DEL CARRETTO, Giorgio, marchese del Finale
Figlio di Antonio, marchese del Finale, e di Leonora di Federico Fieschi, nacque verso la fine del sec. XIII. Con i fratelli Antonio ed Enrico, ereditò il feudo, contro cui da tempo si dirigevano gli sforzi della Repubblica di Genova per bloccarne i fiorenti traffici commerciali con l'entroterra padano.
Nelle lotte violente che stavano sconvolgendo Genova, divisa tra la fazione guelfa e quella ghibellina, il D. si schierò con quest'ultima, che era stata costretta ad abbandonare la città, controllata da re Roberto d'Angiò. Nel 1321 i ghibellini spedirono forze per terra e per mare all'assedio di Noli, roccaforte del guelfismo genovese. Gli "intrinseci" (come erano definiti i guelfi) inviarono in soccorso della città 16 galee, pagate da re Roberto e guidate da Pietro Guano. Esse si scontrarono presso Spotorno con le galee savonesi, che appoggiavano gli "extrinseci" ghibellini, ed ebbero la peggio. Dopo tre giorni di assedio, Noli si arrese il 6 febbraio al D.; il 6 aprile si arrese il castello, seguito dall'isola di Bergeggi.
Il 13 febbr. 1324, a Noli, fu stipulato un importante accordo tra il Comune di Savona e il marchese, affiancato dal fratello Enrico: agli abitanti del Finale venne riconosciuta completa esenzione doganale per le merci da loro importate a Savona, fatte alcune eccezioni; inoltre, si stabilì reciprocità di trattamento nell'uso dei boschi tra gli uomini del feudo carrettesco e quelli della città savonese. Questo accordo aprì al Finale un importante mercato per le merci sbarcate nel porto, proprio mentre i traffici con le Riviere, e in particolare con Genova, conoscevano serie difficoltà dovute alle lotte tra guelfi e ghibellini.
Nel 1341 il D. diede il guasto al territorio di Albenga, con l'intenzione di porre l'assedio alla città. Il doge Simone Boccanegra la soccorse con tre galee, fatte venire dalla Spagna e guidate da Giovanni De Mari. Questo deciso intervento dogale obbligò il marchese a tentare la strada dell'accordo; il Boccanegra lo invitò a recarsi a Genova per colloqui, dietro promessa dell'incolumità; tuttavia, una volta giunto in città il D., il 31 agosto una sollevazione popolare, forse provocata ad arte, contro i Carretteschi, accusati di essere i responsabili dello stato di guerra esistente nella Riviera occidentale, spinse il Boccanegra a violare i patti e a far catturare il marchese.
Il D. fu dapprima custodito in palazzo sotto buona guardia e poi rinchiuso nella prigione detta Grimaldina. Fu costretto a cedere al doge il suo feudo (Finale, Varigotti, Cervo) oltre ai castelli dei signori della Lingueglia, che lo avevano aiutato nella lotta contro Albenga. In ottobre, il Boccanegra fece abbattere la fortezza del Castellaro presso Taggia e la fortezza di Varigotti. In novembre, il D. fu trasferito nel carcere della Malapaga e chiuso in una gabbia di legno. Per la sua liberazione dovette intervenire anche papa Clemente VI che, dietro sollecitazione di Manuele, nipote del D., inviò una lettera al vescovo di Acqui perché si adoperasse in favore del malcapitato marchese.
Questo intervento non valse a nulla: solo nel 1344, approfittando di una sollevazione popolare durante il Natale contro il regime del Boccanegra e aiutato dal nobile genovese Centurione Cattaneo, il D. riuscì a fuggire. Caduto il Boccanegra, si venne ad un accordo il 3 maggio 1345 tra il nuovo doge, Giovanni De Murta, e il D., affiancato nell'occasione da altri membri della famiglia: per cinque anni al marchese fu permesso di evitare l'"abitacolo" a Genova, cui i signori erano tenuti fin dal secolo XII. Nel 1347 il doge De Murta lo invitò, insieme col fratello Antonio, a partecipare alla spedizione di Corsica.
Nel 1355 Carlo IV gli concesse l'investitura dei suoi feudi. Non abbiamo altre notizie sulla sua vita: nel 1367 nel trattato tra la Repubblica di Genova e il Ducato di Milano venivano ricordati vari membri della famiglia carrettesca, ma non Giorgio, che probabilmente era già morto.
Il D. ebbe almeno tre figli: Enrichetto, morto prima del 1385, Lazzarino e Carlo, ricordati in lotta contro altri membri della famiglia (Manuele, figlio di Enrico, e Antonio, figlio del fu Aleramo) per il controllo del feudo del Finale. Questi contrasti in seno ai Carretteschi permisero al doge Antoniotto Adorno, chiamato a dirimere come arbitro la questione, di ottenere vantaggi sostanziali per Genova. Infatti, la sua sentenza, emessa nel 1385, disponeva che la metà del Finale fosse consegnata da Manuele ed Antonio a Genova, la quale diede loro in cambio metà della marca di Clavesana, acquistata in precedenza da Emanuele di Ciavesana per 9.000 fiorini d'oro; la Repubblica genovese, a sua volta, assegnò la sua quota del Finale a Lazzarino e Carlo, figli del D., già proprietari dell'altra metà, e a Giorgino, figlio del fu Enrichetto e loro nipote. Nel 1390 Carlo rinunciò in favore del fratello Lazzarino (I) alla sua parte concessagli in feudo da Genova. Alla morte di Lazzarino, nel marchesato successe suo figlio Lazzarino (II). Il Finale rimase, in tal modo, diviso in due quote, l'una spettante a Lazzarino (II) e l'altra a suo cugino Giorgio.
Fonti e Bibl.: Georgii et Iohannis Stellae Annales Genuenses, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, ad Indicem; G. B. Moriondo, Monumenta Aquensia, I, Taurini 1789, col. 294 n. 289; Liber iurium Reipublicae Genuensis, in Historiae patriae monum., IX, Augustae Taurinorum 1857, doc. CXCII coll. 550-58; U. Assereto, Di alcuni documenti poco noti dell'Arch. di Stato di Genova, in Giornale storico-letterario della Liguria, I(1900), p. 123; F. Messea, Le convenzioni cesaree col Finale Ligure, Genova 1904, pp. 27, 56; V. Poggi, Cronotassi dei principali magistrati che ressero ed amministrarono il Comune di Savona, in Miscell. di storia ital., XLVII (1913), pp. 208 s.; G. A. Silla, Finale dalle sue origini all'inizio della dominaz. spagnola, Finalborgo 1922, ad Indicem; I. Scovazzi-F. Noberasco, Storia di Savona, II, Savona 1927, pp. 68, 92; I castelli della Liguria, I, Genova 1972, pp. 263, 339.