defined-benefit
Locuzione della lingua inglese riguardante il settore delle pensioni, la cui traduzione letterale («beneficio» o «prestazione definita») può risultare fuorviante. Nell’approccio anglosassone si contrappone a d.-contribution (➔), espressione che va intesa in senso molto restrittivo. Fa riferimento, infatti, a una metodologia di calcolo del trattamento pensionistico in cui l’entità della prestazione dipende esclusivamente dai contributi versati e dal rendimento effettivo ottenuto dal loro investimento.Ogni altro sistema che non rispetti pienamente questo schema rientra, per esclusione, nella categoria d.-b., la quale accomuna, quindi, una molteplicità di impostazioni concettualmente anche molto differenti.
In Italia, come in molti altri Paesi, si preferisce invece etichettare come prestazione definita quella corrispondente al regime retributivo, contrapponendola allo schema a contribuzione definita, correlato al regime contributivo. In armonia con la terminologia utilizzata, nel primo le prestazioni sono calcolate sulla base della media della retribuzione percepita (per i dipendenti) o del reddito ottenuto e dichiarato (per autonomi e professionisti) nel corso di una parte, spesso terminale, più o meno ampia, della vita lavorativa, ponderata con parametri di anzianità contributiva e talvolta dell’età al momento del pensionamento; nel secondo, l’ammontare della pensione dipende esclusivamente dalla capitalizzazione dei contributi individuali, ma con due possibili differenze rispetto al sistema d.-contribution anglosassone: i contributi possono essere (almeno in parte) figurativi e non concretamente versati in un fondo pensione e la capitalizzazione può essere virtuale, cioè non collegata al rendimento effettivo degli investimenti effettuati dal fondo, ma a un’altra logica (applicando, per es., come coefficiente di rendimento il tasso di inflazione, oppure il tasso di crescita del prodotto interno lordo, o una combinazione dei due).
Per i lavoratori dipendenti vigeva in Italia, fino alla metà degli anni 1990, un regime retributivo piuttosto generoso, con un tasso di sostituzione (rapporto fra pensione e ultima retribuzione) uguale o anche superiore all’80%, e l’aliquota contributiva al 33%; il sistema funzionava a ripartizione (➔ ripartizione, sistema pensionistico a), cioè utilizzando i contributi degli occupati attivi per il pagamento delle pensioni senza procedere ad accantonamenti in vista delle esigenze future. Dopo la riforma Dini (l. 335/1995) è entrato in vigore, sia pure gradualmente, un regime contributivo, sempre finanziato a ripartizione, con accantonamento in un conto individuale di contributi reali o figurativi, loro capitalizzazione nel tempo a un tasso virtuale (tasso di crescita del PIL) e, al momento del pensionamento, trasformazione del montante pensionistico così maturato in rendita pensionistica, mediante applicazione di un fattore di conversione dipendente dall’età. Tenuto conto che le prestazioni garantite da questo pilastro di previdenza obbligatoria saranno in media molto inferiori a quelle stabilite dal precedente regime retributivo (si stima che il tasso di sostituzione possa oscillare fra il 30 e il 50%), con una ulteriore riforma (l. 252/2005) è stata prevista la possibilità di ottenere una pensione complementare mediante l’adesione a fondi pensione negoziali, frutto di contrattazione collettiva e riservati a lavoratori dipendenti da un’impresa o appartenenti a una determinata categoria (per es. metalmeccanici) o a un territorio. È contemplato che tali fondi operino in regime contributivo in senso stretto (d.-contribution) e con finanziamento a capitalizzazione, garantendo una pensione integrativa generata dalla conversione del montante pensionistico individuale, ottenuto dalla capitalizzazione effettiva di contributi realmente versati sia dai dipendenti sia dai datori di lavoro. Il lavoratore del settore privato può inoltre scegliere di conferire al fondo anche quote del Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Per quanto riguarda lavoratori autonomi e liberi professionisti, la situazione italiana è piuttosto variegata. Di norma esiste una previdenza obbligatoria, articolata per lo più in casse professionali, che sono veri e propri fondi pensione; esse operano sia in regime reddituale (affine, sebbene con parametri diversi, a quello retributivo dei dipendenti) sia in regime contributivo (in alcuni casi di tipo d.-b., in altri d.-contribution). Le stesse casse possono gestire anche la componente di previdenza complementare in regime contributivo (nella maggior parte dei casi di tipo d.-contribution). Il finanziamento è a capitalizzazione (➔ capitalizzazione, sistema pensionistico a) con accantonamento di riserve matematiche collettive, sufficienti a garantire l’equilibrio su un opportuno orizzonte temporale; rimane aperta ai singoli la scelta di aderire per la previdenza complementare ad altri fondi pensione aperti o a schemi di previdenza individuale.