DEL CHIARO
Patronimico assunto in epoca per il momento imprecisabile (ma certo già dal XVII secolo) quale cognome di almeno due stirpi ben distinte ed ampiamente documentate di orafi fiorentini attivi nel XV secolo, l'una discendente da un Albizzello, l'altra da un Cennino. Ad esse - oltre che a un Piero che appare del tutto indipendente - ne va aggiunta una terza (della quale viceversa allo stato attuale delle ricerche si sa pochissimo), denominata esplicitamente Del Chiaro fin dal sec. XV e cui appartennero i fratelli Antonio e Piero di Matteo. I componenti delle famiglie sono qui esaminati secondo l'ordine alfabetico di nomi e patronimici.
Antonio di Matteo di Francesco. Pur non comparendo tra gli orafi immatricolati alla fiorentina corporazione di Por Santa Maria (o della seta), risulta appartenente come sottoposto a tale categoria d'artigiani nel 1447 ed orafo viene definito ancora nel dicembre del 1527, in un atto notarile successivo di ben 29 anni alla sua morte, avvenuta il 14 luglio 1478. Fu fratello di Piero (anche lui chiamato orafo in alcuni documenti, ma altrettanto assente dalle accennate matricole) e padre dello scalpellino Maso (autore con Clemente di Taddeo Rinaldi di un perduto pulpito marmoreo per la Ss. Annunziata di Firenze, già morto il 2 dic. 1527); non ci restano suoi lavori.
Chiaro di Giovanni di Chiaro di Albizzello. Nacque attorno al 1418; figlio di orafo, benchè immatricolato anch'egli come tale - col beneficio del genitore - all'arte di Por Santa Maria, nella portata catastale del 1442 risulta apprendista setaiuolo in una bottega di cui possedeva l'entratura e nella quale lo troviamo ancora (forse ormai come maestro, ma comunque sempre praticante il medesimo mestiere) nel 1469. Nel 1447 sposò Caterina di Pierozzo di Giovanni di Luca pezzaio. Niente ci è per ora noto della sua concreta attività: l'interesse della documentazione che lo riguarda finora reperita consiste essenzialmente nella possibilità, da essa ampiamente offerta, di seguire le vicende della complessa eredità del padre, di cui fu il maggior beneficiato. Ebbe un figlio Giovanni, immatricolato quale orafo all'arte di Por Santa Maria il 14 dic. 1453.
Giovanni di Chiaro di Albizzello. Nato in anno per ora imprecisabile da un Chiaro di Albizzello di Truffa (bisnonno e nonno - i cui nomi ricorrono spesso in atti di compravendita di immobili fin dalla metà del XIV secolo - abitavano Oltrarno, nel popolo di S. Lucia de' Magnoli), giurò all'arte di Por Santa Maria quale orafo il 5 febbr. 1403 ed il 27 del successivo settembre poté essere regolarmente iscritto nelle matricole della corporazione dopo aver pagato una tassa di 5 lire e 20 soldi; già in tale data - e nemmeno i discendenti si sposteranno più - risulta abitante nel quartiere di S. Giovanni, popolo di S. Maria Maggiore.
Secondo la documentazione raccolta, ebbe, fin dagli inizi della sua carriera, stretti legami - o per parentela o per motivi di lavoro - con numerose delle maggiori e più attive personalità nel settore orafo del primo Quattrocento fiorentino: nel maggio 1403 elesse arbitri delle proprie liti con la Comunità di Castelfranco di Sopra, in Valdarno, gli orafi Piero di Bonaccorso Vanni, Piero Del Vagliente e Ulivo di Filippo; nel 1404 provvide alla dote della sorella Antonia, andata sposa all'orefice Oderigo d'Andrea di Credi (avo del pittore Lorenzo di Andrea, noto come Lorenzo di Credi), che ancora nel 1420 ricorrerà agli aiuti finanziari del cognato e ne avrà garantita una dote di 150 fiorini anche per la figlia; Lorenzo di Andrea, nel 1406, ricevette un forte prestito dal già citato Piero Del Vagliente, la cui restituzione nel 1429 era reclamata dal figlio di questo, Antonio; nel 1411 sposò Benedetta di Piero di Salvi Lotti, sorella dell'orafo Iacopo, uno dei compagni di bottega di Giovanni ancor prima che questi si mettesse in proprio. Sappiamo infatti che entrambi avevano lavorato con Matteo di Lorenzo, orafo documentatissimo e celebrato, che, morendo il 2 gennaio 1420, lasciò a Giovanni immobili, crediti e clienti: i primi consistevano in un terzo dell'entratura della bottega di proprietà della chiesa di S. Maria sopra porta, posta in Por Santa Maria, in cui Giovanni stesso aveva lavorato e continuò a lavorare per tutta la vita, e di un terzo di quella contigua ad uso di setaiuolo; i secondi, in notevole misura ancora non riscossi almeno nel 1433, riguardavano personaggi come il conte Argento di Spoleto e l'abate vallombrosano di Marradi nonché artigiani variamente specializzati, come altri orafi, forzerinai, ecc. Quanto alla clientela, Giovanni - che nel frattempo aveva assunto, con una rilevante predominanza economica, la direzione di una compagnia che includeva, in subordine, anche gli orafi Iacopo di Piero Lotti, Antonio di Piero Del Vagliente (destinato a succedergli quale capo della medesima bottega) e Giovanni di Niccolò detto Anichino - ereditò committenti di grande prestigio, quali il monastero del Paradiso presso Firenze e, soprattutto, il battistero fiorentino.
Questo, o meglio l'arte di Calimala, suo organo tutore, pagò a Giovanni più di 43 fiorini nel 1419 per un bacino e due ampolle d'argento e 40 fiorini nel 1421 per la metà che gli toccava della doratura del reliquiario del dito indice di san Giovanni Battista, opera che complessivamente finì per costare la cospicua somma di 280 fiorini, saldata a Giovanni il 22 apr. 1423. Purtroppo il reliquiario in questione, al pari degli altri oggetti, è andato perduto: ma, come attesta l'ammontare della cifra, dovette trattarsi di un pezzo abbastanza eccezionale, che solo una bottega di grandi capacità poteva produrre.
A conferma dell'importanza raggiunta dall'organizzazione capeggiata da Giovanni ci resta una nutrita serie di testimonianze scritte successive alla morte dell'interessato: questa, avvenuta il 16 novembre 1424, determinò - secondo un testamento redatto il 17 apr. 1421 che venne parzialmente rinnovato il 7 dic. 1423 e che comunque indicava nel figlio Chiaro, salvo una morte prematura, l'erede universale - l'intervento amministrativo per tutti i lasciti dell'apposita magistratura pubblica fiorentina denominata dei Pupilli; essa si trovò a dovere, in primo luogo, sbrogliare proprio la complicata questione degli interessi legati alla bottega d'orafo di Giovanni.
L'immobile continuò a essere occupato senza discussioni dal socio Antonio Del Vagliente; non altrettanto semplice fu la spartizione tra i cointeressati (anche in questo caso specialmente Antonio) e gli eredi di Giovanni dei debitori e creditori e delle masserizie. Circa queste ultime si hanno resoconti relativi alla restituzione di gioielli e suppellettili ai legittimi proprietari, alla definizione delle posizioni di certi supposti debitori (tra cui Cosimo e Lorenzo di Giovanni de' Medici che avevano preso, ma anche restituito, due brocchette), al recupero di oggetti di Giovanni rimasti in mano altrui (notevole un gruppo di oltre una dozzina di pietre preziose - per lo più diamanti - variamente montati e che l'ex socio Giovanni di Niccolò riprese a Venezia nel giugno 1425).
Quanto invece a debiti e crediti, almeno nel 1433 non si era ancora arrivati a nulla, nonostante un tentativo di "saldare le ragioni" da parte dell'incaricato dei Pupilli il 12 luglio 1425; da ciò erano risultati creditori gli eredi di Giovanni (oltre 2.204 fiorini) e Iacopo Lotti, debitori il Del Vagliente e Giovanni di Niccolò. Prima di tale data si era giunti solo a scarse e parziali regolamentazioni con singoli: ma tra esse merita particolare menzione quella con Lorenzo di Bartoluccio, ossia il Ghiberti, che aveva dovuto cedere quale debitore di Giovanni un imprecisato immobile poi venduto, tra il settembre e il novembre 1425, per ben 100 fiorini. Fallito il saldo, il trascinarsi della vertenza è dettagliatamente documentato dalle successive portate catastali degli eredi di Giovanni, specie quelle del 1427, 1431 e 1433; esse comprendono, tra l'altro, preziosi, inediti elenchi di debitori di bottega che danno una significativa, anche se superficiale, idea della clientela e dei rapporti di Giovanni con altri artisti. Prima della morte (1424) costui ebbe a che fare, per es., con Michelozzo di Bartolomeo, in un caso esplicitamente definito "delle porte", ossia impegnato nelle porte orientali (o del Paradiso) del battistero di Firenze: ciò sollecita, insieme con quanto sopra accennato, un riesame a vasto raggio e su documenti coevi originali dell'intero, ampio "cantiere" orafo attivo attorno al celebre monumento; cantiere nel cui ambito la medesima bottega, passata da Matteo di Lorenzo ad Antonio Del Vagliente attraverso Giovanni, svolse certo un ruolo non trascurabile. Ma tornando ai debitori lasciati da Giovanni incontriamo maestro Gentile da Fabriano dipintore (a Firenze - lo ricordiamo - solamente dal 1422 al 1426), Niccolò detto il Pela scalpellatore, numerosi ricamatori, gli orafi forestieri - ma di luoghi anch'essi di ghibertiana suggestione - Turino di Sano senese e Giovampiero da Città di Castello. Si viene a sapere per di più, che si fermarono per qualche tempo nella bottega di Giovanni, forse ad apprendervi l'arte in cui poi divennero eccellenti, Agnolo di Niccolò di Michele detto degli Oriuoli (guarda caso anch'egli più tardi attivo per l'arredo del battistero) e Bartolomeo di Niccolò del Lavacchio (rappresentante principale di una stirpe di gioiellieri). Fra i numerosissimi, ricorrenti personaggi, spesso di primo piano, che compravano da Giovanni, basti qui ricordare (oltre i Medici, sia del ramo principale, a partire da Giovanni di Bicci, sia di quelli cadetti) Palla Strozzi, per il quale - grazie ad un altro inedito documento del 16 giugno 1423 - si può ad esempio precisare che acquistò perle per la figlia Tancia.
Subito dopo la morte di Giovanni, al momento di assumere il controllo della sua eredità, il magistrato dei Pupilli fece compilare un preciso inventario con stime di tutti gli arredi mobili della di lui casa d'abitazione, posta sulla piazza di S. Maria Maggiore; in esso, recentemente pubblicato solo in minima parte (cfr. Spallanzani, 1978, pp. 154 s.), compaiono non poche voci significative della cultura non solo artistica di Giovanni; per esempio, tra le altre cose, sculture forse classiche, alabastri, libri per lo più in volgare (Dante, Salmi di David, Vangeli, Ovidio, Plutarco, storie e cronache), vetri, ceramiche, un'arpa.
Giovanni di Niccolò di Chiaro di Cennino. Figlio di orafo, inscritto all'arte di Por Santa Maria, e nipote di Lorenzo di Chiaro, nacque attorno all'anno 1407; si immatricolò (anche lui come orefice, domiciliato nel quartiere di S. Giovanni, nel popolo di S. Michele Visdomini) all'arte della seta il 6 giugno del 1442, usufruendo del beneficio del padre. Già almeno dal 13 aprile 1441 teneva tuttavia con lo zio Lorenzo una bottega in Calimala (sotto il palazzo Montecalvi), affittata loro da Filippo del fu Francesco Malatesti; è per il momento impossibile dire se si tratti della stessa bottega che nella stessa via gli venne data ininterrottamente a pigione dal novembre 1458 ad almeno il 1480 dal monastero cistercense di Settimo: questo, da parte sua, usufruì più volte dell'opera di Giovanni, ad es. nel 1467, quando lo pagò per smaltare una croce dell'altar maggiore, e nel 1468, quando gli fece risistemare con argento un calice. Del gennaio 1467 (e non 1466 come in Thieme-Becker) è anche la commissione a Giovanni ed al socio Iacopo di Lorenzo del perduto reliquiario argenteo per il dito di s. Piero Martire, voluto dall'omonima compagnia e dal priore di S. Maria Novella; gli orafi ricevettero acconti e metallo per l'esecuzione dell'oggetto fino al settembre dello stesso anno. Sposatosi almeno due volte (con Alessandra di Leonardo di Michele Bettini e con una non meglio precisata Simona), Giovanni morì l'8 maggio 1482 e fu sepolto in S. Michele Visdomini.
È da ritenersi la sua - per motivi cronologici e per la prestigiosa attività documentata - la bottega di Giovanni Del Chiaro ricordata (senza specifiche di patronimico) da Benedetto Dei attorno al 1470 come in Mercato Nuovo (Romby, 1976).
Lorenzo di Chiaro di Cermino. Fratello di Niccolò di Chiaro di Cennino (non, come è stato detto, di Giovanni di Chiaro Albizzelli), e quindi zio di Giovanni; nacque attorno al 1388 ed entrò nella corporazione di Por Santa Maria, quale orafo abitante nel quartiere di S. Giovanni e nel popolo di S. Michele Visdomini, giurando il 3 nov. 1411 e venendo immatricolato - previo pagamento di una tassa di 5 lire - l'11 marzo 1412. Il 22 febbr. 1425 fu protagonista di una questione legale che lo costrinse ad abbandonare la sua bottega (di cui per altro non si dice l'ubicazione) in favore di un nuovo occupante. Nella portata catastale del 1427, Lorenzo (cui tra l'altro deve una somma di denaro la compagnia orafa diretta da Bruno di ser Lapo Mazzei) è definito ora "orafo d'ottone", ora "ferraiolo"; quest'ultima qualifica è chiarita tra l'altro da un allegato elenco di debitori e creditori, quasi tutti artigiani del settore tessile, in particolare di stoffe operate di alto pregio: la specializzazione di Lorenzo consisteva infatti nel produrre ferri usati ai telai per creare i fantasiosi motivi decorativi delle celebri sete fiorentine (si trattava di strumenti per cui si esigeva una qualità tecnica e formale che non solo in questo caso fu garantita da un orafo). Se nel 1427 la bottega di Lorenzo era, nella via delle Terme, nel 1441 quando ospitava il nipote Giovanni si trovava invece in Calimala. Lorenzo ebbe nel 1418 un figlio, Niccolò, immatricolato quale orafo all'arte di Por Santa Maria, col beneficio del padre, il 6 luglio 1442.
Niccolò di Chiaro di Cennino. Abitante nel popolo di S. Lorenzo, quartiere di S. Giovanni, giurò all'arte di Por Santa Maria quale orafo il 27 giugno 1399 per venirvi poi immatricolato il 27 sett. 1403. Padre di Giovanni di Niccolò.
Piero di Chiaro. Giurò all'arte di Por Santa Maria quale orafo il 7 dic.
1350 e - pagata una tassa di 5 lire - vi venne immatricolato il 30 maggio del 1351. Abitante Oltramo, nel popolo di S. Pier Gattolini, era ancora tale il 12 genn. 1353, quando pose termine - con atto notarile ufficiale - a qualsiasi controversia con l'altro orafo Lippo di Tebaldino. Resta incerto se possa identificarsi col Piero di Chiaruccio documentato come rimettitore dell'oro e fonditore dell'oro e dell'argento della Zecca di Firenze tra il maggio 1373 e la prima metà del 1381 (Bernocchi, 1974-75).
Fonti e Bibl.: Per Antonio di Matteo: Archivio di Stato di Firenze, Appendice al Notarile, n. 101, c. 138v; Ibid., Catasto, n. 675, cc. 135rv; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 488.
Chiaro di Giovanni di Chiaro di Albizzello: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 46r; Ibid., Catasto, n. 52, c. 474r (già 562r); n. 380, c. 438r; n. 474, c. 487r (già 488r); n. 624, c. 267r; n. 715.II, cc. 684rv; n. 925.I, cc. 233rv; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 232rv.
Giovanni di Chiaro di Albizzello: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 102v; Ibid., Carte Strozziane, serie II, n. 51.I, c. 15c (già 6r); Ibid., Carte strozziane, serie IV, n. 363, c. XXXVIr; Ibid., Catasto, n. 46, c. 15r; n. 52, cc. 472r-493v (già 560r-581v); n. 63, c. 375v; n. 380, cc. 437r-447v; n. 474, cc. 487r-492r; n. 624, cc. 267rv; n. 715.II, cc. 284rv; n. 925.I, cc. 233rv; Ibid., Morti della Grascia, n. 3, c. 59v; Ibid., Notarile Antecosimiano, B.1541, c. 97r; Ibid., Pupilli avanti il Principato, n. 36, c. 21r; n. 41, cc. 187r-202v, 258v-259r; n. 48, c. 210r; n. 146, cc. 10r-11v, 35r, 200r; n. 160, cc. 216r-224r, Firenze, Bibl, naz., Magl. 9.127, c. 194; 26.131, c. 153; 26.135, cc. 219, 240, 247; 26.141, cc. 11, 205; 26.142, cc. 148, 205, 304; 26.145, c. 159; G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, V, Firenze 1757, p. XLVIII; F. L. Polidori, Ricordi di Oderigo di Credi, in Arch. stor. ital., IV (1843), pp. 97, 114; J. Labarte, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, p. 496; A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni di Firenze, Firenze 1903, p. 63; K. Frey, in G. Vasari, Le Vite..., I, München 1911, p. 368; R. Piattoli, Il monastero del Paradiso presso Firenze nella storia dell'arte del primo Quattrocento, in Rivista d'arte, XVIII (1936), pp. 294, 306, 310; L. Becherucci, in L. Becherucci-G. Brunetti. Il Museo dell'Opera del duomo, II, Milano 1970, pp. 241, 256; M. Spallanzani, Ceramiche orientali a Firenze nel Rinascimento, Firenze 1978, pp. 47, 131, 154 s.; D. Carl, Zur Goldschmiedefamilie Dei mit neuen Dokumenten zu Antonio Pollaiuolo und Andrea Verrocchio, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVI (1982), pp. 130, 145; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 487.
Giovanni di Chiaro di Giovanni di Chiaro di Albizello: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 113r; D. Carl, Zur Goldschmiedefamilie Dei mit neuen Dokumenten..., in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVI (1982), p. 159.
Giovanni di Niccolò di Chiaro di Cennino: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 107v; Ibid., Morti della Grascia, n. 5, c. 161r; Ibid., Compagnie religiose soppresse, n. 499, cc. 4v, 54v, 55r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 203v-204r; Firenze, Bibl. naz., Magl. 26.135, c. 209; 26.142, c. 317; 26.145, c. 90; G. Poggi, Il reliquiario di S. Pietro Martire e un quadro di David del Ghirlandaio in S. Maria Novella, in Miscellanea d'arte, I (1903), p. 69; G. C. Romby, Descrizioni e rappresentazioni della città di Firenze nel XV secolo, Firenze 1976, p. 70; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 487 s.
Lorenzo di Chiaro di Cennino: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 115v; Ibid., Catasto, n. 62, cc. 163r-164v; Ibid., Mercanzia, n. 1285, cc. 19r-21r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 203v-204r; Firenze, Bibl. naz., Magl. 26.141, c. 206; J. Mesnil, La Compagnia di Gesù Pellegrino, in Rivista d'arte, II (1904), p. 71; D. Carl, Zur Goldschmiedefamilie Dei mit neuen Dokumenten..., in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVI (1982), pp. 130, 145.
Niccolò di Chiaro di Cennino: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 142r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1541, cc. 176v-177r.
Niccolò di Lorenzo di Chiaro di Cennino: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 164r; Ibid., Catasto, n. 62, c. 164v.
Piero di Chiaro: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 154r; Ibid, Notarile Antecosimiano, c. 600, cc. 174rv, 219r; M. Bernocchi, Le monete della Repubblica fiorentina, I, Firenze 1974, pp. 179, 185 ss., 191, 193; II, ibid. 1975, pp. 232, 234, 236 ss.
Piero di Matteo: Arch. di Stato di Firenze, Appendice al Notarile, n. 101, c. 138v.