DEDAN (nelle iscrizioni ddn; ebr. Dĕdān, gr. Δαιδαν)
Antica città dell'Arabia settentrionale, situata in una piccola vallata nell'oasi di el-῾Ula, 328 km a N di Medina.
Le più antiche menzioni di D. risalgono ai primi secoli del I millennio a. C.; nel VII e nel VI sec. a. C. sono frequenti i riferimenti biblici (Genesi, xxv, 3; Isaia, xxi, 13; Geremia, xxv, 23; xlix, 8; Ezechiele, xxv, 13), e all'incirca nello stesso periodo incomincia la documentazione epigrafica. La città, abitata da popolazioni nordarabiche, durante il VI e il V sec. a. C. fu capitale di un piccolo stato indipendente e attivo centro commerciale (in Ezechiele, xxvii, 15, 20; xxxviii, 13, si ricordano mercanti di tappeti provenienti da Dedan). Verso la fine del V secolo, secondo la cronologia più diffusamente seguita, compare una nuova popolazione araba, i Lihyaniti (Lihyān), che assume il potere in D., mantenendolo per alcuni secoli; contemporaneamente il commercio è esercitato dai membri di un'altra tribù, i sudarabici Minei i quali, intorno al 200 a. C., riuscirono a governare anche politicamente la città. Lo stato mineo durò per circa un secolo, fino a che non fu sopraffatto dai Sabei, cui succedettero poco dopo i Nabatei. Da questo momento la città seguì le sorti politiche di questi ultimi.
Le rovine di D. si estendono su un'area di circa 300 m per 300, nella località chiamata Khereibeh, non ancora scavata sistematicamente. I sondaggi ivi effettuati al principio del secolo da Jaussen e Savignac rivelarono i resti di un grande tempio, dedicato verosimilmente al dio lunare Wadd; dinanzi ad esso era ancora visibile un grande bacino, mentre numerosi basamenti di statue si trovavano lungo i lati di quello che doveva costituire una specie di atrio del tempio. Tra le rovine furono trovati molti frammenti di sculture, tra cui sono particolarmente da ricordare una testa leonina e due grandi statue mutile, in seguito distrutte dagli Arabi. Queste statue, appartenenti probabilmente alle basi trovate davanti al tempio, raffiguravano figure virili rivestite da un semplice gonnellino, dalle reni alle ginocchia; lo stile di esse richiamava, almeno in parte, quello della scultura egiziana. Una delle statue recava un'iscrizione con le firme dei due artisti che l'avevano scolpita: Kharaḥ e un altro il cui nome era illeggibile.
I resti più interessanti di D. sono tuttavia costituiti dalle tombe scavate sul fianco di una parete rocciosa, nei pressi di Khereibeh; alcune di tali tombe hanno ai lati dell'ingresso due figure di animali fantastici o di leoni scolpite in altorilievo; la forma molto stilizzata di questi animali richiama parzialmente analoghe opere hittite, come del resto la testa leonina trovata fra le rovine del santuario.
Tra il numeroso materiale epigrafico rinvenuto a D. (scritto in un dialetto arabo settentrionale, detto lihyanitico), rivestono particolare importanza quattro iscrizioni che ci fanno conoscere i nomi di alcuni artisti locali. Tali artisti sono:
῾Alatṣūr figlio di ῾Omar, scultore (Jaussen-Savignac, op. cit. nella bibliografia, pp. 363-365, n. 35);
῾Aqrab figlio di Mara'lah, scultore (ibidem, pp. 438-439, n. 75);
Da῾thah, scultore (ibidem, p. 437, n. 74; Caskel, op. cit. nella bibliografia, p. 118, n. 83);
Kharah, scultore (ibidem, pp. 452-454, n. 82; cfr. anche Revue Biblique, cit. nella bibliografia).
Bibl.: A. Jaussen-R. Savignac, Un sanctuaire lihyanite, in Revue Biblique, NS VI, 1909, pp. 576-587; id., Mission archéologique en Arabie, II, Parigi 1914, pp. 29-77; W. F. Albright, Dedan, in Geschichte und Altes Testament, Tubinga 1953, pp. 1-12; W. Caskel, Lihyan und Lihyanisch, Colonia-Opladen 1954; A. van den Branden, La chronologie de Dedan et de Lihyan, in Bibliotheca Orientalis, XIV, 1957, pp. 13-16.