DEL POZZO (Dal Pozzo, Pozzo, De Puteo), Raimondo, principe del Parco
Nacque, secondo la maggior parte dei biografi, nel 1619, o, come sostengono Ritzler e Sefrin, il 17 genn. 1622, a Messina, da antica e nobile famiglia.
Secondo G. Galluppi, Nobiliario della città di Messina, Napoli 1877, pp. 137 ss., la stirpe, tra le più illustri d'Italia, risalirebbe al barone Gerardo che nel 1048 "giovò a Desiderio IV signore della Contea olandese". Signori di vari feudi nell'Italia settentrionale e centrale, i Del Pozzo, grazie ai meriti militari acquisiti al seguito di re Giacomo e di Federico II di Sicilia, si insignorirono di territori nell'Italia meridionale, dando cosi origine al ramo messinese della famiglia, che annoverò illustri personaggi. Sul nome del padre le fonti sono discordi: alcune lo dicono figlio di un Giovanni; altre di un Francesco; altre ancora di un Giovanfrancesco, che nel Ruolo generale dei cavalieri messinesi nell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemine (cit. dal Galluppi) all'anno 1631 è indicato come il fondatore della commenda di Alcina. Anche sul nome della madre non pessediamo notizie concordi. Nel gia citato Nobiliario del Galluppi, il D. è detto figlio di Francesco e di una non meglio definita "signora de' Majolino", mentre il Giuliani indica in Maria Marquet di Aragona "nobilissima donna, discendente de' primi magnati di Spagna" la madre del Del Pozzo.
Della sua prima formazione culturale, che si svolse probabilmente a Messina, non abbiamo notizie; né restano testimonianze sui suoi viaggi in Spagna, se si eccettua un suo accenno nella dedica del secondo libro del Circolo tusculano a un personaggio spagnolo, Simone Rao, abate di S. Croce e cappellano d'onore del re di Spagna. Studiò a Roma, al Collegio Romano, sotto la guida del gesuita Sforza Pallavicino, allora prefetto degli studi che, come il D. afferma nella dedica della stessa opera, gli fu "maestro nell'arte per ben tredici anni". A Roma era certamente nel 1649 dove il 20 marzo fu "promosso nell'ordine dei Presbiteri" e dove, conseguita la licenza in teologia, si fece gesuita (Processus episcoporum Datariae apostolicae, Romae 1668, ff. 349 ss.). Non possiamo precisare la durata del suo soggiorno romano, ma possiamo affermare con certezza che nel 1656 era di nuovo a Messina "immerso nelle cure domestiche, et in fracassi forensi", dove pubblicò la prima delle sue opere, il Circolo tusculano.
Licenziata dalla commenda di Alcina il 28 ag. 1656, scritta in volgare e in forma di dialogo, l'opera si compone di tre parti. Nella prima, traendo lo spunto da passi del Timeo che si propone di commentare, il D. precisa le sue convinzioni di carattere teologico sostenendo, nello spirito di un platonismo matematizzante, forse assorbito attraverso le teorie del Maurolico, la presenza di profonde verità teologiche, come, ad esempio, la trinità, nella filosofia di Platone "finora studiato dalle scuole come scismatico". Seguendo via via i problemi posti dal testo platonico, l'autore coglie l'occasione per scrivere, excursus di carattere scientifico, discutendo le dottrine di Copernico e Galilei, che respinge perché contrarie alla fede cristiana, e accettando quelle di Tyge (Ticho) Brahe; e non rinuncia ad affrontare temi scottanti, come l'astrologia, che egli dichiara di apprezzare in alcune sue parti, e che conosceva attraverso le dottrine di G. Della Porta. La seconda parte è una esposizione della Fisica e del De coelo di Aristotele in centurie di proposizioni, spiegate attraverso il confronto con gli autori antichi, quasi preludio alla terza parte occupata da una esposizione delle dottrine dei filosofi greci fino ad Epicuro ove le varie dottrine sono esposte in forma aforismatica, con rare indicazioni di carattere cronologico, e in uno spirito alieno da pregiudizi teologici, come dimostra la trattazione del pensiero dello stesso Epicuro.
Della sua attività a Messina, dopo il rientro da Roma, nulla sappiamo. Quasi certamente attendeva alla stesura della Romana veritas contra haereticos, qui pubblicata nel 1658.
Dedicata ad Alessandro VII e presentata nella epistola al lettore come "curiosa e necessaria", l'opera, divisa in tre parti, narra la storia dei concili e dei "deliri" delle sette ereticali. A queste va l'interesse prevalente dell'autore nella prima parte, De sectis haereticorum, ove, nella forma di una confutazione logica, espone il contenuto delle eresie antiche, medioevali e moderne. La parte seconda, Notitia conciliorum, elenca diciotto concili, disposti questa volta in ordine cronologico, dal concilio di Nicea a quello Lateranense del 1513, ba:ttendo soprattutto l'accento sulle eresie che ciascun concilio era chiamato a combattere. Dal concilio di Trento è occupata la terza parte, Acta Concilii Tridentini, argomento sul quale poteva giovarsi della monpMentale opera del suo maestro Sforza Pallavicino. Qui sono illustrate e spiegate le risoluzioni relative alle cruciali polemiche teologiche dell'epoca: il peccato originale, l'Immacolata Concezione, la giustificazione e l'eucarestia.
Un anno dopo, nel 1659, a testimonianza della sua attività all'interno dell'Accademia messinese della Fucina, alcune sue poesie compaiono nella raccolta Poesie degli accademici della Fucina, parte terza, Napoli 1659. In questa accademia egli entrò, assumendo il nome di "Negletto", probabilmente dopo il suo ritorno da Roma, visto che il suo nome non compare fra gli accademici dei primi otto anni di attività (1642-50), ed in essa restò probabilmente ancora per alcuni anni, pome dimostra la raccolta Prose degli accademici della Fucina, libro primo, Monteleoni 1667, che contiene due suoi discorsi.
Nel 1660 il D. fu insignito "iper dispensa avuta da Malta", della croce dell'Ordine e ottenne la commenda di Alcina. Un riferimento al nuovo titolo appare nella Sylva variarum quaestionum pubblicata a Roma nel 1667, dove egli si trovava, come si arguisce da accenni contenuti nell'opera.
"Sylva brevis" di tutto lo scibile filosofico e teologico, l'opera, più che di impegno teorico, esprime interessi di carattere didattico, presentando un elenco delle principali dottrine filosofiche e teologiche "quae hic Romae solent agitari", per le quali il D. rinvia continuamente a passi del Circolo tuscolano.
Compose infine, una Brevis notitia casuum conscientiae ... ove sono raccolti, a mo' di catechismo, i precetti della Chiesa, una spiegazione del decalogo e un elenco delle punizioni ecclesiastiche. Il 10 nov. 1668, Clemente IX lo elesse vescovo di Vieste (e non di Este, come quasi tutti i biografi riferiscono). Nella cittadina della Capitanata (odierna provincia di Foggia), dove giunse il 22 marzo 1670, rimase il resto della vita, rinunciando alla più importante diocesi di Nazareth cui era stato assegnato nel 1684. Alla povera diocesi lasciò la sua eredità di 1.000 scudi e la sua biblioteca "raris codicibus referta".
Morì a Vieste il 30 ott. 1694.
Bibl.: P. Reina, Delle notizie istor. della città di Messina, II, Messina 1668, p. 533; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula..., Panormi 1714, II, p. 196; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., VIII, Venetiis 1721, col. 873; C. Villarosa de Rosa, Notizie di alcuni cavalieri del Sacro Ordine gerosolimitano..., Napoli 1841, pp. 264 ss.; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia, Venezia 1866, XX, p. 598; V. Giuliani, Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della città di Vieste, Saluzzo 1873, pp. 178 ss.; G. M. Mira, Bibl. siciliana..., Palermo 1881, II, p. 257; F. Bonazzi di Sannicandro, Elenco dei cavalieri del S.M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme ricevuti nella veneranda lingua d'Italia, Bologna, 1897, I, p. 111; G. Nigido Dionisi, L'Accad. della Fucina di Messina (1639-1678), Catania 1903, p. 238; L. Nicotra, Un filosofo messinese del Seicento, in Riv. rosminiana, VI (1911), pp. 90-94; M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1929, III, p. 67; P. B. Gams, Series episcoporum, p. 942;R. Ritzler-P. Sefrin, Hier. catholica..., V, Patavii 1952, p. 412.