DEL VECCHIO, Giulio Salvatore
Nacque a Lugo di Romagna (Ravenna) il 29 nov. 1845 da Salvatore e Vita Celesta. Studiò e si laureò all'università di Bologna con una dissertazione sull'Armonia delle industrie, pubblicata a Bologna nel 1869. Iniziò la carriera di insegnante nel 1872, anno in cui ottenne per concorso la cattedra di economia politica e statistica nell'istituto tecnico di Trapani, dal quale nel 1874 passò in quello di Asti e nel 1876 in quello di Bologna. In qualità di libero docente e professore incaricato di statistica insegnò questa materia nell'università di Bologna dal 1877 al 1888. Nominato in quello stesso anno professore straordinario di statistica nell'università di Genova, nel 1892 divenne dottore aggregato e, nel 1895, professore ordinario. Dal 1877 al 1886 fu membro della giunta comunale di statistica di Bologna. Medaglia d'argento per l'opera prestata in occasione del terzo e del quarto censimento generale della popolazione italiana (1881-1901), nel 1882 fu nominato, dal presidente del Consiglio A. Depretis, membro del comitato di Bologna per l'inchiesta sulle Opere pie, nell'ambito del quale il D. curò la sezione statistica. Fece parte della giuria scientifica delle esposizioni di Torino del 1884 e del 1898, nonché della giunta provinciale di statistica di Genova.
L'attività scientifica del D. coincide con le origini e con la sistemazione concettuale ed istituzionale delle scienze statistiche e demografiche in Italia. Il D., infatti, nel 1877 divenne uno dei primi docenti di statistica nell'ordinamento accademico italiano, ad appena due anni dall'entrata in vigore del regolamento Bonghi dell'11 ott. 1875, che ne istituiva l'insegnamento nelle facoltà di giurisprudenza, e l'anno successivo all'avvio dei corsi di Angelo Messedaglia a Roma. La sua opera riflette quindi i problemi e le difficoltà metodologiche connesse, nell'opera stessa del Messedaglia, con la prima evoluzione della disciplina.
Affermatosi con il saggio Del metodo di insegnamento delle scienze giuridiche ed economiche negli Istituti tecnici (Milano 1875), il D. tra il 1877 e il 1887 dedicò una serie di monografie ai problemi metodologici (Intorno al concetto della statistica considerato nel suo svolgimento storico, Padova 1877) e alle questioni sociali, occupandosi in particolare degli effetti dei matrimoni fra consanguinei e delle conseguenze delle accresciute spese per gli armamenti nel quadro dell'aumento progressivo dei bilanci degli Stati. Del 1887 è una delle opere più importanti dei D., La famiglia rispetto alla società civile e al problema sociale, edita a Torino, nella quale - benché non vengano appoggiate completamente le rivendicazioni emancipatrici della donna - viene giudicata utile una più diretta ed ampia partecipazione della donna alla vita civile e all'attività sociale.
Ugualmente significative sono anche le parti della monografia nelle quali il D. formula alcune proposte operative per facilitare l'inserimento dei giovani nella vita lavorativa, proposte che ruotano intorno all'istituzione di falcidie o assegnazioni anticipate sull'asse ereditario quali strumenti atti ad agevolare la trasmissione dei patrimoni e dei redditi.
Mentre quindi il D. aveva già potuto mostrare l'utilità dell'indagine statistica in alcuni impegnativi lavori - come ad esempio nel saggio Statistica e finanze (Bologna 1883), nel quale si metteva in evidenza anche la possibilità di servirsi degli studi statistici per "procurare, mediante l'imposta, una più equa ripartizione di beni nel civile consorzio" (p.51) - ècertamente nella ricerca Sull'emigrazione permanente italiana avvenuta nel dodicennio 1876-1887 (ibid. 1892) che il suo contributo tanto alla metodologia statistica quanto alla conoscenza dei problemi della società italiana postunitaria si manifesta con maggiore rigore metodologico.
Il saggio, che è dedicato significativamente a Carlo Francesco Ferraris, allora docente di statistica all'università di Padova, è infatti una applicazione del metodo statistico-topografico, derivato dal metodo geografico di G. von Mayr, all'analisi delle cause e degli effetti dell'emigrazione, e si avvale di un apparato documentario estremamente ricco e selezionato.
Il D. per mostrare che l'emigrazione italiana verso i paesi stranieri si muoveva in ragione inversa alla densità della popolazione, divideva i 284 circondari del Regno in tre gruppi geografici, in modo che tutti i circondari del primo gruppo avessero una emigrazione più piccola di quelli del secondo ed analogamente i circondari del terzo gruppo presentassero un'emigrazione più contenuta di quelli del secondo. In tal modo egli riusciva ad organizzare i dati disponibili nella forma statistica più idonea a studiare le relazioni tra la densità della popolazione dei paesi compresi nei circondari, la conseguente pressione esercitata sulle risorse locali, e la crescita nel tempo dell'emigrazione.
L'emigrazione non era quindi dovuta fondamentalmente - a parere del D. - ad un'insufficienza endernica di risorse rispetto alla crescita della popolazione. Non poteva quindi essere accolta per l'Italia la tesi di T. R. Malthus, che tra Ottocento e Novecento suscitò un dibattito molto vivace tra gli economisti popolazionisti e quelli antipopolazionisti, collegandosi alla più generale discussione sulle forme e misure politiche più idonee ad incentivare lo sviluppo economico nelle condizioni strutturali italiane. Il fatto che l'emigrazione fosse più intensa nelle zone con una densità maggiore di popolazione andava piuttosto spiegato con una sostanziale sottoutilizzazione delle risorse esistenti in quelle regioni, e quindi o con una insufficiente attivazione delle forze produttive disponibili o con un sistema arretrato di conduzione e proprietà agraria. In particolare, il D. sottolineava le condizioni particolari che caratterizzavano le regioni meridionali del paese, nelle quali la mancanza di capitali, la struttura sociale delle campagne, e un sistema iniquo di imposizione fiscale impedivano l'impiego della forza lavoro, costringendo i lavoratori locali all'emigrazione.
Una analoga impostazione statistico-topografica il D. seguì nell'analisi delle relazioni tra la media annua delle nascite e il livello di alfabetizzazione e scolarizzazione della popolazione. Nel saggio Glianalfabeti e le nascite nelle varie parti d'Italia (I-II, Bologna 1894-1895) egli dimostrava infatti che le nascite e l'alfabetizzazione erano negativamente correlati, perché nei circondari dove era maggiore la diffusione dell'istruzione elementare era anche minore il tasso medio di natalità. La cultura era in altri termini una causa moderatrice della natalità, e quindi della pressione demografica.
Negli ultimi anni della sua attività scientifica e didattica, nei quali si segnala il lavoro di impegno civile su La maggiore età politica e la funzione elettorale (Torino 1904) il D. tornò anche ad occuparsi di questioni tecniche interne al campo disciplinare che, fra i primi, aveva contribuito a sistemare in Italia.
Il D. morì a Genova il 9 ag. 1917.
Oltre alle opere già citate vanno ricordati i seguenti scritti: Sulle ricerche statistiche intorno ai matrimoni fra consanguinei e ai loro effetti, Roma 1878; Sulterzo censimento generale della popolazione italiana, Bologna 1881; Di un teorema sull'applicazione delle medie a serie statistiche di quantità reciproche, in Giorn. degli economisti ed Annali di econom., XXI (1910), pp. 559-85.
Bibl.: Necr. in Giornale degli economisti, XXIX (1918), pp. 43 ss.; in Annuario dell'Univ. di Genova, 1917-18, pp. 63-67; F. Cosentini, in Dizionario di le islazione sociale, VI (1917), 5-6, pp. 236-39; F. Virgilli, L'opera scientifica di G. S. D., in Studi senesi nel circolo giurid. della R. università, XXXIII (1918), 4-5, pp. 325-28; F. Manzotti, La polemica sull'emigr. nell'Italia unita fino alla prima guerra mondiale, in Nuova Riv. stor., XI-VI (1962), pp. 225-91, 443-518; T. Bagiotti, G. S. D. teorico della causalità sociale, in Studi di econ. finanza e statistica in onore di Gustavo Del Vecchio, Padova 1963, pp. 83-110.