DECUMANI
. Erano gli appaltatori della decuma dei prodotti del suolo pagata dalle città della Sicilia, che non erano federate o immuni o il cui territorio non era agro pubblico del popolo romano. L'appalto di queste decumae avveniva in Sicilia ogni anno, dinnanzi al pretore romano, all'asta, secondo la lex Hieronica, e non vi potevano quindi aspirare le societates publicanorum che concorrevano in Roma agli appalti censorî. I decumani (di continuo ricordati da Cicerone nella III Verrina) erano persone modeste, all'infimo gradino della classe dei publicani, e troviamo fra essi cittadini romani, siciliani, liberti, perfino schiavi pubblici: le città stesse obbligate alla decima concorrevano all'appalto. La percezione veniva aggiudicata a chi offriva di corrispondere allo stato romano la maggior quantità di frumento. Affatto diversi da questi appaltatori, erano i decumani, hoc est principes et quasi senatores publicanorum (Cic., Verr., II, 175), che ci appaiono come i consiglieri delle societates publicanorum romane, distinti dalla massa dei socii, e autorizzati a prendere, insieme col direttore (magister societatis), le decisioni più gravi. Perché questi ultimi si chiamassero decumani non è chiaro.
Bibl.: J. Carcopino, in Mélanges d'Arch. et d'hist., XXV (1905), p. 401 seg.; id., La loi de Hiéron et les Romains, Parigi 1919, p. 84 seg.; V. Ivanov, De societatibus vectigalium publicorum populi Romani, in Atti della soc. arch. di Pietroburgo (1901), VI, pp. 35, 45, 95; H. Rauber, Die agrar. Verhältnisse Siziliens im Altertum, Bayreuth 1919, p. 38 seg.