DEL GIUDICE
Famiglia di orefici e argentieri napoletani documentati per la prima volta nel 1569. Marco (nei documenti compare come Dello Giodice), fu maestro che godette di stima e considerazione ai suoi tempi se, nel 1650, venne chiamato dai certosini di S. Martino, insieme ad altri argentieri, per l'apprezzo della testa e delle mani di S. Martino fuse in argento da Gennaro Monte, autore altresì del modello in cera della statua che venne ugualmente sottoposto alla commissione (Causa, 1973). Non sono chiari i rapporti di parentela con i più noti esponenti della famiglia alla quale con tutta probabilità appartenne.
Francesco fu attivo a Messina nella prima metà del XVIII secolo. Nel 1729 era a capo di una delle botteghe più ricche della città, ma non abbiamo finora altre notizie (Accascina, 1974), anche per quello che riguarda la sua parentela con gli altri Del Giudice.
Filippo nacque intorno al 1706, dato che nel 1753, testimone a favore dei consoli dell'arte in un processo per frode negli argenti lavorati, si qualifica maestro argentiere di anni 47, abitante a Napoli, agli "Orefici" nelle case di Filippo Cappa (E. e C. Catello, 1973, p. 134; 1980, p. 431). Fu per oltre quarant'anni argentiere di fiducia presso la Deputazione del tesoro di S. Gennaro.
Per la cappella dedicata al patrono della città il D. eseguì i suoi lavori di maggior impegno, rinnovando gran parte degli arredi. Nel 1745 vennero consegnati i due candelabri monumentali (cm 330), detti "splendori", in argento, sbalzato con figure allegoriche di Virtù e putti, realizzati a tutto tondo (Bellucci, 1915, pp. 104 s.). La complessa elaborazione del disegno, nonché il modello in creta e successivamente quello in cera, furono affidati a Bartolomeo Granucci, scultore e architetto decoratore. La quantità necessaria di argento fu stimata in quattro quintali e la somma occorrente venne raccolta fra i devoti a s. Gennaro; Carlo di Borbone contribuì personalmente con l'offerta di 2.000 ducati.
Tra le prime opere di Filippo per la cappella va annoverata una statuina dell'Immacolata in bronzo dorato, di eleganza pienamente settecentesca; il marchio dell'artefice è visibile soltanto sulla raggiera in lamina d'argento, dato che l'obbligo della punzonatura era riservato ai metalli preziosi. Il bollo dell'arte del 1757 e quello dell'argentiere Filippo sono stati inoltre riscontrati sul busto raffigurante S. Maria Maddalena penitente, di chiara matrice sanmartiniana (Bellucci, 1915, p. 97; E. e C. Catello, 1980, p. 224). Negli anni successivi risulta assai attivo; tra i molti lavori, una croce astile del 1758 custodita nel convento di S. Gregorio Armeno e un parato di candelieri conservati a Bari nella sacrestia della basilica di S. Nicola (E. e C. Catello, 1973, p. 134).
Tra il 1761 e il 1763 rinnovò gran parte degli arredi liturgici per la cappella del Tesoro, dai parati di giare con frasche per i due altari laterali alle quattro croci stazionali "con le pedagne ad uso di carte di gloria", ai candelieri con le otto giare per gli altarini. Realizzò ancora per i sette altari della cappella altrettante rilegature di messale in lamina d'argento sbalzata.
Dal 1774, in una serie di documenti, Filippo compare insieme ai due figli Giuseppe e Gennaro, anch'essi argentieri. Ai tre maestri verrà ordinata, dal sacerdote Pietro Regine di Forio d'Ischia, una statua d'argento raffigurante S. Filippo Neri simile a quella già precedentemente eseguita per la collegiata di Casoria, non gradita al committente perché non molto "caratterizzata e spiritosa". A tale scopo verrà specificato nel contratto l'obbligo per i D. di Servirsi di un modello scultoreo fornito da Giuseppe Sanmartino. Questo felice abbinamento tra lo scultore e gli argentieri si ripeterà in occasione di un'altra opera commissionata dallo stesso Regine: un ricco busto argenteo di S. Pietro (si tratta comunque di opere perdute).
Negli ultimi anni Filippo è di nuovo attivo per la cappella del Tesoro: si interesserà in varie riprese della "politura e biancatura" di tutti gli argenti, compreso il paliotto e gli splendori, nonché degli "accomodi" di vari oggetti. In occasione di questi lavori veniva talvolta compilato un preciso inventario, come quello del 1777, compilato per l'appunto da Filippo, che fornisce un elenco assai dettagliato delle oreficerie e degli arredi facenti parte della cappella, con l'indicazione, in molti casi, dell'autore e dell'anno di esecuzione (Catello, 1984, p. 314).
Filippo morì nel 1786 a Napoli (E. e C. Catello, 1980, p. 431).
Giuseppe e Gennaro (notizie dal 1774 al 1801), figli di Filippo, ebbero entrambi una posizione di prestigio all'interno dell'arte di cui furono rispettivamente consoli. Vennero nominati argentieri ordinari del Tesoro di S. Gennaro nel 1786 alla morte del padre. Negli anni successivi, infatti, venne affidato loro il compito della "pulitura, accomodatura, indoratura" delle oreficerie del Tesoro.
Eseguirono importanti lavori per conto della Deputazione della cappella, tra cui il ciborio in argento per l'altare di sinistra a cui vennero aggiunti due bracci a muro, sempre in argento. In seguito consegnarono alcune cimase a due cornucopie per le lampade ad olio; infine nel 1801 "due palliotti d'argento per i cappelloni laterali tutti lavorati di bassorilievo e fiori con l'immagine del Santo nel centro" (Bellucci, 1915, p. 106).
Il loro nome è legato, comunque, ad una serie di notevoli statue in argento: le opere di collaborazione col padre (perdute) tratte da modelli del Sanmartino, secondo esplicita richiesta del committente; il busto di S. Stefano per la cattedrale di Nusco, del 1785, di tradizionale attribuzione sanmartiniana (relativamente al modello scultoreo) che viene ora restituito, su base documentaria, al suo miglior allievo Salvatore di Franco; il S. Vito dell'omonima chiesa di Forio d'Ischia, posteriore di due anni, sempre su modello del Sanmartino, come il gruppo coevo (perduto) raffigurante un S. Giuseppe col Bambino, ordinato da Pietro Regine di Forio d'Ischia, rivelatosi dalle notizie documentarie come uno dei maggiori committenti della famiglia Del Giudice. In effetti i modelli in creta del celebre Sanmartino costituirono la principale fonte di ispirazione per i due argentieri, se ancora nel 1797 - quattro anni dopo la morte dello scultore - si servirono di un suo disegno, col relativo modello preparatorio, per Tobia con l'arcangelo Raffaele, ilgruppo di squisita eleganza formale custodito nella sacrestia della cappella del Tesoro di S. Gennaro.
Dal 1794 al 1798 i due maestri detennero l'appalto per la monetazione d'argento a Napoli, incarico che venne loro confermato dopo la rivoluzione del '99 (E. e C. Catello, 1973, pp. 40-49).
Il punzone F.D.G.C. usato dai D. - che compare anche su alcuni oggetti ritrovati a Matera e in altri centri della Basilicata - è con tutta probabilità quello consolare del padre Filippo.
Fonti e Bibl.: C. Celano, Notizie del Bello... della Città di Napoli..., Napoli 1856-60, II, p. 115; G. D'Ascia, Storia d'Ischia, Napoli 1864, pp. 364 s. (per Giuseppe e Gennaro); G. A. Galante, Guida sacra... di Napoli, Napoli 1872, p. 8 (per Filippo); A. Bellucci, Mem. stor. e artist. del Tesoro nella Cattedrale, Napoli 1915, pp. 97, 104 s. (per Filippo), 106 s. (per Giuseppe e Gennaro); G. Borrelli, Sanmartino scultore per il Presepe napoletano, Napoli 1966, pp. 101 s. (per Giuseppe e Gennaro); E. Catello - C. Catello, Argenti napol. dal XVI al XIX secolo, Napoli 1973, ad Indicem; R. Causa, L'arte nella certosa di S. Martino, Napoli 1973, p. 106 (per Marco); A. Lipinsky, Argenti napol. dal XVI al XIX secolo, in Arte cristiana, LXII (1974), p. 244 (per Giuseppe e Gennaro); M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp. 310, 355 (per Francesco); E. Catello - C. Catello, La cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1977, ad Indicem; Id.-Id., Quattro statue di argento di G. Sanmartino, in Antologia di Belle Arti, 1978, 5, pp. 49 ss. (per Giuseppe e Gennaro); F. Strazzullo, La Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1978, pp. 22, 30, 58-61, 168, 178 (per Filippo), 28, 62, 168 (per Giuseppe e Gennaro); E. Catello - C. Catello, in Civiltà del '700 a Napoli (catal.), II, Firenze 1980, pp. 222 ss., 431 (per Filippo), pp. 226 s., 431 (per Giuseppe e Gennaro); A. Grelle, Arte in Basilicata... (catal.), Matera 1981, p. 153 (per Giuseppe e Gennaro); A. Catello, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), II, Napoli 1984, n. 314 (per Filippo); E. Catello, Nuovi contributi su Giuseppe Sanmartino, in Napoli nobilissima, XXII (1983), 5-6, pp. 178; A. Catello, The treasure of San Gennaro …, (catal.), New York 1987, pp. 33, 35, 38.