DEL VAGLIENTE (Vaglienti)
Famiglia fiorentina che dai documenti risulta impegnata soprattutto nel settore dell'oreficeria per tre generazioni, dalla seconda metà del XIV secolo fino almeno alla metà del XV.
Piero giurò all'arte di Por S. Maria quale orafo il 16 sett. 1370 e vi fu immatricolato, dopo il pagamento di una tassa di 5 lire, il 26 giugno dell'anno successivo. Abitava Oltrarno (nel popolo di S. Felice in Piazza), quartiere per il quale nel 1381 risulta tra gli eleggibili alle cariche pubbliche. Sposò Manetta e tre dei loro figli furono orafi. Manetta era sorella dell'orafo Giovanni Del Chiaro, cui il D. prestò nel 1406 una forte cifra reclamata più volte - ma in modo esplicito specie nel 1429 - dai figli, che non a caso ebbero a lungo stretti rapporti di bottega con lo stesso Del Chiaro e con i suoi eredi. Personalmente fu comunque, forse fino alla morte, già avvenuta nel 1427 (portata catastale della vedova), compagno dell'orafò Piero di Bonaccorso Vanni, coi quale, insieme con l'altro orafo Ulivo di Filippo, fu eletto il 9 maggio 1403 arbitro delle controversie fra il già ricordato Giovanni Del Chiaro e la Comunità di Castelfranco di Sopra in Valdarno.
Antonio di Piero, fratello di Felice e Giovanni, fu certamente il personaggio di maggior spicco della famiglia. Nacque a Firenze tra il 1392 ed il 1395; l'8 marzo 1414 giurò all'arte di Por S. Maria quale orafo e cinque giorni dopo s'immatricolò senza pagare alcuna tassa per il beneficio del padre; a tale data abitava Oltrarno, nel popolo di S.Felice in Piazza. Fu socio, con lacopo di Piero Lotti e Giovanni di Niccolò detto Anichino, dell'orafo Giovanni Del Chiaro, suo zio, da una data per ora imprecisabile sino alla di lui morte (seconda metà del 1424), ereditandone la bottega in Por S. Maria (o meglio la porzione dell'entratura dell'immobile in cui continuò a lavorare, ma appartenente alla chiesa di S. Maria sopra Porta, e di cui comprò in blocco mercanzie e masserizie per una cifra superiore ai 4-500 fiorini), ingenti somme di denaro a saldo delle attività di mestiere (delle quali, per altro, ancora nel 1431 non era stato soddisfatto) e clienti; fra questi il più prestigioso fu senz'altro costituito dall'arte di Calimala, che nel 1425 pagò ad Antonio 350 fiorini per un contenitore in argento dorato per il braccio di s. Filippo Apostolo, una delle reliquie più venerate del battistero di Firenze.
Un controllo diretto dei dati documentari, oggi disponibili purtroppo solo negli spogli strozziani e non negli originali, ha chiarito una volta per tutte che essi per ben due volte parlano in modo inequivocabile appunto del 1425 e di 350 fiorini: vanno pertanto considerate esclusivo frutto di errate letture la data 1405 10406 e la cifra di 35 fiorini spesso riportate dagli studiosi che si sono occupati della questione (per una bibliografia in proposito cfr. Frey, 1911). La precisazione non è di poco conto se si considera che il reliquiario quattrocentesco del braccio di s. Filippo, pur ampiamente manomesso e trasformato, esiste ancora (Firenze, Museo dell'Opera del duomo); in argento dorato, vetro e cristallo, presenta oggi una base esagonale (contenente reliquie di altri santi che un'iscrizione dice ivi collocate nel 1398) e un tempietto soprastante che si sviluppa in verticale con un tubo di vetro racchiuso da sei semipilastri scanalati cui si addossano per circa metà altezza altrettanti contrafforti con archi a tutto sesto sormontati da statuette di profeti (ne manca uno); il tempietto culmina con una cupola in cristallo suddivisa in sei spicchi da costole in metallo ornate di draghi alati e fogliami e con all'apice la figurina a tutto tondo dell'apostolo Filippo.
È ormai indiscutibile come proprio al duplice documento del 1425 ed al nome di Antonio sia da collegare l'intera parte superiore dei reliquiario, giustamente riconosciuta di notevole importanza per la storia delle arti fiorentine nel momento di passaggio tra gotico e rinascimento e per la cui realizzazione, probabile frutto di più collaboratori, si è addirittura pensato (quanto al s. Filippo), se non a Donatello, al giovane Michelozzo (Brunetti, 1970). D'altra parte la questione attributiva è tutt'altro che semplice: in primo luogo, visto che Calimala aveva deciso l'esecuzione del contenitore fin dal 1422 e che Antonio assunse la direzione di una compagnia d'orafi solo sullo scorcio del 1424, non andrà dimenticato il nome di Giovanni Del Chiaro; inoltre, sappiamo che soci di Antonio furono personaggi di notevole rilievo, già presenti appunto nella bottega Del Chiaro: l'Anichino (Giovanni di Niccolò di maestro Pietro della Grammatica) e, con la quota minore, Agnolo di Niccolò di Michele degli Oriuoli. Ciò risulta dall'autografa portata catastale del 1427 (Arch. di Stato di Firenze, Catasto, n. 46) di Antonio (allora abitante nel quartiere di S. Maria Novella), di estremo interesse anche per le informazioni circa i rapporti con altri artisti e con committenti di tutto rispetto.
I loro nomi compaiono in un lunghissimo elenco di debitori e creditori derivato da un perduto libro di bottega, testimonianza del periodo compreso tra la fine del 1424 ed il luglio del 1427. Vi si trovano i rappresentanti di un po' tutte le principali famiglie fiorentine, tra cui spiccano Palla Strozzi, Giovanni di Bicci de' Medici con i figli Lorenzo e Cosimo e le rispettive consorti; i signori di Poppi, Faenza e Genova; il podestà di Firenze e Niccolò da Tolentino; comunità religiose come quelle di Settimo, di S. Maria degli Angioli e del monastero del Paradiso; molti ricamatori; "forzerinai" e "dipintori" (uno dei quali è il Pesello); cartolai; orafi e gioiellieri come Bruno di ser Lapo Mazzei, Cola di Niccolò Spinelli, Antonio e Cambio di Tano Petrucci, Antonio di Matteo Ghini, Guarente di Giovanni, Domenico di Deo e tanti altri; perfino ben undici lavoranti di bottega. Ma l'aspetto di maggior importanza consiste nei legami di Antonio con alcuni di quanti andavano collaborando ad una delle maggiori imprese artistiche della Firenze del 1 400: se già non era sfuggita (Bacci, 1905; Brunetti, 1970) la presenza di Antonio tra i creditori del Ghiberti nel 1427 per 13 fiorini (cfr. Bacci [1905], con corretta lettura rispetto al Gaye [1839], che trascrisse invece "33"), ora risulta direttamente Antonio citare non solo il debitore Ghiberti (anche se qui per la ben più modesta cifra di poco più di un fiorino) ma, accanto a lui, addirittura Donatello e Luca di Simone della Robbia, contraddistinguendoli entrambi con la specifica "fa le porte", ossia come impegnati (cosa finora o solo ipotizzata o esclusa) nelle porte fiorentine per antonomasia, quelle del battistero poi dette del Paradiso.
Nel 1431 (Arch. di Stato di Firenze, Catasto, n. 369) fino almeno al 1433 tra i soci di Antonio, con bottega spostata sul canto di Vacchereccia, troviamo in più il banchiere Agnolo d'Esaù Martellini; la lista dei debitori è sempre cospicua, mentre si riduce quella dei creditori, l'una e l'altra tratte da alcuni perduti libri di bottega successivi a quello utilizzato nel 1427; anche se un notevole numero di nomi ricompare immutato, prevalgono senz'altro le, novità: s'incontrano personaggi come il signore di Ascoli Piceno, Matteo Palmieri, Giannozzo Manetti, Antonio di Coluccio Salutati, l'uomo d'armi Giovanni Piccinino, molti ebrei; scompaiono Donatello, il Ghiberti e Luca della Robbia e si affaccia invece Michelozzo, insieme a molti orafi che in gran parte non corrispondono a quelli già incontrati. Poco dopo dovette iniziare un inesorabile declino dell'attività e quindi del florido stato economico di Antonio se nel 1433 (quando tornò ad abitare nel quartiere di S. Spirito) era partecipe, ma, stavolta in subordine, di una nuova compagnia, capeggiata da Bernardo de' Bardi; nel 1442 era compagno di Giovanni di Francesco Spina, setaiolo largamente interessato al settore orafo, col quale il 26 gennaio affittava per cinque anni una bottega in Por Santa Maria già occupata dall'orafo Matteo di Lorenzo (forse la stessa già trasmessa ad Antonio da Giovanni Del Chiaro e quindi abbandonata solo temporaneamente).
Antonio ancora vivo nel 1447, era sicuramente già morto nel 1451, quando, nella loro portata catastale, i figli Francesco e Bernardo risultano aver rifiutato l'eredità paterna, certo perché tutt'altro che conveniente; i due rinunciatari (nati rispettivamente nel 1428 e nel 1429) si iscrissero entrambi quali orafi all'arte di Por S. Maria, il primo il 20 dicembre 1456 col beneficio del padre, il secondo il 21 aprile 1452 col beneficio dello zio Giovanni. Di Bernardo sappiamo solo che dettò testamento il 15 febbraio 1452; di Francesco, che nel 1457 faceva società d'orafo a mezzo con un Paolo di ser Luca in una imprecisata bottega di proprietà dell'arte del cambio ed erano specialisti nel lavorare "scaglie" di rame e d'argento per ricami. Francesco era ancora vivo nel 1480.
Giovanni di Piero nacque probabilmente a Firenze attorno all'anno 1400. Il 6 sett. 1419 s'immatricolò col beneficio del padre all'arte di Por S. Maria, ma senza nominare il proprio mestiere; nella portata catastale del 1427 si autodefiniva setaiolo e come tale dovette essere attivo anche successivamente (lo dimostrano, ad es., le liste di debitori e creditori della portata catastale del 1431) anche se il 3 genn. 1428 s'iscriveva pure nella corporazione dei medici e speziali quale merciaio. Fu comunque in costante, stretto rapporto coi fratelli (specie Felice, con il quale coabitò a lungo in via Chiara, Oltrarno) e quindi coll'ambiente orafo, sia quello determinato dalla situazione familiare (crediti in sospeso con gli eredi di Giovanni Del Chiaro e di Piero di Bonaccorso, cointeressati nelle botteghe rispettivamente di Antonio e del padre), sia quello, più allargato, comprensivo di numerose altre personalità di spicco del primo Quattrocento fiorentino. Giovanni, ancora vivo nel 1442, era sicuramente gia morto nel 1447, quando a fare la denuncia catastale fu la vedova Nanna.
Un figlio, Piero, nato verso il 1440, s'immatricolò quale orafo all'arte di Por S. Maria, col beneficio sia del padre sia dello zio Antonio, il 17 nov. 1458, ma già l'anno prima lo sappiamo cambiatore al minuto a Pisa con "tavola" (ossia banco) ai piedi del ponte Vecchio di quella città.
Felice di Piero nacque probabilmente a Firenze verso il 1410; non risulta essersi mai immatricolato ad alcuna arte né le sue portate catastali del 1427 e del 1431 (anno dopo il quale non si sono reperiti altri documenti) alludono ad alcun particolare mestiere: da esse risulta solo coabitante Oltrarno col fratello Giovanni e cointeressato per cifre non indifferenti alle pendenze di natura economica dei D. con gli eredi degli orafi Giovanni Del Chiaro e Piero di Bonaccorso; non è mai documentato come collaboratore nella bottega del fratello Antonio.
Fonti e Bibl.: Per Antonio di Piero: Firenze, Arch. dell'Opera del duomo, G.F. Berti, Cronaca artistica dell'arte di Calimala Francesca detta dei Mercatanti (ms. del 1848); Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n.7, c. 195r; Ibid., Carte Strozz., serie II, n. 15, c. 51v; n. 51.1, c. 15rv (già 6rv); n. 51.11, c. 115r (già 111r); Ibid., Catasto, n. 46, cc. 7r-15v; n. 52, cc. 472r-493v (già 560r-581v); n. 58, c. 199v; n. 332, c. 618rv; n. 369, cc. 30r-40r; n. 437, cc. 179r-183v; n. 610, c. 135rv; n. 650, c. 645rv; n. 690.1, c. 491r; Ibid., Conventi soppressi 78, n. 361, c. 35r; Ibid., Notarile antecosimiano, B. 1534, cc. 258r-259r; Ibid., Pupilliavanti il Principato, n. 41, cc.198v, 201v e 202r; n. 48, c. 210r; n. 146, c. 11 v; G. Mariti, Mem. istor. di Monaco de' Corbizzi fiorentino, patriarca di Gerusalemme, Firenze 1781, pp. 83-101; G. Gaye, Carteggio ined. d'artisti, I, Firenze 1839, p. 105; J. Labarte, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, p. 496; F.-A. Gruyer, Les oeuvres d'art de la Renaissance ital. au temple de Saint-Jean (Baptistère) de Florence, Paris 1875, pp. 128 s.; A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni di Firenze, Firenze 1903, pp. 54 s.; P. Bacci, Gli orafi fiorentini e il secondo riordinamento dell'altare d'argento di S. Iacopo, in Bull. stor. pistoiese, VII (1905), p. 115; K. Frey, in G. Vasari, Le vite..., I, München 1911, pp. 320, 368; Mostra del tesoro di Firenze sacra (catal.), Firenze 1933, p. 54; F. Rossi, La mostra del tesoro di Firenze sacra. Le oreficerie, in Boll. d'arte, XXVII (1933-34), p. 220; M. Wackernagel, Der Lebensraum des Künstlers in der florentinischen Renaissance, Leipzig 1938, pp. 97 s.; W- Paatz-E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, II, Frankfurt a. M. 1941, p. 210; M. Levi D'Ancona, Miniature e miniatori a Firenze dal XIV al XVI sec., Firenze 1962, p. 2; F. Rossi, Il bel S. Giovanni, S.Maria del Fiore, l'Opera del duomo (catal.), Firenze 1964, p. 73; G. Brunetti, Il Museo dell'Opera del duomo, II, Milano 1970, pp. 10 s., 242-45; R. Krautheimer, Lorenzo Ghiberti, II, Princeton 1970, p. 376; L'oreficeria nella Firenze del Quattrocento (catal.), Firenze 1977, pp. 33 s., 180 s.; D. Carl, ZurGoldschmiedefamilie Dei mit neuen Dokumenten zu Antonio Pollaiuolo und Andrea Verrocchio, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XXVI (1982), pp. 130, 145; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, II, p. 7. - Bernardo di Antonio: Arch. di Stato di Firenze, Appendice al Notarile, n. 86, c. 48r; Ibid., Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 30v; Ibid., Catasto, n. 369, c. 30v; n. 690.1, c. 491r; D. Carl, cit., p. 145. - Felice di Piero: Arch. di Stato di Firenze, Catasto, n. 20, cc. 834r-835v; n. 339, c. 659rv; D. Carl, cit., p. 145. - Francesco di Antonio: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 75v; Ibid., Catasto, n. 46, c. 8v; n. 369, c. 30v; n. 680.1, c. 493r; n. 792, cc. 401r-402r; n. 1003. Il, c. 383v; D. Carl, 1982, Cit., p. 145. - Giovanni di Piero: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 145r; Ibid., Arti, Medici e speziali, n. 21, c. 193r; Ibid., Catasto, n. 19, c. 299v; n. 20, cc. 832v, 834r-835v e 948r; n.42, c. 490v; n. 339, cc. 789r-790v; n.610, c. 697r; n. 792, c. 726rv; D. Carl, cit., p. 145. - Piero: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 157r; Ibid., Catasto, n. 16, c. 534r; n. 21, cc. 316r-317v; n. 63, c. 375v; n. 339, c. 659v; n. 340, cc. 235r e 258v; Ibid., Notarile antecosimiano, B. 1541, cc. 61v-62r, 97r e 100r; Delizie degli eruditi toscani, XVI (1783), p. 140. - Piero di Giovanni: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Per S. Maria, n. 8, c. 184v; Ibid., Catasto, n. 792, c. 726rv.