decisionismo
Termine che caratterizza la fase del pensiero di Carl Schmitt dedicata alla riflessione sullo stato di eccezione e sui poteri che la costituzione di Weimar assegnava al presidente della Repubblica, in particolare attraverso l’art. 48. Schmitt dedicò varie opere, ma soprattutto la Dottrina della costituzione (1928), all’analisi di questo tema. Secondo Schmitt la prima parte dell’articolo, che assegnava al presidente poteri eccezionali apparentemente illimitati, era contraddetta dalla seconda parte, che restringeva tali poteri alla possibilità di sospendere solo sette dei centosettantasette articoli della costituzione (e per di più assegnando un diritto di veto al parlamento). Schmitt vedeva riflesse nell’art. 48 tutte le contraddizioni del pensiero politico liberale. Benché nato da due rivoluzioni, quella inglese e quella francese, il pensiero liberale moderno ormai concepisce lo Stato solo come un sistema di intralci e di ostacoli all’azione politica, a esclusivo vantaggio della classe borghese e delle sue attività imprenditoriali. Preda dell’illusione che il commercio e lo scambio abbiano definitivamente sconfitto la guerra e la politica, il pensiero liberale presuppone la totale prevedibilità dei comportamenti umani, e non ha più alcuna sensibilità per lo stato di eccezione, ossia per la politica in senso forte, che nella visione hobbesiana di Schmitt è l’eterno conflitto amico-nemico, né per il concetto di sovranità. Sovrano – diceva Schmitt – è chi decide sullo stato di eccezione. Ma in realtà nella visione di Schmitt ogni ordinamento giuridico e ogni costituzione poggiano su una decisione, e la stessa «norma fondamentale» di Kelsen non è altro che una decisione fondamentale. Di fronte ai nemici della Repubblica di Weimar, comunismo e nazismo (ma per Schmitt, che poi aderì al nazismo, il vero pericolo era il primo) l’importante è salvare lo spirito della costituzione, più che la lettera, e a tale scopo il presidente potrebbe decidere di sospendere anche tutti gli articoli della costituzione, se le ragioni della politica lo rendessero necessario. Dopo l’avvento del nazismo, dal quale trasse molti vantaggi personali, Schmitt abbandonò il d. e si orientò verso la teoria dell’istituzione di M.-J.-C.-E. Hauriou e S. Romano. Una scelta, questa, che può essere letta come un tentativo di mettere argine al d. senza freni della politica nazista.