DEI
Famiglia originaria dei dintorni di Poggibonsi (nei documenti più antichi chiamata anche Pittolli o Pictelli, in quelli più recenti Ormanni, dal nome di un podere di sua proprietà), si trasferì a Firenze entro il penultimo decennio del sec. XIV (qui, nella cappella Dei nella chiesa di S. Spirito, vennero sepolti, attraverso i secoli, molti componenti della famiglia). Numerosi appartenenti alla famiglia Dei furono iscritti quali orefici all'arte di Por Santa Maria (o della seta) dalla fine del secolo XIV alla metà circa del sec. XVI.
In ordine cronologico ricordiamo, secondo la data d'immatricolazione: Domenico di Deo e il fratello Giovanni; i figli di Domenico, Francesco (28 nov. 1418) e Bernardo; il figlio di Giovanni, Antonio; gli altri figli di Domenico, Deo, Benedetto (28 genn. 1440), Miliano e Piero (30 genn. 1490); Matteo o Mattio e Ormanno di Giovanni; Francesco e Rinieri di Bernardo (14 dic. 1453); Giovanni e Pietro (Piero) di Antonio iscritti nello stesso giorno; Deo e Domenico di Deo e Domenico di Bernardo (15 dic. 1453); Deo di Matteo e Leonardo di Leonardo di Bernardo (17 nov. 1518) e Matteo di Deo di Matteo (18 genn. 1537); cfr. gli alberi genealogici della famiglia in Carl, 1982, pp. 148 s.).
Ciò nonostante solo per pochi di costoro - tutti ben presto stabilizzatisi (quanto ad abitazione) nel "popolo" di S. Felice in Piazza - è stata finora reperita una documentazione che ne dimostri in qualche misura l'effettiva attività nel settore orafo (quando addirittura essa non vada fin d'ora senz'altro esclusa, come nel caso di Benedetto, il celebre cronista e viaggiatore); attività certo imprescindibile per spiegare la fortuna della famiglia (in rapporti di varia natura con le più cospicue casate fiorentine del Rinascimento e proprietaria del futuro palazzo Guadagni, in piazza S. Spirito). La Carl (1982) ha richiamato all'attenzione degli studiosi il ruolo determinante della bottega dei D. per la formazione di personalità come Antonio del Pollaiuolo e Andrea del Verrocchio. Qui di seguito forniamo le biografie in ordine alfabetico dei D. che furono orafi o ebbero comunque concretamente a che fare con tale arte.
Antonio di Giovanni, fratello di Matteo e Ormanno, nacque a Firenze tra il 1405 e il 1408; immatricolatosi quale orafo all'arte di Por Santa Maria (dopo aver giurato il 23 nov. 1422) il 6 febbr. 1423 coi benefici del padre, nel 1433 lo troviamo attivo nella di lui bottega. Sposatosi il 9 giugno 1437 con Margherita di Piero Bencivegni (già morta nel 1458), ebbe - tra il 1443 e il 1454 almeno - intensi rapporti con il monastero camaldolese (Ordine cui appartennero i suoi figli Giovanni e Pietro, più noto quest'ultimo come Bartolomeo della Gatta) di S. Maria degli Angioli: tra l'altro, nel 1442 vendeva ad esso una bottega a uso d'orafo in Mercato Nuovo, acquistata poco prima dal padre e forse la stessa che proprio lui il 7 genn. 1443 affittava per cinque anni, a nome dei monaci, all'orafo Iacopo di Filippo da Bisticci (fratello di Vespasiano); il 15 febbraio dello stesso anno Antonio era pagato dal medesimo monastero per una "reliquiera". Dal 1450 risulta in compagnia con Ridolfo di Iacopo di ser Francesco Ciai. ritagliatore, in una bottega posta in Vacchereccia e di proprietà dell'arte del cambio; i due si separarono nel 1458 a seguito del fallimento di Antonio, che in tale anno non teneva più bottega ma asseriva comunque, il 27 marzo, di aver avuto tra gli altri dipendenti, quale "fattorino", un Andrea di Michele da identificarsi con ogni probabilità col Verrocchio: costui avrebbe svolto l'apprendistato presso Antonio a partire dal 1453 (Carl, 1982, p. 140). Bandito da Firenze per bancarotta nel 1463, Antonio nel 1469-70 era a Bologna col figlio Niccolò; rientrato in patria fin dal 1473, veniva definito nel 1480 dai fratelli Matteo e Ormanno in precarie condizioni economiche. Morì di lì a poco; non sembra siano sopravvissute oreficerie a lui ascrivibili.
Bernardo di Domenico, fratello maggiore di Deo e Miliano nonché del cronista Benedetto, nacque verso il 1403-04 e giovanissimo, il 29 nov. 1418, s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria col beneficio del padre; nel 1431 (anno in cui una sua casa posta in via Mazzetta era tenuta in affitto da Niccolò di Villanuccio, anch'egli orafo) e nel 1433 diceva di fare un "traffico d'orafo" con lo zio Giovanni e il fratello Deo. Da via Vacchereccia risulta trasferito nel 1442 in una bottega di via Por Santa Maria, dove aveva un imprecisato compagno che nel 1447 è chiamato Ulivo (forse Ulivo di Ridolfo d'Agostino, immatricolato all'arte della seta quale orafo il 15 genn. 1451). Gioverà ricordare anche che Bernardo (sposato in prime nozze tra il 1431 e il '34 con Tommasa di Bernardo Barnardi lanaiuolo e in seconde, nel 1449, con Bartolomea di Goro Dati) era economicamente cointeressato fino al 1444 a una bottega sull'angolo di Por Santa Maria con via delle Terme, di cui possedeva l'entratura e che affittò a setaioli e merciai, ma che - come risulta da un inedito contratto del 22 maggio 1439 - dovette lui stesso fisicamente occupare almeno qualche tempo entro il 1442, trattandosi di ambiente in origine attrezzato proprio per orafi. Già nel 1447, col citato Deo (che, morendo nel 1450, lo lascerà erede anche della sua parte), possedeva i tre quinti dell'entratura di una bottega nuovamente in Vacchereccia, in cui nel 1451 esercitava col compagno Bartolomeo di Stefano (proprietario, subentrato al padre pure orafo, degli altri due quinti): l'entratura era stata venduta negli anni Quaranta dall'orafo Francesco di Luca Verrocchio e gli eredi di Deo la rivenderanno nel 1455 a Gerozzo de' Pilli che già ne possedeva l'immobile. È la stessa bottega in cui nel 1457 praticava l'oreficeria l'altro fratello Miliano. Bernardo nel 1458 (portata al catasto) sembra non esercitare più il suo mestiere, del quale non risulta sopravvivere alcun prodotto; si impegnò invece nella vita pubblica: fu ambasciatore della Repubblica fiorentina presso la corte papale e, come testimonia ripetutamente il fratello Benedetto (cart. ined.), fra il 1467 e il 1470 rivestì cariche e visse episodi importanti della storia della sua città. Nel 1476-77 (Pisani, 1923, p. 117) era ancora vivo quale destinatario di lettere di Benedetto stesso.
Deo di Domenico nacque attorno al 1408-09; s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria (col beneficio del padre) il 5 genn. 1435, ma almeno dal 1431 (portata al catasto confermata nel 1433) fu compagno nella bottega in Vacchereccia dello zio Giovanni e del fratello maggiore Bernardo; ancora con i congiunti doveva essere nel 1436 quando con errato patronimico (Deo di Giovanni) veniva ricordato in uno degli inediti libri di bottega degli orafi fiorentini Petrucci quale "noleggiatore" di mobili del mestiere (un "desco da lavorare", un armadio e più "tavolelli"). Il 3 apr. 1441 Deo sembra autonomo e affitta dalla chiesa di S. Pier Celoro una bottega a uso d'orafo (e prima di banco) in Mercato Nuovo, per cinque anni a partire dal 1° novembre dello stesso anno; ma già nella portata catastale del 1442 dice di far parte d'una imprecisata compagnia d'orafi in Vacchereccia, in una bottega il cui immobile apparteneva ai Pilli e l'entratura all'altro orafo Francesco di Luca Verrocchio: da questo e dal comproprietario Martino del fu Giovanni sellaio Deo acquistò l'entratura stessa (poi passata al fratello Bernardo, quindi, rivenduta ai Pilli) per 80 fiorini d'oro, assieme al compagno orafo Stefano di Bartolomeo e con la fideiussione di Salvestro di Luca Verrocchio, pure orafo, secondo il ritrovato contratto del 12 marzo 1443 (e non, come è stato detto, 1445) stile moderno. La bottega di Vacchereccia - la medesima in cui esercitò il fratello minore Miliano - comprendeva anche un "fondachetto" ed era attrezzata di tutte le necessarie masserizie. Deo, che, nonostante la sua indipendenza, nel 1447 continuava ad intervenire nei pagamenti dell'affitto della bottega di Bernardo, morì - anch'egli senza averci lasciato opere - nell'ottobre del 1450.
Domenico di Deo, iniziatore delle "fortune orafe" della famiglia, fratello maggiore di Giovanni, nacque verso il 1364; s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria, versando una tassa di 6 lire e 15 soldi, il 6 apr. 1386 (un mese dopo il giuramento, per il quale gli era stato fideiussore l'orafo Giovanni di Simone Ghini). Se in tale occasione risulta del "popolo" di S. Trinita, nel quartiere di S. Maria Novella, fin dal 1395 è tassato come del quartiere di S. Spirito, gonfalone Ferza, dove la sua famiglia abitò poi sempre. Già nel catasto del 1427 dimostrava di aver messo insieme - per la numerosa prole avuta da Taddea di Miliano Salvini (tra cui i futuri orafi Bernardo, Deo, Miliano e il cronista Benedetto) - una notevole fortuna (restano notizie documentarie circa acquisti e affitti di immobili effettuati nel 1402-09 e circa l'eredità lasciatagli dalla madre Lisabetta con testamento del 1424); esercitava allora il mestiere di orafo - con un utile da poco calcolato in oltre 234 fiorini - in compagnia col fratello Giovanni in una bottega posta in Por Santa Maria (lo si specifica nel campione della medesima portata catastale e cade quindi l'ipotesi - Carl, 1982, p. 130 - che fosse in Vacchereccia), certo quella di cui Domenico e il socio (che vi stavano già nel febbraio 1425) possedevano l'entratura, proprietà dei vallombrosani di S. Trinita che poi continuarono ad affittarla a Giovanni. La bottega di Domenico ebbe numerosissimi debitori e creditori fra cui molti setaioli, e, tra gli orafi, Zanobi di Bernardo Serzelli, Antonio di Matteo Ghini, Bernardo di Tieri e i suoi compagni Leonardo di Piero e Niccolò di Villanuccio, Lorenzo del Chiaro, Antonio del Vagliente, Guarente di Giovanni, Dino di Montuccio e il compagno Marco di Bartolomeo Rustici, nonché i "sottoposti" Geri di Giovanni, Niccolò di Baldovino e soprattutto Antonio di Lippo, che proprio come lavorante di bottega di Domenico è documentato aver avuto reiterati rapporti economici, tra il marzo 1420 e il febbraio 1424, con i monaci olivetani di San Miniato al Monte: una nutrita serie, insomma, di personaggi oggi pressoché ignoti, ma ampiamente documentati negli archivi fiorentini che permettono di delinearne caratteristiche e fitti rapporti reciproci. Domenico fu anche sentenziatore dell'oro della Zecca fiorentina per i due semestri consecutivi compresi tra il 28 maggio 1406 ed il 27 maggio 1407; rivestì per sei quadrimestri la carica di console della sua corporazione (l'arte di Por Santa Maria) nel 1402, 1417, 1422, 1426 e 1429; fu podestà di vari possessi fiorentini e ambasciatore presso la corte napoletana. Morì nel 1430 e di lui, almeno per il momento, non è rintracciabile alcuna opera.
Giovanni di Deo nacque verso il 1377 e s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria, con la tassa di 6 lire e 20 soldi, il 4 febbr. 1400 (aveva giurato l'11 marzo 1399), dopo aver svolto un "debito" apprendistato. Nel 1427 (portata al catasto) faceva bottega d'orafo col fratello maggiore Domenico e - nonostante le lamentele - con un attivo di oltre 227 fiorini: sono rimaste dello stesso anno e dei successivi varie notizie di sue compravendite d'oro e d'argento. Anche lui risulta avere avuto a carico una numerosa famiglia, di cui facevano parte i futuri orafi Antonio, Ormanno e Matteo. Nel 1431-33 era in compagnia con i nipoti Bernardo e Deo nonché l'orafo Stefano di Bartolomeo, con bottega stavolta in via Vacchereccia, amministrata dall'arte del cambio quale dote della cappella Ardinghelli in S. Trinita: l'aveva affittata, subentrando ad un vaiaio, fin dal gennaio 1428 e ne rinnovò la locazione ancora il 5 febbr. 1442, per altri cinque anni a partire dal 1° genn. 1443; sembra quindi che questa sia stata la bottega in cui Giovanni esercitò l'arte dell'oreficeria fino alla morte e non (Carl, 1982, p. 196) quella acquistata e subito rivenduta nel 1442 a ratifica di notevoli rapporti economici col monastero di S. Maria degli Angioli, monastero al quale ancora si mostra legato nel settembre 1447, quando ne era priore suo figlio Gaspare. Giovanni, che rivestì anche numerose cariche pubbliche (lo troviamo tra i Dodici buonomini e gonfaloniere di Giustizia della Repubblica fiorentina), fu in particolare operaio della Fabbrica dell'ospedale degli Innocenti, per un anno, dal 1° maggio 1422, quindi operaio e camarlengo dell'Opera di S. Marco e spedali dipendenti dall'arte della seta tra il 1435 ed il 1437. Di Por Santa Maria fu infine anche console per sei quadrimestri diluiti nel corso del 1423, 1427, 1428, 1431, 1432 e 1434. Morì il 7 apr. 1446 dopo aver redatto il 30 marzo dello stesso anno un testamento oggi irreperibile.
Matteo (o Mattio) di Giovanni figlio e fratello (Antonio) di orafi, nacque nell'anno 1427 - non 1428 - e s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria, col beneficio del padre, il 1° febbr. 1440. Restando alquanto incerta (se non improbabile) l'identificazione di Matteo con il Matteo di Giovanni che sappiamo collaborare tra l'ottobre ed il dicembre 1445 con Tommaso Ghiberti - quale suo compagno - nell'esecuzione del tabernacolo centrale dell'altare e di altre cose per il battistero fiorentino (il 25 sett. 1432, per es., s'immatricolava come orafo un Matteo di Giovanni di Filippo), si incontrano nuove notizie su Matteo solamente nel 1455 (anno in cui, il 22 marzo, un Matteo di Giovanni orafo, di nuovo non identificabile con certezza, contribuiva all'accrescimento della Compagnia fiorentina di Gesù pellegrino), quando l'arte di Calimala lo pagò 28 fiorini per una pace intagliata, niellata, dorata e smaltata - che costò in tutto 68 fiorini, 6 lire, 1 soldo e 2 denari -, destinata al medesimo edificio. Due sono le paci a niello provenienti dal S. Giovanni ed oggi conservate al Bargello: entrambe (l'una con raffigurata la Crocifissione, l'altra con l'Incoronazione della Vergine) sono state avvicinate ora al nome di Matteo ora a quello di Maso Finiguerra (documentato autore di un'altra pace per lo stesso luogo nel 1452). Prevale l'opinione (Collareta, 1984) che si debba a Matteo la pace con la Crocifissione, giudicata di qualità inferiore rispetto all'altra ma comunque per ora mai utilizzata per tentare di restituire all'autore la ben distinta personalità che gli spetta: potrà in questo senso essere utile ricordare che il Rossi (1961) ha proposto di leggere il nome Matteo di Giovanni anche in una delle mutile iscrizioni ("... atteus Joh...") apposte sul reliquiario di due falangi di un dito di s. Giovanni Battista, proveniente dal battistero fiorentino ed oggi nel Museo dell'Opera del Duomo.
Nel 1458 Matteo teneva una "botteghetta" di orafo in Mercato Nuovo, con dentro masserizie e mercanzie per un valore di 196 fiorini: la teneva col fratello Ormanno (maggiore di un paio d'anni) che dopo essersi anch'egli immatricolato come orafo all'arte di Por Santa Maria lo stesso giorno di Matteo, è poi documentato accanto a lui fino almeno al 1480 e non solo nelle portate catastali. È quella del 1458 (come conferma la specifica dei nomi dei medesimi proprietari sia dell'entratura sia dell'edificio) la bottega che dal 1° nov. 1460 Matteo lasciava al setaiolo Silvestro del fu ser Iacopo Silvestri, dopo averla adattata al nuovo mestiere. In effetti già nel 1469 Matteo e Ormanno si erano trasferiti in Vacchereccia, in un immobile dei Pilli (lo stesso in cui già avevano esercitato i cugini Bernardo, Deo e Miliano ?) che l'altro cugino Benedetto - con cui Matteo era ancora nel 1477 in contatti epistolari - annoverava nel suo celebre elenco delle botteghe fiorentine d'orafi e gioiellieri attive attorno al 1470 e che i due fratelli, morti poco dopo, tenevano ancora (anche se chiusa da un anno) nel 1480.
Miliano di Domenico, gemello del cronista Benedetto e fratello minore di Bernardo e di Deo, nacque il 4 marzo 1418 e s'immatricolò quale orafo all'arte di Por Santa Maria, col beneficio sia del padre sia dello zio Giovanni, il 28 genn. 1440. Nonostante ciò, ci si è recentemente chiesti (Carl, 1982, p. 129) se abbia mai effettivamente praticato il mestiere, visto che, iscrittosi anche all'arte della lana l'8 aprile dello stesso anno, nel 1442 lavorava a salario nella bottega in via Maggio del lanaiolo Giovanni di ser Guido e nel 1448 subentrava nella bottega, pure di lanaiolo e nella stessa via, del defunto fratello Piero. Eppure, tra il febbraio e l'aprile 1457 - dopo viaggi in Alta Italia documentati nel 1449-50 grazie al fitto epistolario con Benedetto (che non a caso, appunto in una lettera, ricorderà ancora nel 1477 gli insegnamenti dell'amatissimo fratello proprio nel settore laniero) - Miliano lavorò con Antonio del Pollaiuolo alla parte inferiore della celebre croce d'argento per l'altare del battistero fiorentino (Firenze, Museo dell'Opera del Duomo).
L'abbinamento dei due nomi non si limiterebbe a questo problematico oggetto, per il quale, a dispetto delle varie proposte avanzate (tra cui quella di riconoscere Miliano negli smalti del piede), non sono ancora sostanzialmente distinguibili gli eventuali, specifici interventi dei singoli artefici che secondo i documenti vi collaborarono; la portata al catasto di Miliano del 28 febbr. 1458 annovera tra i debitori della sua bottega, stavolta d'orafo e in Vacchereccia (la medesima in cui avevano lavorato i fratelli Bernardo e Deo) un Antonio di Iacopo "lavorante", forse identificabile col Pollaiuolo (Carl, 1982). L'ipotesi, ribadita (Carl, 1984) e già largamente accolta (Bech, 1984), nonostante la documentata esistenza di orafi fiorentini omonimi e contemporanei (ad esempio Antonio di Iacopo di Antonio di Ceffo), unita al dato di fatto che dopo la breve parentesi del 1457-58 Miliano non risulta mai più attivo nel campo dell'oreficeria (non viene citato nemmeno per i pagamenti conclusivi della croce del battistero nel 1459), porterebbe a pensare che egli abbia svolto un ruolo esclusivamente economico, lasciando anche in quegli anni ad altri, come al Pollaiuolo, l'effettiva pratica del mestiere. Miliano non porta più l'appellativo di orafo né in documenti notarili compresi tra il 1464 ed il 1499, né nelle carte che ce lo mostrano in stretti rapporti con la compagnia dei Gianfigliazzi e con il setaiolo Tommaso Capponi fra il 1467 ed il 1480, né nelle portate catastali del 1469 e del 1480, né allorché ricopre cariche pubbliche (nel 1473 fu priore della Signoria fiorentina e nel 1489 consigliere dell'arte degli oliandoli). Morì povero - al punto da spingere i figli a rifiutarne l'eredità - nel 1493, a Firenze.
Fonti e Bibl.: Per la famiglia in generale: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por Santa Maria, n. 8, cc. 26v, 55r, 57r, 74r, 113r, 181r, 183v, 195v; Ibid., Carte Ancisa, BB. 349, c. 159; Ibid., Conventi Soppressi, 78, nn. 315-18; Ibid., Mediceo avanti il Principato, VII, n. 436; XX, nn. 207, 351; XXIII, n. 201; XXV, n. 85a; XXVII, nn. 410, 456; Firenze, Bibl. Laurenziana, Ashb. 1841; Firenze, Biblioteca. naz., Magl. 26. 226; Ibid., Poligrafo Gargani 709; G. Carocci, Il Comune del Galluzzo, Firenze 1892, pp. 79 s., 86 s., 91; G. Mancini, Il pittore don Bartolomeo della Gatta aveva nome Piero Dei e nacque nel 1448, in Riv. d'arte, II (1904), pp. 87-92; M. Pisani, Un avventuriero del Quattrocento: la vita e le opere di Benedetto Dei, Genova-Napoli-Città di Castello-Firenze 1923; M. Del Piazzo, Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico, Firenze 1956, pp. 129, 421, 485; L. H. Heydenreich, Über den Palazzo Guadagni in Florenz, in Eberhard Haufstaengel zum 75. Geburtstag, München 1961, pp. 43-51; P. Orvieto, Un esperto orientalista del '400: Benedetto Dei, in La Rinascita, IX (1969), pp. 205-75; D. Carl, Zur Goldschmiedefamilie D. mit neuen Dokumenten zu Antonio Pollaiuolo und Andrea Verrocchio, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XXVI (1982), pp. 129-66.
Antonio di Giovanni: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 196r; Ibid., Catasto, n. 20, c. 1063v; n. 339, c. 831r; n. 437, c. 720r; n. 610, cc. 773r-774v; n. 651, c. 821r; n. 690, cc. 116r-118v; n. 791, cc. 65r-69r, 70r-73r; n. 793, c. 137r; n. 820, cc. 53r-59r; n. 908, c. 525r; n. 996, c. 139v; n. 998, c. 149r; Ibid., Conventi Soppressi, 78, n. 261, c. 141r; 86, n. 44, cc. 2v, 117v, 140rv; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 355r-356r; Ibid., Notarile Antecosimano, C.475, c. 2v; G. Mancini, 1904, pp. 89-91; M. Levi D'Ancona, Miniature e miniatori a Firenze dal XIV al XVI secolo, Firenze 1962, p. 228; D. Carl, 1982, pp. 132, 140, 149, 152 ss., 157, 162; J. Bech, Desiderio da Settignano (and Antonio del Pollaiuolo): Problems, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVIII (1984), p. 221; A. Guidotti, Nuovi documenti su Vespasiano da Bisticci la sua bottega e la sua famiglia, in Federico di Montefeltro, lo Stato le arti la cultura, Roma 1986, pp. 109 s.
Bernardo di Domenico: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 44v; Ibid., Catasto, n. 20, c. 654r; n. 330, c. 216r; n. 339, cc. 224r-227v; n. 437, cc. 253r-255r; n. 608, c. 214r; n. 610, cc. 204rv, 206r; n. 650, cc. 257r-259r; n. 690, cc. 513r-516r; n. 790, cc. 764r-766v; n. 792, cc. 693r-695r; n. 907, cc. 214r-215v; Ibid., Manoscritti, n. 119, c. 53r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 21rv, 171rv, 173rv; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1535, cc. 432r-433v; Firenze, Bibl. Laur., Ashb. 1841, II, n. 6; Firenze, Bibl. naz., Magl. 26.135, cc. 198, 205; 26.142, c. 314; M. Pisani, 1923, pp. 3, 4, 117; C. G. E. Bunt, The Goldsmiths of Italy, London 1926, p. 65; P. Orvieto, 1969, p. 219; D. Carl, 1982, pp. 130 ss., 144, 146 ss., 150, 157; B. Dei, La Cronica dall'anno 1400 all'anno 1500, a cura di R. Barducci, Firenze 1984, p. 72.
Deo di Domenico: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 55r; Ibid., Carte Strozz., serie II, n. 15, c. 94r; Ibid., Catasto, n. 20, c. 654r; n. 330, c. 216r; n. 339, cc. 224r-227v; n. 437, cc. 253r-255r; n. 610, c. 206r, n. 690, c. 513r; n. 790, c. 286r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 200v-201r, 368v-369v; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1535, cc. 432r-433v; D. Carl, 1982, pp. 130 ss., 146 ss., 157.
Domenico di Deo: Arch. di Stato di Firenze, Appendice al Notarile, n. 64, c. 90r; Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 51v; n. 9, c. 89v; n. 246, cc. 2r, 10v, 12v, 13r, 14r, 15v; Ibid., Carte Strozz., serie II, n. 15, c. 51v; Ibid., Catasto, n. 19, c. 299v; n. 20, cc. 651r-658v, 1062r-1063v; n. 46, c. 473r; n. 66, c. 224v; n. 184.I, c. 82v; n. 437, c. 254r; Ibid., Conventi Soppressi, 168, n. 145, c. 56r; Ibid., Mercanzia, n. 1285, cc. 19r-21r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1541, cc. 65v-66r, 109rv, 184v-185r; Ibid., Pupilli avanti il Principato, n. 48, c. 43r; Zecca, n. 79, c. 93v; Firenze, Bibl. naz., Magl. 26, 142, cc. 213, 419 s.; M. Pisani, 1923, pp. 3 ss.; R. J. Kubiak, Maso Finiguerra, University Microfilms Int., Ann Arbor, Mich., 1974, p. 12 n. 5; M. Bernocchi, Le monete della Repubblica fiorentina, I, Firenze 1974, pp. 225 s.; II, Firenze 1975, pp. 280-83; D. Carl, 1982, pp. 130, 144 ss., 148, 156.
Giovanni di Deo: Arch. di Stato di Firenze, Appendice al Notarile, n. 101, c. 114r; Ibid., Arti, Por S. Maria, n. 7, c. 102r; n. 246, cc. 13r, 14r, 15v, 16rv, 17v, 97v, 99rv; Ibid., Catasto, n. 20, cc. 654v-656r, 1062r-1063v; n. 49, c. 1240r; n. 66, cc. 272v-273r; n. 330, c. 216r; n. 335, cc. 604v, 622r-623v; n. 339, cc. 224rv, 826r-831v; n. 421, c. 110v; n. 437, c. 254rv; n. 470, cc. 203r-205r; n. 473, cc. 269r-271r; n. 610, cc. 773r-774v; n. 792, c. 817v; Ibid., Conventi Soppressi, 86, n. 44, cc. 2v, 127v, 141r; Ibid., Ibid., 89, n. 31, cc. 8r, 11r, 162v, 164v, 169r; Ibid., Notarile Antecosimiano, B. 1534, cc. 260v-261r; G. Mancini, 1904, p. 89; M. Pisani, 1923, p. 4; U. Procacci, Documenti e ricerche sopra Masaccio e la sua famiglia, II, in Rivista d'arte, XVII (1935), p. 111; R. J. Kubiak, 1974, p. 65 n. 10; D. Carl, 1982, pp. 130, 132, 144, 146-49, 156.
Matteo di Giovanni: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 146r; Ibid., Carte Strozz., serie II, n. 51.I, c. 18v; n. 51.II, c. 111v; Ibid., Catasto, n. 20, c. 1063v; n. 339, c. 831r; n. 610, cc. 773r-774v; n. 791, cc. 65r-69r; n. 793, c. 127v; n. 908, cc. 213r-216v; n. 998, cc. 148r-149r; Ibid., Diplomatico Badia Fiorentina, 30 ag. 1477; Ibid., Manoscritti, n. 119, c. 53r; Ibid., Notarile Antecosimiano, S. 646, cc. s. n., 24 ott. 1460; Firenze, Bibl. Riccardiana, Ricc. 1853, c. 44r; G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti dei secoli XIV, XV, XVI, I, Firenze 1839, p. 112 nota; C. F. von Rumohr, Untersuchungen der Gründe für die Annahme, dass Maso Finiguerra Erfinder des Handgriffs sei, gestochene Metalplatten auf genetztes Papier abzudrücken, Berlin 1841, pp. 24-28; G. Milanesi, Maso Finiguerra et Matteo Dei, in L'Art, X (1884), 2, pp. 66-73; J. Mesnil, La Compagnia di Gesù Pellegrino, in Rivista d'arte, II (1904), p. 71; G. Milanesi, in G. Vasari, Le vite…, V, Firenze 1906, p. 444; K. Frey, in G. Vasari, Le vite…, I, München 1911, p. 371; M. Pisani, 1923, pp. 4, 67, 117; C. G. E. Bunt, 1926, p. 65; A. M. Hind, Nielli chiefly Italian of the XV century, plates, sulphur casts and prints, preserved in the British Museum, London 1930, p. 4; Id., Early Italian engravings, I, London 1938, p. 3; J. Goldsmith Phillips, Early Florentine designers and engravers, Cambridge, Mass., 1955, pp. 8 ss.; F. Rossi, Di un reliquiario quattrocentesco del duomo di Firenze, in Arte antica e moderna, n. 13-16, 1961, pp. 112 s.; C. Mendes Atanasio, Documenti inediti riguardanti la porta del Paradiso e Tommaso di Lorenzo Ghiberti, in Commentari, XIV (1963), pp. 95, 100, 102; F. Rossi, Il bel S. Giovanni, S. Maria del Fiore, l'Opera del duomo (catal.), Firenze 1964, p. 75; P. Orvieto, 1969, p. 219; L. Becherucci, in L. Becherucci-G. Brunetti, Il Museo dell'Opera del duomo, II, Milano 1970, pp. 7, 240 s.; K. Oberhuber, Early Italian engravings from the National Gallery of Art, Washington 1973, pp. 2 s.; R. J. Kubiak, 1974, pp. 45, 63 n. 2, 64 s. n. 10; K. Oberhuber, Vasari e il mito di Maso Finiguerra, in Il Vasari storiografo e artista, Atti del Conv. intern. del IV centenario della morte, Firenze 1974, pp. 383-93; G. C. Romby, Descrizioni e rappresentazioni della città di Firenze nel XV secolo, Firenze 1976, p. 70; D. Carl, 1982, pp. 129 s., 141 s., 149, 155, 158, 163; M. Collareta, Considerazioni sulle opere, in Corrispondenza dai Musei - Firenze, Museo del Bargello - Il restauro della croce del Pollaiolo e di tre paci, in Bollettino d'arte, LXIX (1984), 23, pp. 99 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 556.
Miliano di Domenico: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Lana, n. 21, c. 27r; Ibid., Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 146r; Ibid., Carte Strozz., serie II, n. 51.I, cc. 18v, 216r; Ibid., Catasto, n. 20, c. 654r; n. 339, c. 226r; n. 437, cc. 253r-255r; n. 608, c. 152r; n. 610, c. 210rv; n. 650, cc. 257r-259r; n. 690, c. 515r; n. 790, c. 286r; n. 692, cc. 208r-210r, 211r-213r; n. 799, c. 605r; n. 800, c. 578r; n. 906, cc. 152r-153r; n. 908, c. 152v; n. 917, c. 160r; n. 1008, c. 374v; Ibid., Conventi Soppressi, 78, n. 216, c. 177r; n. 316, lettere nn. 193, 195, 213; n. 318, lettere nn. 314, 323, 324, 337, 360-367, 373-377, 542; Ibid., Diplomatico Badia fiorentina, 30 ag. 1477, 3 nov. 1490, 29 marzo 1499; Ibid., Manoscritti, n. 119, c. 53r; n. 253, c. 1458r; Ibid., Mercanzia, n. 88, cc. s. n., anno 1489; Ibid., Notarile Antecosimiano, M. 110, c. 132rv; S. 647, c. 450r; S. 648, cc. 147v-148r; V. 298, c. 204r; Ibid., Signori e Collegi ordinaria autorità, n. 94, c. 9r; Ibid., Tratte, n. 39, c. 7; Firenze, Bibl. Laureaziana, Ashb., n. 1841.II, lettere 6 e 7; A. F. Gori, Monumenta sacrae vetustatis insignia Basilicae Baptisterii Florentini, Florentiae 1756, p. 315; G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, V, Firenze 1757, p. XXXI; G. Gaye, 1839, p. 112; J. Labarte, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, pp. 494 s.; H. Mackowsky, Das Silberkreuz für den Johannisaltar im Museo di S. Maria del Fiore zu Florenz, in Jahrbuch der Königlichen Preussischen Kunstsammlungen, XXIII (1902), pp. 235 s.; A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni di Firenze, Firenze 1903, p. 58; G. Poggi, Catalogo del Museo dell'Opera del duomo, Firenze 1904, pp. 47, 73; M. Cruttwell, Antonio Pollaiolo. London 1907, pp. 48, 51, 56, 259; G. Milanesi, 1906, III, p. 288 n. 3; K. Frey, 1911, pp. 371 s.; G. Carocci, Orafi e gioiellieri, in L'Illustratore fiorentino per il 1914, Firenze 1913, p. 70; M. Pisani, 1923, pp. 4 ss., 117; C. G. E. Bunt, 1926, pp. 65 s.; S. Ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948, pp. 152, 183 s.; P. Orvieto, 1969, pp. 227, 234, 236, 247, 249, 251 s., 255, 260 s., 264 ss., 268-273; A. Busignani, Pollaiolo, Firenze 1970, pp. 84, 87, VIII, X; L. Becherucci, 1970, pp. 18, 231 s.; R. Kubiak, 1974, p. 65 n. 10; A. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503, III, 1, Pistoia 1977, pp. 135 s.; D. Carl, 1982, pp. 129 s., 132, 134 ss., 138 s., 144, 146 ss., 151 ss., 157, 161 s.; A. Ettlinger, Antonio und Piero Pollaiuolo, Oxford-New York 1978, pp. 15-21; G. Passavant, Beobachtungen am Silberkreuz des florentiner Baptisteriums, in Studien zum europäischen Kunsthandwerk. Festschrift Yvonne Hackenbroch, München 1983, pp. 79, 101 ss. n. 14; J. Bech, 1984, p. 221; D. Carl, Il contratto per una compagnia orafa fra Betto di Francesco di Duccio e Bernardo Cennini, in Rivista d'arte, XXXVII (1984), pp. 195 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 556.
Ormanno di Giovanni: Arch. di Stato di Firenze, Arti, Por S. Maria, n. 8, c. 176r; Ibid., Catasto, n. 20, c. 1063v; n. 610, cc. 773r-774v; n. 793, c. 127v; n. 908, cc. 213r-216v; n. 998, cc. 148r-149r; Firenze, Bibl. Riccardiana, Ricc. 1853, c. 44r; M. Pisani, 1923, p. 67; R. J. Kubiak, 1974, p. 65 n. 10; G. C. Romby, 1976, p. 70; D. Carl, 1982, pp. 149, 158.