DEL RICCIO BALDI, Pietro (Crinitus Petrus)
Nacque a Firenze il 22 maggio 1474 da Bartolomeo e Lisa di Beltramone Tosinghi, ed ebbe come secondo nome Domenico. secondo quanto risulta dall'atto pubblicato dal Piattoli (pp. 179 s.).
La famiglia Del Riccio Baldi, diramazione dell'antica casata dei Lotteringhi, non era ricca. Il D., quinto di nove fratelli, dimostrò una precoce inclinazione per le discipline classiche e la filologia. Il suo primo maestro fu Paolo Sassi di Ronciglione, e tracce del suo apprendistato rimangono negli esercizi grammaticali contenuti nel cod. Riccard. 2621 e nelle glosse apposte al cod. Laur. XC. 18 delle Epistulae di Sidonio Apolfinare, che risalgono al 1489. Ascoltò inoltre le lezioni di Ugolino Verino, prima che costui con il Sassi fosse allontanato da Firenze. Verso il 1491 il D. cominciò a frequentare lo Studio fiorentino e qui udì numerose lezioni del Poliziano, di cui divenne, nonostante la giovane età, uno dei discepoli più cari e fidati.
Questo insegnamento contribuì notevolmente alla sua formazione spirituale, e ispirò al D. la concezione della filologia come visione totale e applicazione onnicomprensiva delle varie scienze dell'antichità, sebbene l'improvvisa scomparsa del maestro e le vicissitudini personali e la brevità della propria esistenza gli impedissero di sottrarsi alla tentazione di una antiquaria polimazia.
Il Poliziano introdusse il D. nella cerchia di Lorenzo il Magnifico, in cui egli ebbe modo di conoscere e frequentare i maggiori ingegni della Firenze tardoquattrocentesca e completare la sua preparazione dottrinale. Infatti il D. partecipò alle riunioni della cosidetta Accademia Marciana. che si tenevano nel convento di S. Marco, e a quelle della Accademia Platonica (Della Torre, pp. 10 s.), e fu presente inoltre ai convegni della villa fiesolana di Cosimo, dove si incontravano G. Pico della Mirandola, Lorenzo il Magnifico, Matteo Bossi, Demetrio Calcondila, Pietro Martelli.
Fino ai vent'anni il D., pur nutrendo ambizioni universitarie, lavorò in stretta collaborazione con il Poliziano. In seguito, non avendo ottenuto lo sperato incarico allo Studio, egli tenne lezioni private, come prova l'annotazione a estratti dell'opera di Arrigo da Settimello, pubblicata dall'Angeleri (Contributi, p. 53): "Excripsi hactenus ego Petrus Crinitus Florentiae augusto 1498, quo tempore Plautinas fabulas et Tibulli elegias privatim. profitebar, audientibus florentinis iuventibus nobilissimis". Sappiamo anche di repetitiones sul De oratore di Cicerone che egli impartiva nel 1500 nella chiesa di S. Spirito (Di Pietro, p. 1). La morte quasi simultanea di Lorenzo de' Medici 0492), Ermolao Barbaro (1493) e Angelo Poliziano (1494), che privò il D. di validi sostegni morali e materiali, e la contemporanea discesa di Carlo VIII, furono da lui coscientemente avvertite come la fine di un'epoca: "Nescio quo fato ... evenerit ... ut principes viri in litteris ... perierint ... in ipso statim Francorum adventu ... immaturo obitu ... Sed enim litterae ipsae ac studia bonarum artium simul cum Italiae libertate coeperunt paulatim extingui" (De hon. disc., XV, 9). Tutto il materiale che il Poliziano aveva raccolto in anni di studio febbrile e fecondissimo, gli excerpta, le collazioni, le traduzioni, i commenti manoscritti, i riassunti, tranne l'autografo incompiuto della Centuria secunda dei Miscellanea (che egli fu sospettato a torto di occultare), passarono di proprietà del D., che negli anni successivi si preoccupò di riordinare l'immensa farragine e di incorporarla in volumi organici e il più possibile omogenei. Dopo la sistemazione ricevuta dal D., gli zibaldoni del Poliziano furono posseduti dal Vettori e per ultimo dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (cod. Mon. Gr. 182; Mon. Lat. 748, 754, 755, 766, 807). Il D. non poté invece salvare la biblioteca del Poliziano, che andò dispersa per mille rivoli, ma cercò di difenderne l'opera da detrattori e plagiari. Fin dal gennaio 1497, anche per suggerimento di Pico della Mirandola, egli pensava alla pubblicazione, concentrata in un unico volume, di tutte le opere del Poliziano (Mon. Lat. 755, f. 43v). In seguito, grazie all'interessamento di Pico, che intervenne autorevolmente presso Aldo Manuzio, fu possibile pubblicare l'edizione auspicata dal D. nel 1498, senza che si possa dire fino a che punto ne fossero accettate le proposte strutturali da parte dei curatori dei volume, Aldo Manuzio e Alessandro Sarti. Tuttavia, specialmente nella costituzione dei dodici libri dell'epistolario, che il Poliziano aveva già preparato per le stampe, l'edizione del D. e del Sarti rappresenta un radicale rimaneggiamento del testo originario, suggerito da considerazioni storico-politiche e dai timori per la precaria e instabile situazione di Firenze e dell'Italia nel 1498 (Martelli, pp. 25 s.).
In due lettere, pubblicate nell'epistolario del Poliziano (XII, 21-22; ediz. 1550: pp. 383-92), il D. risponde soprattutto alle sollecitazioni del Sarti che gli chiedeva gli argomenti della Centuria secunda, affermando che "...hoc: publicum munus quidam privati iuris fecerunt... qui aut talia non agnoscant aut si agnoscant dissimulent", e fornisce un breve elenco dei titoli dei singoli capitoli, parte per ricordo diretto di quei problemi che il Poliziano aveva discusso a viva voce con lui, parte per averli letti su una "pagella" fra "inchartabula quaedam" del maestro. L'esattezza di queste notizie è stata dei resto confermata dalla recente scoperta e pubblicazione della Centuria secunda.
A Firenze il D. proseguiva alacremente nella sua attività di studioso e maestro, come dimostrano le numerose sottoscrizioni di codici da lui postillati tra il 1495 e il 1500 (Angeleri, Contributi, p. 62). I frequenti viaggi che al dire dell'Angeleri egli avrebbe compiuto in quest'epoca sono tutti da provare. Non è certamente il D. colui che parla in prima persona e racconta (cod. Mon. Lat. 807, f. 83v) "...partimmo el conte Johanni Pico della Mirandola et io da Firenze", descrivendo un viaggio di studio che si svolge tra Bologna, Venezia e Padova nel 1491, ma il Poliziano stesso; come il fatto che egli trascriva le poesie del Pontano (cod. Laur. XXXIV. 50) non implica che sia stato a Napoli nel 1496 (anno della sottoscrizione datata), anche per sfuggire alla dolorosa situazione di Firenze, dopo la discesa di Carlo VIII e la cacciata dei Medici. In questi anni fiorentini, avari didocumenti, se si eccettua l'atto notarile del 31 ag. 1502 con cui il D. veniva emancipato dal padre Bartolomeo e reso a tutti gli effetti homo liber dalla patria potestà e sui iuris (Piattoli, p. 80), egli sembra sia stato in buoni rapporti con Bartolomeo Scala, che ne riportò due lettere all'inizio della sua Apologia contra vituperatores urbis Florentiae (Firenze 1496, c. 1 rv), mentre è attestata una sua partecipazione alle riunioni che si tenevano negli Orti Oricellari, il noto cenacolo culturale promosso da Bernardo Rucellai, che si può considerare la continuazione ideale dell'Accademia Platonica (Della Torre, p. 30). Infatti alcuni passi del De honesta disciplina (II, 14; V, 14; X, 12; XI, 12) rivelano un ricordo diretto di quei convegni e una familiarità del D. con alcuni dei principali esponenti degli Orti, come Giovanni Corsi, Iacopo Cattani da Diacceto, Giovanni Canacci.
Nel 1503, quando aveva quasi finito di comporre il De honesta disciplina, ilD. fece un viaggio a Roma dove conobbe di persona molti esponenti della Accademia romana, il giurista Tommaso Fusco (a cui dedicò il carme "De malis et incommodis suae aetatis", Poem., p.551), il poeta Manilio Rallo, il vescovo di Segni, Lucio "Fosforo" Fazzini, già corrispondente del Poliziano (è il destinatario di tre componimenti, Poem., pp. 547, 550, 556), e strinse amicizia con il napoletano Bernardino Carafa, nipote del cardinale Oliviero, a cui avrebbe dedicato il De honesta disciplina. Questo trattato, che il D. era venuto via via allestendo con numerosi opuscoli, che sono andati perduti, fu pubblicato a Firenze da Filippo Giunta nel giugno del 1504.
Nella prefazione-dedica al Carafa, il D. afferma di avere seguito il metodo delle adnotationes e delle collectiones, come quello in grado di giovare più utilmente, a suo parere, a "meliora ingenia", e così ne prospetta il contenuto: "multa in his comperies quae ad ius civile et pontificium faciunt, alia rursus quae ad institutiones veterum et humaniores disciplinas pertinent". La destinazione dell'opera non è quindi soltanto scolastica, come fa pensare il suo titolo, ma essa è diretta anche agli uomini di cultura, ai "prudentes viri" che sono in grado di "iudicare ac probe expendere tantum atque egregie docti"; di proposito però il D. ha omesso la trattazione di "difficiliores quaestiones aut nimis anxias" per far posto a quelle "civiles imprimis atque honestas".
Il De honesta disciplina, piùche una propedeutica alle arti liberali, è un'ampia miscellanea con ambizioni enciclopediche, che rimanda a analoghe compilazioni greco-latine, come i Deipnosofisti di Ateneo, le Noctes Atticae di Aulo Gellio (al quale il D. fu spesso paragonato), i Saturnalia di Macrobio. E innegabile su di essa l'influenza delle due Centurie dei Miscellanea del Poliziano, ma con la differenza che il D. ha dell'antichità classica, specialmente latina, una visione più erudita che scientifica, e questo abito critico lo porta più a descrivere che a approfondire, sfuggendogli quel nesso tra res e verba che costituisce l'afimento segreto della insoddisfatta filologia del Poliziano e in particolare il tessuto di ideali corrispondenze che legava insieme le varie manifestazioni dell'antichità. Dal Poliziano inoltre il D. assume l'atteggiamento verso i giuristi del proprio tempo, che non hanno applicato, nonostante i grandi progressi registrati con l'umanesimo nel campo delle arti liberali, i metodi della nuova filologia allo studio del diritto romano (De hon. disc., XVII, 8). Nella sua biblioteca d'altronde furono raccolti diversi testi giuridici, e uno di questi, la Regula di Sesto Pomponio sulla indivisibilità della servitù, giunse, tramite Giulio Cesare Della Scala, ad Armand de Ferron, che la pubblicò nel 1538 nei suoi Consuetudinum Burdigalensium Commentarii. Un capitolo del De honesta disciplina (VII, 2) è dedicato ai geroglifici egiziani, che il D. non considera lettere, ma una simbologia di segni per esprimere profondi e misteriosi concetti filosofici. Sulla scorta di Pico della Mirandola, il D. pensava ad una influenza della saggezza egiziana sui filosofi greci, e interpretava l'Antico Testamento come una raffigurazione enigmatica di immagini allegoriche, coni:pilata da Mosè sotto l'influsso della cultura d'Egitto. Il. De honesta disciplina fupubblicato in seguito a Parigi da I. Badius Ascensius nel 1510 (ristampato nel 1513, 1518, 1525), a Basilea da Henricus Petrus nel 1532, a Lione da S. Gryphius nel 1543, 1554, 1561, 1585 e a Ginevra nel 1598.
Nel 1505 il D. diede alle stampe, a Firenze, presso Filippo Giunta, i Libri de poetis latinis, dedicati a Cosimo Pazzi vescovo di Arezzo, storia letteraria relativamente completa della poesia latina, rigorosamente documentata ed esente da quelle manipolazioni sulle fonti che sono una caratteristica delle biografie umanistiche, per quanto priva di prospettiva storica e delle necessarie correlazioni fra autore e autore. Intanto si dedicava alla composizione di un trattato De historicis ac oratoribus latinis che avrebbe dovuto logicamente completare il De poetis, e costituire insieme una delle prime storie letterarie dell'unianesimo con il De hominibus doctis di Paolo Cortesi, se si eccettua il diseguale tentativo di Sicco Polenton (da cui peraltro il D. trasse ispirazione, dato che ne possedeva gli Scriptores illustres latinae linguae, sia pure interrotti al libro XI, ora cod. Riccard. 121). Del De historicis, perduti o non condotti mai a termine, rimane soltanto una Vita Sallustii Crispi, stampata in testa al De coniuratione Catilinae, uscito a Firenze presso Giunta nel 1527 (c. 2r). In questi anni di intenso lavoro il D. non trascurò le sue relazioni culturali e le amicizie. Certo egli era in rapporto con la corte estense, dal momento che in una sua lettera indirizzata al cardinale Ippolito da Firenze, il 12 marzo 1505, lo ringrazia con qualche adulazione della "diligentia et officium" che costui gli dimostra "in causa nostrae benivolentiae".
Èprobabile che il D. avesse in animo di dedicare al cardinale qualcuna delle opere che veniva componendo, forse il De historicis, come fa pensare l'espressione "non facile possum exprimere litteris nostris quanta me invaserit cupiditas ea perficiendi, quae in manibus sunt". Il tono della lettera è generico e non consente di scorgere in essa l'eventuale richiesta di una raccomandazione da parte di Ippolito, allo scopo di ottenere una cattedra universitaria, come suppone il Manetti (p. 70): si tratterà piuttosto di una proposta editoriale sotto il patrocinio dell'Estense, se si tiene conto delle ambizioni letterarie del D., ad esempio della pubblicazione dei suoi Poemata, che erano noti nell'ambiente ferrarese (Giraldi, p. 28).
In un'altra lettera, del 14 marzo 1506 il D. si rivolge a Francesco Gonzaga, per accompagnare l'invio del carme "De laude Francisci Gonzagae ... cum ad Tarrum contra Gallos dimicavit" (stampato poi in Poem., I, 16, pp. 333 ss.). Questa poesia era stata verosimilmente composta dal D. nel 1495 10496, subito dopo la battaglia di Fornovo sul Taro, in cui il Gonzaga aveva il comando delle milizie italiane, e fu scelta dall'autore evidentemente perché ancora sconosciuta al destinatario. Appunto per questo la raccolta dei Poemata, almeno fino al 1506, non era ancora stata pubblicata (mentre il Manetti l'assegna al 1505). Negli anni tra il 1504 e il 1507 il D. preparava inoltre l'edizione di altre opere, come gli Epistolicarum responsionum libri XX (giàpronti nel 1504, come risulta da De hon. disc., VII, 2), il De grammaticis latinis, i Promiscarum quaestionum libri XV, i Parthenicorum sermonum et poematum libri III (un passo in settenari trocaici ne è citato in De hon. disc., XXIV, 1; probabilmente si trattava di una satira menippea), secondo quanto risulta dalla lettera di Benedetto Filologo a Scipione Carteromaco stampata nella coronide dell'edizione fiorentina del De honesta disciplina. Tuttavia questi ambiziosi propositi furono bruscamente interrotti dalla malattia in cui il D. vide un presagio della fine, quando scriveva il carme "De sua aegritudine et imminenti obitu" (Poem., II, 5, p. 574). E infatti la morte lo colse nella avita casa fiorentina di S. Felice in Piazza, il 5 luglio 1507 (Arch. di Stato di Firenze, Obituari dell'arte dei medici e speziali, reg. 248, f. 19v).
Dopo la sua morte, furono pubblicati i Poematum libri II (senza indicazioni tipografiche, ma certamente a Firenze presso gli credi di F. Giunta, tra il 1507 e il 1509). Nella prefazione che Luceius Veronensis, curatore, dedicò a Pietro Bembo (che a suo tempo aveva incaricato il poeta Giovanni Cotta di raccogliere i carmi del D.) si, accenna a "complura alia [poemata]" del D., che si trovano "cum alibi locis multis tum. Ferrariae apud Estenses principes". Questi componimenti, fra i quali alcuni in volgare, sono al momento introvabili e probabilmente perduti. Il Giraldi (p. 28) giudicava i carmi del C. "non inlepidi", ma piuttosto prosastici, e li definiva "nugae canorae" (questo fa pensare, dato il contenuto per lo più serio dei poemata conservati, che egli si riferisse a una scelta più ampia). Nei Poemata si nota un'imitazione oraziana sia nella scelta dei metri sia nei contenuti, fra cui spiccano i temi civili e politici. Anche le Naeniae per la morte di Lorenzo de' Medici, Michele Marullo e Pico della Mirandola, nonché l'epigramma in onore del Poliziano, vibrano di commozione e accenti sinceri, ma sono piuttosto eloquenti che poetiche. Il De poetis e i Poemata furono costantemente ripubblicati nelle ristampe citate del De honesta disciplina (una scelta dei Poemata anche nei Carmina illustrium poetarum Italorum, III, Florentiae 1719, pp. 497-518); questa è stata a sua volta riedita da C. Angeleri, con ampia introduzione e bibliografia (Roma 1955). La traduzione del capitolo III, 2 ("Disputatio inter H. Savonarolam et P. Mirandulam") fu pubblicata da G. Uzielli in ICentenari del 1898, Firenze 1898, pp. 46 ss., e, insieme a V, 1 e VIII, 3, da E. Garin, G. Picodella Mirandola, De hominis dignitate..., Firenze 1942, pp. 7984. Inoltre a Venezia, nel 1552, fu stampata una serie di sue adnotationes al libro XVI delle Epistulae ad familiares di Cicerone "cum aliis ommentariis". Un elenco esauriente delle opere a stampa, di quelle inedite e perdute, delle glosse e postille, delle trascrizioni e degli autografi del D. si trova nell'edizione citata dell'Angeleri (pp. 46-49).
Bibl.: G. Budé, Annotationes priores in Pandectas, Lugduni 1551, pp. 175 s., 178;D. Dal Re, Iprecursori ital. di una nuova scuola di diritto romano nel sec. XV, Roma 1878, pp. 98- 102;L. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, Berolini 1894, pp. 28 s.; A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica, Firenze 1902, pp. 10, 22, 30, 40, 766; C.Di Pietro, Zibaldoni autografi di A. Poliziano inediti e sconosciuti nella R. Bibl. di Monaco, in Giorn. stor. d. lett. ital., LV (1910), pp. 1-32;G. Bottiglioni, La lirica latina in Firenze nella seconda metà del sec. XV, Pisa 1913, pp. 153-67;L. Frati, Uno zibaldone di P. Crinito, in Arch. stor. ital., LXXI (1913), 1, pp. 373-79;L. Volkmann, Bilder-Schriften der Renaissance, Leipzig 1923, pp. 28, 42, 111; C. Angeleri, Contributi biogr. su l'umanista P. Crinito, allievo del Poliziano, in Riv. d. Archivi toscani., V (1933), pp. 41-70;Id., Un umanista fiorentino del '400 discepolo del Poliziano: P. Crinito, in Atti della Soc. Colombaria fiorentina, 1933-34, pp. 247-67;G. Garin, G, Pico della Mirandola. Vita e dottrina, Firenze 1937, pp. 9, 41-44, 104, 106, 223-27; C. Angeleri, Crinito Pietro, in Repert. degli umanisti ital., Firenze 1943, pp. 5ss.; A. Perosa, Studi sulla formaz. delle raccolte di poesie del Marullo, in Rinascimento., s. 2, I (1950), pp. 135ss.; D. Maffei, Gli inizi dell'umanesimo giuridico, Milano 1956, pp. 45 ss., 65, 90, 104, 112, 123 s., 129;B. Croce, Poesia popol. e poesia d'arte, Bari 1957, pp. 481 ss.;R. Piattoli, La vera data di nascita di P. Crinito, in La Bibliofilia, LXI (1959), pp. 179-81; C.Angeleri, A proposito degli studi sul Crinito, ibid., LXII (1960), pp. 50s.; I. Maier, Les manuscrits d'Ange Politien, Genève 1965, passim;A. Manetti, Due lettere ined. del Crinito, in Lettere ital., XXVII (1975), pp. 69-72; M. Martelli, Il libro delle epistole di A. Poliziano, in Interpres, I (1978), pp. 185, 203 s., 238 s., 246, 255; A. Poliziano, Miscellaneorum Centuria Secunda, ed. minor, a cura di V. Branca-M. Pastore Stocchi, Firenze 1978, Introd. passim e specialmente pp. 42-68; M. E. Cosenza, Diction. of Ital. Humanists, II, Boston 1962, coll. 1146-49; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 19, 75, 120, 185, 221; II, pp. 259, 374.