di Vincenzo Camporini
Al contrario di quanto avviene nel resto del mondo, a cominciare da Cina e India, nell’ultimo quinquennio la crescente pressione della crisi economica e finanziaria ha indotto la maggior parte dei governi europei a un più o meno drastico ridimensionamento delle spese militari, con diminuzioni che in buona parte dei casi hanno avuto percentuali a doppia cifra. I relativi dati sono resi disponibili da varie organizzazioni, come ad esempio dall’Agenzia europea della difesa (Eda), dal Sipri e dall’Iiss e la tendenza nel 2013 si è addirittura accentuata, al punto da costringere anche i paesi con una radicata tradizione militare, come Francia e Regno Unito, a un drastico ridimensionamento del proprio livello di ambizione. È vero che al recente vertice della Nato in Galles i capi di stato e di governo si sono impegnati a cercare di portare entro un decennio le spese militari al 2% del rispettivo pil nazionale, ma è anche lecito guardare a questo impegno con grande scetticismo.
Peraltro la dimensione militare di un paese è la risultante, e non la sommatoria, di un’articolata serie di diverse capacità, ciascuna delle quali necessita di particolari sistemi ed equipaggiamenti e del relativo personale adeguatamente addestrato ed allenato e, in alcuni casi, la mancanza anche di uno solo di questi componenti porta all’azzeramento del risultato finale. Ora è avvenuto che il progressivo calo delle risorse nazionali ha costretto molti governi a rinunciare a qualcuna di queste capacità fondamentali, con il risultato che anche a livello collettivo, in ambito Unione Europea, ma anche in quello Nato (se non fosse per le capacità rese disponibili dagli Usa), le potenzialità militari sono state progressivamente compromesse.
La consapevolezza di questa pericolosa tendenza ha indotto le autorità politico-operative di entrambe le organizzazioni ad avviare una serie di iniziative volte a porvi rimedio. Così l’ex segretario generale della Nato, Rasmussen, ha lanciato il progetto denominato Smart Defence (Sd), seguito poi da quello detto Connected Forces Initiative (Cfi), mentre in ambito Unione Europea la European Defence Agency, sotto l’autorità dell’allora Alto rappresentante, Lady Ashton, ha varato il programma Pooling and Sharing.
In entrambi i casi il principio ispiratore è quello di mettere a fattor comune le insufficienti risorse nazionali in modo da poter più facilmente pervenire alla massa critica richiesta per garantire l’efficacia dello strumento militare. Ma occorre tenere presente che qualsiasi forma assumano questi progetti, la loro realizzazione comporterà una più o meno accentuata dipendenza politica da altri paesi e che quindi costituirà una sorta di parziale cessione di sovranità nazionale.
Nel dettaglio la Sd, di cui il Sg della Nato ha cominciato a parlare nel 2011, venne approvata al vertice di Chicago del 20-21 maggio 2012 e si articola in una serie di progetti specifici, caratterizzati dalla messa in comune delle risorse, tecniche e/o finanziarie, per l’acquisizione di capacità militari che i singoli paesi (con l’eccezione degli Usa) non si potrebbero permettere e in tal senso offre una soluzione al problema su cui tante volte Washington ha sollecitato gli alleati per una più equa suddivisione degli oneri per la difesa comune (burden sharing).
Alcuni progetti afferiscono all’area logistica, come quello dell’acquisizione e dello stoccaggio in comune dell’armamento di precisione, la cui limitata disponibilità è apparsa con drammatica evidenza durante la campagna aerea del 2011 in Libia. Altri sono intesi a colmare carenze note da tempo, ma cui non si era provveduto per motivi sia finanziari, sia di tipo tecnologico e industriale, come quello denominato Alliance Ground Surveillance (Ags), per l’acquisizione da parte dell’Alleanza di una capacità di controllo in tempo reale di quanto avviene nella zona di operazioni, al fine di supportare le attività di targeting. Si tratta in realtà di un programma di cui si discute da oltre vent’anni, ma mai finora concretizzato per la riluttanza americana a condividere alcune tecnologie chiave; è apparso ora naturale inserire l’Ags nel più ampio quadro della smart defence, finalizzandolo con l’acquisizione in consorzio da parte di alcuni paesi dell’Alleanza (Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e gli Usa) di un sistema interamente prodotto negli Stati Uniti, il Global Hawk.
Per l’Unione Europea, motore del processo di razionalizzazione e ottimizzazione della spesa militare è l’Eda che ha da tempo avviato una serie di progetti nel quadro dell’iniziativa denominata Pooling and Sharing, con lo slogan pool it or lose it, significando che l’alternativa è tra condividere determinate capacità o rinunciarvi definitivamente. Precursori in questo furono Belgio e Paesi Bassi che, in campo marittimo, hanno da tempo messo in comune la logistica e la catena di comando operativa delle loro fregate, con significativi risparmi di risorse umane e finanziarie. I progetti avviati sono numerosi e vanno dall’addestramento avanzato sugli elicotteri, all’acquisizione in consorzio di flussi di comunicazioni satellitari, alla logistica e all’addestramento navale.
Alcuni risultati significativi sono già stati conseguiti, ad esempio con la costituzione dello European Air Transport Command, in cui gli stati membri mettono a disposizione le loro risorse di trasporto aereo militare, o nel settore medico, dove è in avanzata fase di realizzazione una struttura mobile da campo multinazionale.
Sono altresì da citare le iniziative in tema di certificazione operativa condivisa dei mezzi aerei (oggi ciascun paese ha le proprie strutture e applica procedure nazionali, con moltiplicazioni dei tempi e dei costi) e in quello del rifornimento in volo.
Una considerazione finale riguarda il fatto che per tutte queste iniziative si è attuato un processo di tipo bottom up, con una spinta avviata dai livelli operativi, ma senza un preciso e determinante indirizzo politico dai vertici, indispensabile se si vuole procedere sulla via di una reale integrazione, che da sola permetterà migliori capacità a costi inferiori.