DEGLI AZZI VITELLESCHI, Francesco Maria
Nacque a Foligno il 24 dic. 1819 da Ugo Degli Azzi aretino, e dalla marchesa Rita Vitelleschi. Avviato agli studi presso il collegio di Castiglion Fiorentino, uno dei più prestigiosi della Toscana, poi presso il seminario di Foligno (1831), dove studiò soprattutto umanità, retorica e filosofia, nel '37 entrò nel monastero di S. Pietro in Perugia, costrettovi dal padre che intendeva lasciare unico erede il primogenito Aurelio. Qui ebbe modo di conoscere padre Pecci, il futuro Leone XIII, ma nel '41, poco prima di ricevere il suddiaconato, lasciò la vita ecclesiastica per recarsi a Roma. Iscrittosi a medicina alla Sapienza, fu presto costretto a lasciare la città perché caduto in sospetto di propaganda antigovernativa. Stabilitosi a Napoli nel 1844, divenne capocontabile presso una grande ma dissestata azienda agraria, che nel giro di quattro anni, lavorando con grande energia, riuscì a risanare.
Tornato nella paterna casa di Foligno, con la prima guerra d'indipendenza partì per il Veneto al seguito del battaglione universitario romano, combattendo a Cernuda e a Treviso. A Bologna tentò di opporsi allo scioglimento del corpo dei volontari pontifici, decretato dal governo, pubblicando alcuni Manifesti nei quali, denunciata l'ambigua politica di Pio IX, invitava i commilitoni a non abbandonare la lotta contro gli Austriaci. Nell'ottobre '48, con il grado di sottotenente nel reggimento dell'Unione, accorse in aiuto di Venezia, combattendo in difesa del Lido.
Inviato a Roma, nel maggio '49, per richiedere nuovi, fucili a Mazzini, venne trattenuto (insieme al suo battaglione, immediatamente richiamato) per partecipare alla difesa della città. Destinato alla postazione del terzo bastione delle mura di S. Pancrazio, al momento della capitolazione riuscì a raggiungere Civitavecchia da dove, con un passaporto statunitense, si imbarcò alla volta di Malta (5 luglio). Erano con lui L. Fabrizi, L. Mezzacapo e molti altri combattenti e deputati della Costituente romana. Impedito lo sbarco nell'isola, il D. e gli altri profughi furono trasportati in Corsica sulla nave da guerra francese Narval.
Dopo un breve soggiorno ad Aiaccio, dove studiò presso la Biblioteca nazionale, si sistemò a Bastia, città che offriva maggiori risorse economiche e commerciali. Nominato presidente del Comitato di emigrazione, su impulso del Fabrizi ed insieme a G. Fanelli ed E. Blanco, impiantò una tipografia clandestina fuori Bastia, allo scopo di riprodurre i manifesti e i bollettini del mazziniano Comitato nazionale italiano.
Sembra che lo stesso Mazzini avesse inviato il torchio con i caratteri. L'impresa durò circa un anno; poi, partito il Fabrizi alla volta di Malta, l'emigrazione italiana si trovò priva di una guida autorevole e il D. dapprima intraprese lo studio dell'inglese e del greco (aveva preparato per la stampa i Dialoghi di Luciano, poi non pubblicati), quindi, ottenuto in affitto un podere a tre chilometri da Bastia, si dedicò alla vita agricola.
Nel '52 sposò Maria Valeri, nipote di facoltosi armatori, da cui ebbe un figlio, Teodoro, e s'impiegò presso la ditta Dominici, la più importante casa commerciale della Corsica. Vi restò circa tre anni guadagnando molto, fino a che nel '55 non fu arrestato dalla polizia francese perché ritenuto complice e almeno ispiratore, di G. Pianori, che il 29 aprile aveva attentato alla vita di Napoleone III.
Nello stesso periodo subì un altro processo quale compartecipe nella bancarotta dell'azienda di A. Calderari, ex colonnello dei carabinieri pontifici, per taglio di foreste e forniture di traverse ferroviarie. Ma presto fu scagionato dalle accuse perché, nel caso dell'attentato Pianori, i suoi contatti con quest'ultimo si rivelarono praticamente inesistenti (il D. gli aveva semplicemente commissionato un paio di scarpe quando questi faceva il calzolaio a Bastia), e nel caso della bancarotta Calderari gli fu riconosciuta la completa estraneità al dolo. Comunque, da questo momento, rimase tra gli esponenti dell'emigrazione italiana più controllati sia per le sue idee democratiche, sia per la sua non dissimulata opposizione a Napoleone III.
Nel corso del '55 un altro grave evento venne a turbarlo: la moglie e il figlio perirono in seguito a una grave epidemia di colera. Il D. lavorò per qualche tempo nel taglio dei legnami per conto di una società francese, ma nel marzo '57 subì una nuova perquisizione nella sua abitazione perché sospetto di cospirazione contro i governi italiani. Secondo quanto riferisce L'Italia del popolo del 13 apr. '57, il commissario di polizia requisì gran parte delle sue carte, comprese quelle di carattere familiare.
Nel giugno dello stesso anno, come ricorda nelle sue Memorie, insieme ad altri volontari (circa trecento), avrebbe dovuto partecipare alla spedizione di Sapri, ma nel giorno stabilito le imbarcazioni che avrebbero dovuto raccoglierli presso il porto d'Aleria non li raggiunsero. Ora tale notizia non trova conferma nell'ampia storiografia sull'evento di Sapri e, comunque, la cifra dei trecento pronti a partecipare appare, per lo meno, esagerata, se si pensa all'esiguo numero di combattenti che Pisacane riuscì a radunare nel corso della sua azione.
Al principio del '58 fu nuovamente tratto in arresto perché ritenuto coinvolto nell'attentato compiuto da F. Orsini a Napoleone III. A parte i suoi dichiarati sentimenti antinapoleonici, lo facevano cadere nel sospetto, da un lato, la sua diretta conoscenza con l'attentatore (che risaliva ai tempi della Repubblica romana), dall'altro, prova più schiacciante, il fatto che circa un mese prima avesse ricevuto in casa, a Bastia, il cameriere dell'Orsini. Il D. dichiarò che da quest'ultimo ricevette solo una lettera di saluti da parte del suo padrone. Fu rilasciato al termine del processo solo quando fu provata la sua estraneità al fatto.
Ormai inviso al governo francese, nel giugno '58 gli fu comminato l'ordine di deportazione in Algeria. Partito da Marsiglia insieme ad altri trentacinque italiani, al principio di luglio giunse ad Orano e di qui fu tradotto a Tieret, città dell'interno, dopo quindici giorni di faticosissima marcia nel deserto.
Dopo un iniziale periodo di difficoltà, il D. riuscì ad acquistare un podere di circa cento ettari, dotato di tutti gli attrezzi necessari alla coltivazione. La qualifica di colono, oltre a procurargli una vita sufficientemente agiata, gli dava diritto al porto d'armi e gli assicurava una discreta libertà d'azione. Entrò pure in buoni rapporti con il comandante della piazza di Tieret, che lo teneva costantemente informato su quanto accadeva in Europa e, specialmente, in Italia.
Nel settembre '61 ottenne dal consolato italiano di Orano il passaporto per il rimpatrio e al principio dell'anno seguente, visitata la parte settentrionale dell'Algeria, rientrò in Italia. Stabilitosi a Foligno, si diede ad un'attività intensissima, volta principalmente al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della città e della regione. Fu per anni consigliere comunale e provinciale e capitano della guardia nazionale; istituì una loggia massonica, aprì un gabinetto di lettura, fondò e diresse il giornale politico-commerciale L'Umbria (1865-66); promosse una società di mutuo soccorso tra gli operai e riordinò l'amministrazione di enti ed istituti grazie alla sua preparazione in campo commerciale. Nel '67 fu a capo del comitato di soccorso per i feriti di Mentana.
Frattanto, nel '62, aveva tradotto in italiano un opuscolo del francese J. M. Cayla, Se io fossi papa... (Pergola 1862), condannato due anni prima da Pio IX, nel quale si prefigurava la rinuncia della Chiesa ad ogni pretesa temporale e il ritorno ad una missione di predicazione e di pace. Molti anni dopo tradusse, sempre dal francese, I diritti dell'umanità e la questione sociale (Napoli 1894), opera del filosofo svizzero Ch. Secrétan. Nell'introduzione e nelle ampie note il D., proclamandosi repubblicano, auspicava l'impostazione ma soprattutto l'attuazione di un vasto programma di riforme sociali, sostenendo che la miseria non era frutto di preordinate leggi di natura, ma il prodotto dell'egoismo e della sopraffazione di pochi.
La testimonianza più significativa che ci ha lasciato sono le Memorie, scritte in età avanzata e pubblicate postume (cfr. Dalle memorie d'un sopravvissuto, in Archivio storico del Risorgimento umbro, VII [1911] 3-4), che contengono notizie preziose soprattutto riguardo ai periodi trascorsi in Corsica e in Algeria. Il limite dello scritto è rappresentato talora da una certa confusione ed indeterminatezza dovute, con ogni probabilità, al ricordo lontano degli eventi narrati.
Stabilitosi a Roma verso gli inizi del nuovo secolo, vi morì l'11 genn. 1904.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato, Cons. pont. a Bastia, a. 1858, n. 92.523; Documenti e mem. riguardanti la storia del Risorg. ital., Foligno 1884, p. 19; S. Fratellini, L'Umbria nel Risorg., Spoleto 1911, p. 2; P. Zama, G. Pianori contro Napoleone III, Modena 1933, pp. 81 s., 127; E. Michel, Esuli ital. in Algeria (1815-1861), Bologna 1935, ad Indicem; Id., Esuli ital. in Corsica (1815-1861), Bologna 1938, ad Indicem; Id., Una commissione permanente dell'emigrazione ital. in Bastia (1850-51), in Arch. stor. di Corsica, XVII (1941), 3, p. 385; I. Ciaurro, L'Umbria nel Risorg., Bologna 1963, p. 58; F. Bartoccini, La lotta politica in Umbria dopo l'Unità, in Atti dell'VIII Convegno di studi umbri. Gubbio 31 maggio - 4 giugno 1970, Gubbio s. d., pp. 208, 225; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 874 s.