DEFIXIONES
. La defixio è una forma particolare di incantesimo, che si ricollega con la confittura d'un chiodo, col che la forza magica è equiparata ad una punta penetrante. È un uso di antichissima tradizione, di cui si hanno numerose tracce presso gli Etruschi non meno che presso i popoli classici, e che deve ascriversi a patrimonio comune dell'umanità, quando si pensi che esso sussiste ancora oggi presso popoli europei, nel Giappone, nel continente australiano. Con simile confittura si vogliono inchiodare o immobilizzare i demoni malefici, i morbi crudeli, o, all'incontro, provocare danni, travagli, tormenti a persone colpevoli o odiate, o piegare alle proprie voglie persone amate riluttanti: e secondo la prassi consueta della magia, queste persone vengono introdotte nella loro immagine o in qualche oggetto loro pertinente. L'azione magica è di regola accompagnata dalla formula magica, e questa diventa più efficace se viene incisa in una tavoletta di piombo, depositata nel temenos d'una divinità, o nella tomba d'un defunto. A queste iscrizioni appunto si dà il nome di defixiones o devotiones o exsecrationes, poiché generalmente si tratta di maledizioni, espresse nella forma di dedica o consacrazione alle divinità infernali. Particolarmente caratteristica la collezione di simili tavolette rinvenuta dal Newton in Cnido in un temenos dedicato a Demetra, Persefone, Plutone e altre divinità analoghe (Newton, History of discoveries, II, pagina 720 segg.; Dittenberger, Sylloge inscr. gr., 3ª edizione, n. 1178). In esse la persona maledetta è designata alla vendetta divina con la formula: "Possa essa non trovar giammai Persefone favorevole" e i dedicantes sono per lo più donne che si lamentano dei torti più svariati: del furto di un braccialetto o di qualche indumento, o di essere state sostituite nell'affetto dello sposo o di essere state atrocemente calunniate, ecc.
Non meno interessanti le exsecrationes latine degli stessi tipi: consacrazione a divinità infernali o di carattere erotico, come: Uratur Suc(c)es(sa, aduratur amo(r(e)) ve(l) desider(io Suc(c)es(s)i (Corp. Inscr. Lat., VIII, 12507). Particolarmente curiose le exsecrationes rivolte contro cavalli da corsa, con la rappresentazione grossolana del circo, i nomi dei cavalli da corsa (Sidereus, Igneus, Impulsator, ecc.), e l'imprecazione Demon qui h(ic) conversa(ri)s trado tibi (h)os equos ut deteneas illos et implicentur (n)ec se movere possint (ibid., 1288; v. figura).
Bibl.: Kuhnert, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2373 segg.; S. Reinach, Traité d'Épigraphie grecque, Parigi 1885, p. 150 segg.; R. Cagnat, Cours d'Épigraphie Latine, 4ª ed., Parigi 1914, p. 374 segg.; W. Larfeld, Griechische Epigraphik, Monaco 1914, p. 452. Raccolte delle iscrizioni di questa categoria in R. Wünsch, Appendix al Corp. Inscr. Att., 1897 (v. anche, Antike Fluchtafeln, in Kleine Texte, di H. Lietzmann, fasc. 20, Bonn 1912); A. Audollent, Defixionum tabellae, Parigi 1904; Dessau, Inscriptiones latinae selectae, II, p. 996 segg.; Dittenbeger, Syll. inscr. gr., 3ª ed., p. 333 segg. Sulla lingua: M. Jeanneret, La langue des tablettes d'exécration latines, in Revue de philol., 1916, 1917, 1922.