DEDITICII
. L'espressione dediticii designa, genericamente, i discendenti dei dediti, cioè dei componenti quelle comunità, una volta del tutto autonome, le quali, per mezzo della più semplice forma di sottomissione volontaria, deditio, erano entrati in rapporto di dipendenza con Roma. Tecnicamente e giuridicamente, invece, l'espressione stessa ha un significato ben più ristretto: infatti sono qualificati dediticii i sottomessi riguardo ai quali Roma, riconoscendoli di condizione libera dopo l'atto di dedizione spontaneo o in seguito a una guerra, non abbia adoperato uno dei modi di ammissione di elementi stranieri nello stato, cioè né pieno incorporamento con la cittadinanza romana, né conferma come comunità autonoma, federata d'ora in poi con Roma stessa, né civitas sine suffragio.
Storicamente il concetto di dediticii è correlativo con quello di provinciales, giacché mentre gl'Italici, ad eccezione dei Brutii ridotti allo stato di dediticii dopo la seconda guerra punica, furono annoverati fra le comunità di piena cittadinanza romana, oppure sine suffragio, o fu lasciata loro l'autonomia stretta con un foedus a Roma, questa non ammise tutti i provinciali nel grande sistema di alleanza difensiva conchiusa con le nazionalità italiche. I provinciales dunque in gran maggioranza rappresentano, d'altro lato, i veri sudditi, i sottoposti, in senso stretto, al dominio di Roma, e quindi i peregrini dediticii: e ciò si può rilevare dalla precarietà di quello che i Romani lasciavano in loro possesso pubblico o privato, possesso che dipendeva soltanto da un beneplacito unilaterale di Roma. La posizione dei peregrini dediticii si può caratterizzare nelle sue linee generali a un dipresso così: la comunità sottomessa perdeva la sovranità, anche dal punto di vista formale, ma conservava, ciò nonostante e nella misura compatibile col nuovo regime, le sue istituzioni, salvo possibili futuri cambiamenti.
I dediticii propriamente detti, in relazione al loro dovere di pagare i tributi, erano chiamati tecnicamente stipendiarii; talvolta venivano qualificati per semplice eufemismo come socii, liberi. Questa categoria infima di persone libere sparì certamente dopo che Caracalla, nel 212 d. C., con la constitutio Antoniniana, elargì la cittadinanza romana ai peregrini dell'Impero.
Durante il periodo imperiale, per mezzo e a causa degli stanziamenti di gruppi barbarici sottomessi entro i confini dell'Impero romano, la parola dediticii viene ad acquistare un secondo e più speciale significato. Si designano infatti come dediticii (barbari dediticii) le genti barbariche che si erano arrese e che venivano accolte definitivamente entro il suolo romano. Esse erano provviste di terre e talvolta, anche sotto il controllo e il comando di un ufficiale romano, costituivano corpi speciali nell'esercito imperiale.
In forza della legge Aelia Sentia dell'anno 4 d. C., gli schiavi che avevano subito durante il periodo della servitù pene ignominiose, qualora fossero stati affrancati, non potevano divenire né cittadini romani, né Latini, ma erano equiparati ai dediticii propriamente detti, donde l'espressione dediticiorum numero. Essi non potevano far testamento o ereditare per testamento; del pari non potevano mai acquistare la cittadinanza romana o divenire Latini; inoltre dovevano abitare a una distanza da Roma superiore alle cento miglia, pena il ritorno nella schiavitù nel caso d'infrazione. Questa categoria di liberti, da tanto tempo divenuta un vanum, fu soppressa formalmente da Giustiniano con una costituzione emanata l'anno 530 (Cod. Iust., VII, 5, de dediticia libertate,1).
Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, pp. 716-764; id., Droit public romain, VI, ii, pp. 351-406; Schulten, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, IV, coll. 2359- 2363; Mancini, in Dizionario epigrafico di antichità romane di E. De Ruggiero, II, pp. 1553-54, s. v. Deditio (dediticii); Gayet e Humbert, in Darmberg e Saglio, Dictionnaire d'antiquit. grecques et rom., II, pp. 45-46, s.v. Dediticii e i loro rimandi; G. Segrè, in Studi in onore di Silvio Perozzi, Palermo 1925, pp. 155-216; V. Capocci, La "Constitutio Antoniniana", in Memorie d. R. Acc. d. Lincei, cl. scienze mor., VI, I, i, 1925, pp. 93-133, passim e i lavori ivi citati; E. Bickermann, Das Edikt des Kaisers Caracalla in P. Giss., 40, Berlino 1926; A. Segrè, in Rivista di filologia, LIV (1926), pp. 471-487; De Sanctis, ibid., pp. 488-500; Vogt, in Gnomon, III (1927), p. 328 segg.; Laqueur, in Schriften der Giessener Hochschule, 1927, p. 15 segg.; per i deportati del periodo imperiale e i dediticiorum numero v. Cantarelli, in Bull. d. Ist. di Diritto Rom., VII (1894), pp. 29-31; Studi rom. e bizantini, pp. 127-29.