fuori della preoccupazione artistica dell'autore. Esclusa ogni ipotesi di lavoro non finito o di scarsa virtuosità tecnica, tutto si riduce alla coesistenza, forse voluta, di due scuole. Lo stesso fenomeno si è rivelato nelle metope arcaiche del Sele (v.), recentemente recuperate; è un portato di gusto e di tradizione artistica del tempo in cui il pittore vascolare Andokides dipingeva un lato del vaso secondo la tecnica delle figure nere e l'altro lato con la stessa scena nella tecnica delle figure rosse. Uno di questi due autori, o gruppi di autori, aveva inciso il proprio nome in un esametro scolpito sul bordo dello scudo di un gigante (lato N a destra). Disgraziatamente il nome è andato perduto ed è rimasta solo una frase che significa: "... eseguì anche le figure che stanno dietro". Poiché queste parti sono appunto le figure del lato E (duello e assemblea degli dèi), risulterebbe confermata la valutazione artistica del Picard e di tutti gli altri (v. deiochos; endoios).
Sul lato N della via sacra sono i resti di un Tesoro anonimo con basamento dove sono incisi decreti in onore di Megaresi, poi nell'angolo della via sorge il ricomposto Tesoro degli Ateniesi (9,70 × 6,70), piccolo tempietto dorico in antis costruito poco dopo la battaghà di Maratona. I muri sono coperti di iscrizioni, tra cui notevole quella che riproduce due inni con notazioni musicali (III sec. a. C.). Sono state recuperate le 32 metope, documento della trasformazione del gusto stilistico arcaico in quello severo. La datazione del tempietto ha dato luogo a una lunga disputa attorno al quesito, più formale che sostanziale, se essa sia da porsi, in armonia con Pausania e con le iscrizioni, dopo il 490, oppure negli ultimi anni del VI sec., in relazione alla arcaicità stilistica di alcune delle metope (per es. quella di Eracle e il leone). Parteciparono a questo punto di vista principalmente il Robert, il Pomtow, e la Richter; ma le contestazioni di Audiat, Picard, de La Coste-Messelière e il confronto con il fenomeno analogo che si verifica nelle metope del Partenone, inducono ad accettare la tradizione di Pausania.
A S la terrazza triangolare aveva uno zoccolo dove erano esposti i trofei di Maratona con la iscrizione dedicatoria incisa. Nello spazio dietro il Tesoro degli Ateniesi sono le fondazioni di altri Tesori non identificati e per i quali sono state fatte varie ipotesi (Tebe, Beozia, Siracusa, Potidea). A destra del Tesoro degli Ateniesi è un vano rettangolare (m 13 × 6,50), con ingresso a N-O su una terrazza a cui si accede da una scala laterale, nel quale si è visto il Bouleuterion o Prytaneion del senato delfico. Seguiva il santuario di Ghe-Themis con rocce naturali circondate da un piccolo peribolo irregolare e in una roccia con fenditura si è visto quella della Sibilla.
Dietro si ergeva la colonna votiva dei Nassi alta m 10, ionica con 44 scanalature, in marmo di Nasso, consacrata nel 550 e sormontata dalla Sfinge conservata con il capitello e alcuni rocchi nel museo. La sfinge, mostro ctonio, è connessa con lo strato delfico preapollineo e con la religione di Ghe, è creatura che rapisce gli uomini e li trasporta nell'Aldilà. Tipologicamente la statua rivela una combinazione abbastanza ben riuscita di concetti fantastici (donna alata, cagna alata, ecc.) e di concetti realistici (viso femminile, ovale, con grandi occhi triangolari, fronte bassa sotto i capelli, espressione triste, funerea, corpo di cagna affamata). Essa deve essere messa in relazione con la grande messe di dèi mostruosi che l'arte mesopotamica ha creato nei secoli precedenti (v. sfinge).
La via sacra traversava poi l'Halos ("Αλως) spazio circolare (diam. m 16) con banchi, dove le processioni sostavano e dove si rappresentava il dramma sacro della morte di Pitone. Sul lato N si ergeva il Portico degli Ateniesi, consacrato dopo il 506 per contenere le spoglie dei Beoti e dei Calcidesi; era un colonnato ionico (lungo m 30, largo m 4) in marmo di Paro, con 8 colonne monolitiche e architrave ligneo. Sul gradino superiore è incisa l'iscrizione dedicatoria. Il tetto del portico si addossava in parte al muro di fondo, in opera poligonale, costruito dopo il 548 per sostenere la terrazza sovrastante del tempio di Apollo e coperto di iscrizioni incise (circa 700) che costituiscono uno dei più grandi archivi. La via sacra, qui larga da 6,50 a 7 m e pavimentata a grandi lastre, sale con una ripida rampa; a destra una via secondaria conduceva a una piccola porta laterale del tèmenos e a S rimane qualche resto delle fondazioni del Tesoro di Corinto, uno dei più antichi perché, secondo Erodoto, sarebbe stato dedicato da Cipselo nel VII sec. a. C. e avrebbe ricevuto offerte dai re di Lidia. Fuori della porta si stendono rovine romane e terme romane con avanzi di mosaici.
Altri Tesori, di cui si vedono parti delle fondamenta, sorgevano all'interno del peribolo più a S vicino al muro di cinta del santuario, dove si apriva una porta in relazione a una strada che partiva dal primo angolo della via sacra di fronte al Tesoro degli Ateniesi. La zona fra queste due strade laterali è scoscesa e sconvolta, con varî muri e sostruzioni e resti di edifici non identificati.
A destra della via sacra era l'ex voto di Potidea, dedicato prima del 480 per la vittoria sui Tessali, con un gruppo raffigurante la lotta per il tripode fra Apollo ed Eracle. Seguiva l'ex voto dei Tarantini per una vittoria sui Peucezî, ornato di statue di guerrieri, opera di Hageladas di Argo e di Onatas di Egina e, al di là di questo, trovasi la base circolare a due filari di blocchi che sosteneva il celebre tripode aureo di Platea, sorretto da un sostegno bronzeo costituito da tre serpenti attorti sui quali erano incisi i nomi delle città partecipanti alla battaglia del 479 a. C. Il sostegno serpentiforme fu trasportato da Costantino nell'Ippodromo di Costantinopoli (v.) dove tuttora si trova, mutilato delle teste dei serpenti.
Seguiva l'ex voto dei Rodi, con carro di Helios su base quadrangolare; più in là la via sboccava in un tratto a quota m 571,35 dove, sul lato N, rimangono varie basi di offerte, delle quali quattro, rotonde, dei tripodi dei Dinomenidi, tiranni di Siracusa. Gelone, dopo la vittoria di Imera, nel 481 dedicò quattro tripodi e Nikai d'oro del peso totale di 50 talenti: uno, a suo nome, la cui base conserva l'iscrizione (davanti è stato inserito un decreto in favore dei cittadini di Kleitor che reca in rilievo il toro, emblema della città); uno in onore di Gerone, e altri due, senza iscrizione, per Polizalo e per Trasibulo. Le basi erano state nascoste da stele di cui rimangono gli incassi. Ad O dei tripodi è la base con fori dove erano incastrate le spighe d'oro dei Mirrenei e degli Apolloniati. Vicino al tripode di Gelone a E si innalzava la colonna di acanto oggi conservata nel museo, sepolta dal terremoto del 373 a. C.
È un lungo fusto marmoreo con foglie d'acanto (m 13); in alto, a mo' di capitello sei foglie si avvolgono su se stesse costituendo la base del gruppo delle tre danzatrici con kalathìskos, o cestello di foglie di canna, tradizionale a Sparta nelle feste di Apollo Karnèios. Le tre fanciulle compiono una danza circolare, volgendo il dorso al fusto; il vento, che dispone il lieve chitone in modo da far risaltare la florida pienezza dei giovani corpi, sembra essere stato presupposto come spirante normalmente a ciascuno dei tre corpi, come se tre fiati di vento convergessero da tre punti equidistanti verso il prezioso capitello, ciascuno per proprio conto. Il gruppo è attribuito alla scuola di Kallimachos (v.) ed è datato verso il 400 a. C.; sono certo "callimachee" la elegantia e la subtilitas delle figure, dove la sapiente misura del modellato dei corpi floridi e sani, non acerbi né sovrabbondanti, la pittorica sensualità che arrotonda nella zona dell'addome questo prezioso echino di un capitello di nuovo genere, con ardite chiazze di luce e più arditi sottosquadri in ombre, nonché la raffinata precisione d'orafo nella distribuzione delle pieghe nei capelli, nei monili, nel copricapo, si giustappongono e convivono. Ci si può solo domandare come sì studiate raffinatezze fossero visibili a 10-12 metri da terra; ma la spiegazione sta forse nella limpidezza dell'aria della Focide e nel tagliente sole meridionale, nonché nel fatto che, dato il pendìo del suolo, il gruppo era meglio visibile al visitatore che si poneva a monte di esso. E poi i Greci volevano eseguite alla perfezione anche quelle parti che non erano destinate alla visione diretta, perché l'opera d'arte vive nella sua assolutezza, senza pratica necessità.
Ad E dei tripodi di Gelone una stradetta conduceva a una porta del peribolo, che fu poi chiusa. La via sacra, piegando a O, arriva alla terrazza centrale del santuario dove si eleva il tempio di Apollo con il grande altare (m 8,50 × 2,20), dai gradini di marmo nero e sormontato da blocchi di marmo bianco, che fu dedicato ad Apollo dagli abitanti di Chio intorno al 518. A N dell'altare, su un alto pilastro si ergeva la statua in bronzo dorato di Eumene II di Pergamo, dedicata dagli Etoli. A sinistra della via sacra, presso l'angolo S-E del tempio di Apollo, si elevava il monumento eretto da Paolo Emilio con un fregio raffigurante scene di battaglia contro i Macedoni, oggi conservate nel museo. Presso l'angolo N-E era, su un piedistallo, la statua equestre di Prusia, re di Bitinia.
Del tempio di Apollo ben poco fu ritrovato negli scavi francesi. Da lunghi secoli era esistito qui il tempio. Pausania ci parla dapprima di un tempio di frasche di lauro, poi di un tempio "alveare", o thòlos, rotondo; di un terzo tempio miceneo, di legno con rivestimenti di bronzo; di un quarto in pietra, costruito da Trophonios e Agamedes architetti mitici ai tempi dell'invasione dorica, che bruciò nel 548 a. C. Il quinto tempio è quello a cui appartengono i frammenti dei frontoni conservati nel museo; è detto il tempio del VI sec., o degli Alcmeonidi. Il tempio trovato negli scavi è invece il sesto e fu costruito dopo il terremoto del 373 a. C. che distrusse il precedente edificio; è notevole il fatto che questo tempio del IV sec. sia stato ricostruito sui fondamenti di quello del VI e ne conservi le dimensioni arcaiche. Durò con varie vicende (i Galli lo saccheggiarono nel 279 a. C.; i Traci nell'83 a. C.) fino al 450 d. C., allorché fu trasformato in chiesa.
Il tempio di Apollo poggia a N nella roccia e a S e ad O su sostruzioni grandiose a filari regolari, lunghe m 60, alte dai m 3 ai m 4,50. Lo stilobate è a 3 gradini di calcare bluastro di Haghios Ilias; non era pieno, ma a scomparti rettangolari coperti da lastre con grappe. Il tempio è dorico, periptero (m 60,32 × 23,82) esastilo, con 15 colonne sui lati lunghi, tutte di tufo stuccato (diam. m 1,91), e pronao e opistodomo distili in antis. I muri della cella erano di tufo su zoccolo di calcare. Nel pronao erano iscritti i motti dei Sette Sapienti ed era innalzata una statua di Omero; nella cella si conservavano l'altare di Posidone, le statue delle Moirai, di Apollo Moiragètes, il focolare con il fuoco perpetuo, la seggiola di Pindaro, in ferro, su cui il poeta aveva recitato le sue poesie; l'àdyron conteneva l'omphalòs, le due aquile di Zeus, un Apollo dorato, il sarcofago di Dioniso, il tripode della Pizia; accanto all'àdyton era l'οἴκος dove sostavano quelli che interrogavano l'oracolo. Sull'architrave erano infissi a E gli scudi presi a Platea ai Persiani e a O e S quelli presi ai Galli. Non si è trovato alcun frammento delle statue frontonali descritte da Pausania, raffiguranti Apollo, Latona, Artemide, le Muse e Helios a E; Dioniso, le Thyiadi a O. Si sono, invece, ritrovate alcune statue del frontone marmoreo orientale del tempio degli Alcmeonidi del VI sec. a. C., oggi conservate nel museo insieme a due gruppi angolari raffiguranti un leone che divora un cervo a destra, e un leone che divora un toro a sinistra; una quadriga al centro, in posizione frontale, con gli avancorpi dei cavalli, e che doveva contenere la statua della triade delfica; ai lati si allineavano statue frontali di koùroi e di kòrai. Il frontone si è attribuito ad Antenor (v.). Nel frontone occidentale, che era in tufo, doveva essere scolpita una gigantomachia, come si ricava dal frammento superstite che ritrae Atena in lotta con un gigante.
Lungo il lato S del tempio si innalzava una statua colossale arcaica di Apollo. Ad O è un basamento rotondo e, dietro a questo, sussistono resti romani; vi era inoltre la statua dell'Etolia, raffigurata seduta, il cui piedistallo era scolpito con un trofeo di armi prese ai Galli. Ad O del tèmenos, oltre le mura di cinta, sono terme romane alla estremità orientale di un portico dorico-ionico del III sec. a. C., lungo m 100.
La terrazza del tempio di Apollo era limitata e protetta lungo il lato N da un muro alto da m 2 a 6 che fu eretto dopo il terremoto del 373 (detto Iskègaon). Sulla terrazza sovrastante era, a N-E, sopra i tripodi di Gelone, l'antico tèmenos di Neottolemo, ucciso e sepolto a Delfi; era questo un recinto poligonale a cielo aperto, che fu in parte sepolto dalle frane del terremoto del 373 e rimpiazzato, nel 338 circa, a cura dei principi tessali, da un heròon rettangolare. Dietro il primo recinto era l'ex voto del principe tessalo Daochos, a forma di esedra rettangolare con basamento marmoreo di m 11,67, che sosteneva le statue marmoree del dinasta e dei membri della famiglia. Statue non fisionomiche, ma etiche, secondo l'uso classico greco. Delle nove statue, ne sono state trovate Otto, con ogni verosimiglianza copie del donario in bronzo originale eretto a Farsalo. Questo donario è andato perduto, ma sussiste un'iscrizione, la quale attesta come Lisippo (v.) ne modellasse la statua atletica di Agias, che verso il 350 a. C. vinse ripetutamente nei giochi olimpici. Orbene, nel donario - copia delfica, noi abbiamo in marmo la statua atletica appunto di Agias, la quale statua, se è copia, come tutto fa pensare, di quella farsalica, costituisce il miglior documento dello stile lisippeo. Nel fatto, i capelli, la testa, la snellezza, l'agilità, la magrezza del corpo, lo sguardo rivolto all'infinito e un poco verso l'alto (particolarità già individuata da Platone), tutto avvicina l'Agias all'Apoxyòmenos (v.) sicuramente di Lisippo, ma noto da mediocre copia romana.
In questa zona a N dell'ex voto di Daochos gli scavi hanno messo in luce gli avanzi di un abitato miceneo. A O rimane un'esedra semicircolare non identificata. Dietro l'Iskègaon si ergeva l'ex voto di Polizalo, di cui faceva parte l'Auriga bronzeo. Venne travolto e sepolto dalla frana del terremoto del 373, e pertanto non fu visto da Pausania nel II sec. d. C. La dedica però mostra che il nome di Polizalo sostituì quello originario del fratello Gelone, che aveva riportato una vittoria ippica nel 486 quando appunto era tiranno di Gela. Polizalo, che vinse a Delfi nel 475, completò il monumento rimaneggiando l'epigramma dedicatorio. La statua dell'Auriga è conservata nel museo.
Alta m 1,80, si ergeva su di un carro di bronzo tirato da cavalli, di cui sussistono frammenti. La statua è costruita centralmente da un blocco cilindrico lievemente quadrangolare ornato verticalmente dai cannelloni tubolari della lunga veste talare. Questo cilindro ha una funzione ottica di veicolo; come le scanalature delle colonne portano al capitello e al fregio, così qui conducono l'occhio, captato dalla massa preponderante del bronzo, alle cose più belle secondo l'artista, e cioè ai piedi e al viso, attraverso il torace. Nei piedi l'artista rivela l'esecuzione diligente del minimo particolare, microtecnica viva dell'elemento anatomico, tendenza a colpire e ridurre un momento solo dell'azione. Il viso può lasciare perplesso lo spettatore moderno. Nessun pathos, nessun ethos. La fissità dello sguardo, il taglio delle ciglia (inserite in lamina di rame) e del sopracciglio, il respiro delle labbra semiaperte, l'affilamento delle guance che convergono, quasi piatte e smunte, verso il mento forte ed ossuto, vogliono forse trasmettere in noi il senso di quella naturale tensione del partecipante all'agone. Ma tutti questi segni di vita e di lotta sono contenuti e si giustappongono a una benda ageminata legata alla nuca, la quale vorrà significare che la vittoria è già stata raggiunta (consueto fenomeno di prolessi). La sproporzione, infine, tra altezza del corpo e testa può trovare una spiegazione nel fatto che la balaustra del carro mascherava buona parte del corpo, che ha dovuto quindi allungarsi. L'opera palesa eccellenza di tecnica più che forte personalità di grande artista. È stato attribuito, per richiamo al dedicante, alla cerchia di Pythagoras di Reggio (v.). Un discusso tentativo di ricostruire la base porterebbe alla connessione dell'opera con la firma di uno scultore Sotadas di Tespi (v.); in ogni caso un artista periferico rispetto alle grandi scuole.
A O dell'ex voto di Gelone e di Polizalo è un'esedra rettangolare (m 14 × 6, alta m 4) in opera quadrata; nel secondo filare in alto un epigramma in versi identifica il monumento con l'ex voto dedicato nel 320 a C. da Cratero, che aveva salvato Alessandro da un leone durante una caccia nei pressi di Susa. Plinio e Plutarco descrivono il gruppo di statue bronzee eseguite da Leochares e da Lisippo rappresentanti Alessandro, il leone, Cratero, i cani. Più tardi l'esedra venne tripartita. Davanti sono i resti di una piccola esedra semicircolare.
Una scalinata romana di 6 gradini di tufo e 25 di calcare, per la quale sono state riadoperate lapidi del IV sec. a. C., mette in comunicazione la terrazza del tempio di Apollo con quella superiore, dove si stende il teatro ricavato sul fianco del pendio.
L'orchestra è a quota 584,77. Il teatro fu costruito nel IV sec. a. C.,restaurato da Eumene II nel 159 a. C. e poi ancora in epoca romana. La cavea, iscritta in un quadrato di m 50 circa di lato, ha 35 gradini in pietra del Parnaso; un diàzoma la divide in due settori di 28 gradini in basso e di 7 in alto, con 8 scalinate in basso e 7 in alto che la dividono in cunei. L'estremità O del diàzoma corrisponde a una porta laterale del peribolo del santuario con una piazza pavimentata esterna che aveva all'intorno alcuni ex voto. L'orchestra è pavimentata a lastre poligonali e misura nel diametro m 18,50; è circondata da un canale coperto. Il proscenio era decorato con un fregio a rilievo raffigurante le fatiche di Eracle; lavoro modesto del I sec. d. C., ora conservato nel museo. La lunghezza del proscenio è di m 9, la scena è oggi distrutta.
A E della cavea, vicino al muro N di cinta del peribolo, è la terrazza della fonte Kassotis, a quota 595, con una pavimentazione di lastre rettangolari. Più a E si addossava al peribolo N la Lesche degli Cnidi, luogo di riunione, eretto verso il 450 a. C. e celebre per le pitture parietali di Polignoto di Taso (v.), descritte minutamente da Pausania, raffiguranti l'Ilioupèrsis e la Nèkyia. È un rettangolo di m 18,70 × 9,53 con ingresso a S; i muri erano di mattoni crudi su zoccolo di tufo, l'interno aveva un peristilio profondo m 3, con 8 pilastri lignei sorreggenti il tetto. Sopra il recinto del santuario, a quota 645, è lo stadio.
È scavato in parte sul pendio su cui poggiano le gradinate dal lato N, mentre quelle del lato S, in parte oggi crollate, sono erette su sostruzioni poderose di breccia del Parnaso. L'ingresso è all'angolo S-E con un arco d'ingresso romano di cui rimangono 4 pilastri che sostenevano i tre fornici corònati dall'attico; i due centrali hanno nicchie per statue. La pista è larga m 25,60 alle estremità e m 28,50 al centro, è lunga m 178,35 (= 1 stadio pitico di 6 plettri). La linea di partenza (àphesis) è fatta di lastre marmoree con scanalature e i varî posti (17-18) erano divisi da fori quadrati, dove si inserivano dei picchetti. La linea di arrivo (tèrma), dal lato della sphendòne, è ugualmente segnata da simili lastre scanalate. Un podio alto m 1,30 circondava l'arena; sul bordo superiore alcuni fori testimoniano una cancellata. Dietro al podio era un corridoio largo cm 83; la gradinata N ha 12 gradini di calcare, divisi in 12 settori rettangolari, larghi mezzo plettro, da scalette, che portavano a un corridoio superiore. Una tribuna con gradini che hanno la spalliera come quelli dell'ultima fila della gradinata, è ricavata nel centro del lato N ed era destinata alla proedria. Una sorgente in una grotta a vòlta all'angolo N-O, in relazione coll'ultima scaletta, forniva l'acqua necessaria al pubblico e agli atleti. La sphendòne ha 6 gradini, 3 scalette e 4 cunei. La gradinata S aveva 6 gradini ed era divisa, come quella N, in 12 settori. Si calcola che le gradinate erette da Erode Attico contenessero 70.000 spettatori. Il muro di sostegno S risale al V sec. a. C., come attesta un'iscrizione incisa sul paramento esterno.
Sopra lo stadio, a O, a quota 700 sulla collina di Haghios Ilias, rimangono resti della fortezza di Filomelo, stratega dei Focidesi, eretta con mura e torri nel 355 a. C. per difendere la via contro i Locresi di Anfissa. Sulle pendici di Haghios Ilias si sono trovate tombe di varie epoche, dal periodo miceneo al bizantino: a cupola, a fossa, a pozzo, a nicchia, a camera. Lungo la via moderna a S sono gli avanzi del sinedrio costruito da Adriano, dove si riunivano gli Anfizioni; aveva un portico e una biblioteca. Altri resti di tombe e di case sono sparsi sulle pendici.
Il museo, costruito nel 1902-1903 a spese di Syngros, è stato ricostruito nel 1937-38 e contiene, tranne alcuni pezzi esposti al Museo Naz. di Atene, tutto il vario materiale venuto in luce negli scavi del santuario e dei dintorni, da Krissa e da Kirrha.
Fra le sculture, oltre quelle ricordate in relazione ai monumenti, sono da menzionare particolarmente i due koùroi del VI sec., dei quali uno più completo scolpito da Polymedes di Argo (v.), dal corpo massiccio di 6 moduli costruito entro la legge della frontalità. Le particolarità plastiche dei due atleti - forse Cleobi e Bitone - rivelano che il loro artefice già viveva entro i concetti artistici che saranno poi sviluppati nel secolo seguente, ma che questi, anziché fondersi in una creazione complessiva, sono rimasti allo stato di giustapposizione. Testa e collo grosso significano robustezza, ma cedono al gusto pittorico e descrittivo dell'arte arcaica con particolari eleganti e complicati della capigliatura. Le spalle larghe e i glutei possenti riducono il volume del torace che è eseguito disegnativamente con poche linee convenzionali. Un'ara con ghirlanda proviene dalla Tholos; bassorilievi funerarî arcaici, frammenti dei tesori ionici, ceramiche, terracotte dal periodo miceneo al bizantino, bronzetti, fibule, gioielli, un sarcofago con Meleagro e un ricco patrimonio epigrafico completano le collezioni.
(S. Ferri*)
Bibl.: La pubblicazione fondamentale sulla città è rappresentata dalla serie di volumi: Fouilles de Delphes. Il piano dell'opera, iniziatasi nel 1902, comprende cinque tomi così suddivisi: I. Histoire de la ville (ancora da pubblicare); II. Topographie et Architecture; III. Épigraphie (cui presto si affiancherà il Corpus des Inscriptions de Delphes); IV. Monuments figurés: Sculpture; V. Monuments figurés: Petit bronzes, terres-cuites, antiquités diverses.
Ogni tomo è, a sua volta, suddiviso in fascicoli, tra loro indipendenti e dedicati ad un singolo monumento o complesso di monumenti. Essi sono, nell'ordine stabilito dagli editori:
Topografia e Architettura: A. Tournaire, Relevés et restaurations (album), Parigi 1902; F. Courby, Sanctuaire d'Apollon: La terrasse du Temple, Parigi 1915-27; H. Lacoste, Relevés et resataurations (album del volume del Courby); J. Audiat, Le trésor des Athéniens (testo e tavole), Parigi 1933; J. Bousquet, Le trésor de Cyrène (testo e tavole), Parigi 1952; P. Amandry, La colonne des Naxiens et le portique des Atheniens (testo e tavole), Parigi 1953; R. Demangel, Sanctuaire d'Athena Pronaia: Les temples de tuf (testo e tavole), Parigi 1933; G. Daux, Les deux trésors (ivi); J. Charbonneaux, La tholos (con appendice di K. Gottleb), Parigi 1925; R. Demangel, La topographie du Sanctuaire (testo e tavole), Parigi 1952; J. Jannoray, Le Gymnase, Parigi 1953.
Epigrafia: E. Bourguet, Inscriptions de l'éntrée du Sanctuaire au trésor des Athéniens, Parigi 1910-29; G. Colin, Inscriptions du trésor des Athéniens (testo e tavole), Parigi 1909-13; G. Daux-A. Salac, Inscriptions depuis le trésor des Athéniens jusqu'aux bases de Gélon, Parigi 1932 nn. 1-178; G. Daux, Inscriptions depuis le trésor des Athéniens jusqu'aux bases de Gélon, Parigi 1943, nn. 179-441; G. Colin, Monuments des Messéniens, de Paul Emile et de Prusias, Parigi 1929-30, nn. 1-86; R. Flacelière, Inscriptions de la terrasse du temple et de la région Nord du Sanctuaire, Parigi 1954, nn. 87, 275; E. Bourguet, Les comptes du IV siècle, Parigi 1932; N. Valmin, Les Inscriptions du Théâtre, Parigi 1939; G. Daux, Chronologie Delphique, Parigi 1943.
Scultura: Th. Homolle, Art primitif: Art archaïque du Peloponnèse et des Îles, Parigi 1909; Ch. Picard - P. de la Coste-Messelière, Art Archaïque: Les trésors joniques, Parigi 1928; P. de la Coste-Messelière, Art Archaïque: Sculptures des temples, Parigi 1931; F. Chamoux, L'Aurige, Parigi 1955; Ch. Picard - P. de la Coste Messelière, Les Sculptures grecques à Delphes, Parigi 1927 (fuori serie).
Monumenti minori: P. Perdrizet, Petits bronzes, terres cuites, antiquités diverses, Parigi 1908.
Opere generali: E. Bourguet, Les ruines de Delphes, Parigi 1914; F. Poulsen, Delphi, Londra 1920; H. Pomtow - F. Schober, in Pauly-Wissowa, s. v. Delphi, Suppl. IV-V, 1924-31; F. Poulsen, Delphische Studien, in Kgl. Danske Vidensk. Selsk. Historisk-filologiske Meddelelser, VIII, 5, Copenaghen 1924; E. Bourguet, Delphes, Parigi 1925; G. Daux, Delphes au II et au I siècle avant J. Cr., Parigi 1936; P. de la Coste-Messelière, Les Alcmeonides à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, p. 270 ss.; M. Guarducci, Creta e Delfi, in St. e Mat. di Storia delle Religioni, 1943-6, p. 85 ss.; P. de La Coste-Messelière, Les Trésors des Delphes, Parigi 1950; E. J. Holmber, Aten och Delphi, Lund 1953; R. Heidenreich, Agamedes in Delphi, oder Mythus und Baukunst, in Wissenschaftliche Zeitschrift der Friderich-Schiller-Universität Jena, 1954-55, p. 49 ss. École Française d'Athènes, P. de La Coste-Messelière, Delphes, Parigi 1957.
Opere particolari: R. Koldewey, Die Halle der Athener zu Delphi, in Ath. Mitt., IX, 1884, p. 264 ss.; R. Koldewey, Die Halle der Athener zu Delphi, in Ath. Mitt., XIV, 1889, p. 205 ss.; H. Pomtow, Beiträge zur Topographie des Delphi, Berlino 1889; N. J. Svoronos, Νομισματική τῶν Δελϕῶν, in Bull. Corr. Hell., XX, 1896, p. 5 ss.; J. Replat, Note sur la restauration partielle de l'autel de Chios à Delphes, in Bull. Corr. Hell., XLIV, 1920, p. 328 ss.; E. Bourguet, La base des rois d'Argos à Delphes, in Bull. Corr. Hell., XXXIV, 1910, p. 222 ss.; F. Courby, Sur la frise du trésor de "Cnide" à Delphes, in Rev. Arch., XVII, 1911, p. 197 ss.; F. Courby, La tholos du trésor de Sicyone à Delphes, in Bull. Corr. Hell., XXXV, 1911, p. 132 ss.; E. Bourguet, Monuments et Inscriptions de Delphes: Le trésor de Corinte, in Bull. Corr. Hell., XXXVI, 1912, p. 642 ss.; W. B. Dinsmoor, Studies of the Delphian Treasuries: The Identity of the Treasuries, in Bull. Corr. Hell., XXXVI, 1912, p. 439 ss.; W. B. Dinsmoor, Studies of the Delphian Treasuries: The Four Ionic Treasuries, in Bull. Corr. Hell., XXXV, I, 1913, p. i ss.; H. Pomtow, Die Tänzerinnen-Säule in Delphi, in Jahrbuch, XXXV, 1920, p. 113 ss.; A. J. Reinach, La frise du monument de Paul Emile à Delphes, in Bull. Corr. Hell., XXXIV, 1920, p. 433 ss.; G. Daux, Questions d'Architecture delphique; l'édifice jonique de Marmaria, in Bull. Corr. Hell., XLVI, 1922, p. 427 ss.; H. Pomtow, Die Paionos-Nike in Delphi, in Jahrbuch, XXXVII, 1922, p. 55 ss.; J. Replat, Remarques sur un chapiteau jonique attribué à l'ordre intérieur du temple d'Apollon à Delphes, in Bull. Corr. Hell., XLVI, 1922, p. 435 ss.; W. B. Dinsmoor, The Aeolic Capitals of Delphi, in Am. Journ. Arch., XXVII, 1923, p. 174 ss.; W. R. Agard, The Dating and the Aesthetic Interest of the Metopes of the Athenian Treasury at Delphi, in Am. Journ. Arch., XXVII, 1923 p. 57 ss.; J. Charbonneaux, Note sur la tholos du "hiéron" d'Athena Pronaia à Delphes (Marmaria), in Bull. Corr. Hell., XLVIII, 1924, p. 209 ss.; W. R. Agard, The Metopes of the Athenian Treasury as Word of Art, in Am. Journ. Arch., XXII, 1926, p. 322 ss.; G. Daux - P. de la Coste-Messelière, La frise du trésor de Siphnos, in Bull. Corr. Hell., LI, 1927, p. 1 ss.; Ch. Picard - P. de la Coste-Messelière, Les Sculptures grecques à Delphes, Parigi 1929; P. Graindor, Delphes et son Oracle, Il Cairo 1930; C. Kennedy, The Treasury of the Syphnians at Delphi, Northampton 1935; G. Daux, Pausanias à Delphes, Parigi 1936; P. de la Coste-Messelière, Au Musée de Delphes, Parigi 1936; P. Amandry, Vases, bronzes et terres-cuites de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXII, 1938, p. 305 ss.; P. Amandry, Rapport préliminaire sur les statues chryséléphantines de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXIII, 1939, p. 86 ss.; P. Amandry, Convention religieuse conclue entre Delphes et Skyatos, in Bull. Corr. Hell., LXIII, 1939, p. 183 ss.; J. Bousquet, Le trésor de Syracuse à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXIV-V, 1940-1, p. 128 ss.; P. Amandry - J. Bousquet, La colonne dorique de la tholos de Marmaria, in Bull. Corr. Hell., LXIV-V, 1940-1, p. 121 ss.; J. Bousquet, Comptes du IV siècle, in Bull. Corr. Hell., LXVI, 1942-43, p. 84 ss.; P. de la Coste-Messelière, Chapiteaux doriques de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXVI-II, 1942-43, p. 22 ss.; P. Amandry, Statuette d'ivoire d'un dompteur de lion découverte à Delphes, in Syria, 1944-45, p. 149 ss.; P. Amandry, Petits objects de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXVII-IX, 1944-45, p. 36 ss.; J. Jannoray, Notes sur la chronologie delphique du premier siècle après J. C., in Rev. Étud. Anc., 1945, p. 46 ss. e 253 ss.; P. Amandry, Le portique des Athéniens à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, p. 1 ss.; W. B. Dinsmoor, The Athenian Treasury as Dated by Its Ornament, in Am. Journ. Arch., L, 1946, p. 86 ss.; E. Will, Groupe de bronze du V siècle trouvé à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, p. 639 ss.; F. Poulsen, Le vieillard de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, p. 497 ss.; Ch. Picard, Les frontons du trésor des Athéniens à Delphes, in Rev. Arch., XXV, 1946, p. 214 ss.; J. Marcadé, Un casque crétois trouvé à Delphe, in Bull. Corr. Hell., LXXIII, 1949, p. 421 ss.; E. Vanderpool, Delphi, in Archaeology, II, 1949, p. 66 ss.; P. Amandry, Notes de topographie et d'architecture delphique, in Bull. Corr. Hell., LXXIII, 1949, pp. 447 ss.; id., La mantique apollinéenne à Delphes, essay sur le fonctionnement de l'oracle, Parigi 1950; E. J. P. Roven, The Amphictionnic Coinage of Delphi, in Numismatic Chronicle, 1950, p. 1 ss.; J. Bousquet, Observations sur l'omphalos archaïque de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXXV, 1951, p. 210 ss.; P. Lêvecque, La date de la frise du théâtre de Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXXV, 1951, p. 247 ss.; G. Roux, La terrasse d'Attale I à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXXVI, 1952, p. 141 ss.; G. Roux, Le toit de la tholos de Marmaria et la couverture des monuments circulairs grecs, in Bull. Corr. Hell., LXXVI, 1952, p. 442 ss.; R. Haywood, The Delphic Oracle, in Archaeology, IV, 1952, p. 110 ss.; R. Ginouvès, Une salle de bains hellenistique à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LXXVI, 1952, p. 541 ss.; P. de La Coste-Messelière - J. Marcadé, Corès delphiques, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, p. 436 ss.; P. de La Coste-Messelière, Trois notules delphiques, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, p. 177 ss.; J. Defradas, Les thèmes de la propagande delphique, Parigi 1954; J. Marcadé, Sculptures inédites de Marmaria, in Bull. Corr. Hell., LXXIX, 1955, p. 379 ss.; F. Salet, Art Chrétien d'Orient: Le Christianisme à Delphes, in Bulletin Monumentale, CVII, 1949, p. 157 s.
(B. Conticello)