DECIMA (gr. δεκάτη, δεκαταία; lat. decŭma, decĭma; fr. dîme; sp. diezmo; ted. Zehnt; ingl. tithe)
Tassa di un decimo, pagata, così in Grecia come a Roma, allo stato, alla città, a un tempio, sopra i frutti d'un terreno o l'entrata di merci in una città o il bottino di guerra. La più caratteristica delle decime è quella pagata sui frutti d'un terreno: essa afferma il diritto dello stato sopra una terra, che s'intende data pertanto in usufrutto, non in proprietà esclusiva a chi la possiede. Una cosiffatta decima già esige il signore orientale o il tiranno siciliano e Pisistrato stesso ad Atene, e, al dire di Erodoto (VII, 132), una decima analoga fu minacciata a vantaggio di Delfi, ai proprietarî di terre degli stati greci che avessero aiutato i Persiani. In Italia pare che fin da età remota il possessore dell'agro pubblico fosse tenuto a pagare allo stato una decima, che ne testimoniasse l'eventuale revocabilità dell'occupazione da parte appunto dello stato: in seguito i patrizî trascurarono i pagamenti di tali decime e confusero le proprietà autentiche con l'agro pubblico; onde la questione agraria e varie disposizioni di legge che tra l'altro ristabiliscono le decime, affidandone la tutela ai quaestores aerarii e poi dandole in appalto ai privati. Nelle provincie la decima fu esatta dalle terre conquistate come affermazione della conquista e talvolta pagata in natura. Le più note sono quelle di Sicilia, al tempo di Cicerone (orazioni contro Verre); e quelle dell'Egitto romano, secondo la testimonianza dei papiri o degli ostraca superstiti. Decumani agri sono detti quelli soggetti a decima, decumates, quelli della regione della Selva Nera secondo un passo di Tacito ben noto (Germ., 29).
La decima si paga anche nel bottino di guerra, ad Atena in Atene; a Ercole vincitore in Roma, come fecero Silla e Crasso delle loro sostanze; ad Apollo, come fece Camillo dopo la presa di Veio; a Diana.
Decime sono anche in Atene dazî marittimi riscossi da δελατῶναι, δεκατηλόγοι, δεκατευταί; e decime di multe sono pure offerte ad Atene alla dea Atena. Una forma particolare di decima offerta alla divinità in Grecia è quella di proprietarî che donano il terreno al dio, ma ne mantengono l'usufrutto, dichiarando col versamento della decima codesta loro cessione. Incerto è il significato della decima menzionata nelle leggi sacre di Cirene.
Bibl.: A. Boeckh, L'economia pubblica degli Ateniesi, trad. it., in Bibl. stor. econ., I, p. 430 seg.; E. De Ruggiero, in Diz. Epigr., II, p. 1502; G. Humbert, in Daremberg e Saglio, Dictionn. d. antiq. gr. et rom., II, pp. 36-38; Liebenam, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2306 seg.; M. Rostowzew, Studien zur Geschichte d. röm. Kolonates, Lipsia-Berlino 1910.
Le decime ecclesiastiche.
Nel Pentateuco è considerato dovuto al Signore il decimo di tutti i frutti della terra e degli animali (Levit., XXVII, 30-34) da offrirsi al tempio o in natura o in denaro (Deuter., XIV, 22-27); inoltre è contemplata una decima straordinaria triennale prelevata su tutte le entrate dell'anno in cui essa cade (Deut., XIV, 28-29). È poi consacrato il precetto di dare ai sacerdoti le primizie del frumento, del mosto, dell'olio, del vello delle pecore (Deut., XVIII, 4).
Nel cristianesimo Ambrogio e Agostino portano già la loro attenzione sulle decime dell'Antico Testamento: ma solo nel sec. VI vengono generalmente considerate come un obbligo. In Oriente le costituzioni degli Apostoli (v. apostolo, III, p. 712 segg.) prescrivono le primizie e le decime, che si trovano pure caldamente raccomandate da S. Giovanni Crisostomo.
I concilî dell'età di mezzo ripetono questo precetto di pagare la decima. La legislazione carolingia alla fine del sec. VIII rende generale l'obbligo giuridico di pagare le decime. Nel sec. XI, mentre si conferma l'obbligo (concilio romano del 1059, c. 9), i papi debbono intervenire a reprimere l'abuso dei vescovi che cedono a laici le decime, e in genere le usurpazioni da parte di laici e monaci. Nel secolo seguente una serie di norme particolareggiate in materia di decime viene dettata da Alessandro III. Il III concilio Lateranense del 1179 prescrive che i laici i quali posseggono (sia pure con un titolo) delle decime, non possono trasferirle in alcun modo ad altri laici. Gli ordini religiosi non pagano decime sui frutti delle nuove terre dissodate quae propriis manibus vel sumptibus excolunt, né de nutrimentis animalium suorum, et de hortis suis: i cisterciensi, i templarî e gli spedalieri non le pagano sui proventi di qualsiasi loro terra. Lucio III, Clemente III, Celestino III, Innocenzo III dànno nuove norme in materia: si distingue la decima personale (de artificio, vel negotiatione et agricultura), che si paga alla parrocchia personale, e la decima prediale (messium seu fructuum arborum), che si paga alla parrocchia dove si trova il fondo. Una concessione sovrana non può esimere dal pagamento delle decime, e neppure se attuata per trent'anni produrre l'estinzione del diritto dell'ente ecclesiastico creditore.
Sulla base di queste disposizioni legislative, si svolge tutta una elaborazione dottrinale dell'istituto della decima.
Con S. Tommaso d'Aquino tutti gli scrittori ripetono che le decime materialiter - in quanto omaggio reso ad onore di Dio dall'uomo sopra le cose da Dio dategli, e compenso necessario ai ministri dell'altare - sono dovute per diritto naturale e divino, ma che formaliter sono dovute per diritto positivo ecclesiastico, in quanto sta alla Chiesa di definire a quali persone debbono essere corrisposte, su quali cose, in quale misura. La dottrina tiene ferma la distinzione delle decime in prediali e pergonali, mentre non ha fortuna la terza categoria proposta da alcuni scrittori, quella delle miste. Si suddistinguono poi secondo i paesi varie classi di decime (in Francia les grosses dixmes e les menues ou vertes dixmes); documenti italiani del sec. XIII e del XIV menzionano le decimae mortuorum, decime sui mobili esistenti nel patrimonio del defunto all'apertura della successione.
Accanto a questa che è la decima per antonomasia, altre se ne dànno: così la decima papale, che il papa urgente aliqua necessitate può imporre sugli ecclesiastici a causa dei redditi dei loro benefici, e che può cedere agli stati: è la décime contrapposta alla dîme, di cui dice il Fleury (Institution du droit ecclésiastique, Parigi 1668, I, pag. 346) che Francesco I ne ottenne una da Leone X nel 1516, depuis laquelle on a toujours continué de la lever tous les ans. Così le decime infeudate ricordate dallo stesso Fleury (loc. cit., p. 342 seg.).
A partire dal sec. XIII il potere laicale inizia contro le decime, una lotta, di cui si trovano abbondanti tracce negli statuti comunali: c'è pure qualche tentativo di riscatto.
Fin dall'inizio della Riforma, i riformatori prendono posizione contro la decima, e il concilio di Trento si occupa ex professo delle decime nella sessione XXV de ref. c. 12, ripetendo il principio dell'obbligatorietà loro, con comminazione della scomunica per quanti non pagano. I regolari sono intanto riusciti ad ottenere privilegi che li esonerano interamente dalle decime. Tuttavia la giurisprudenza della Congregazione del Concilio è nel senso che il privilegio debba contenere espressa deroga alle disposizioni del IV concilio Lateranense, che non si dia esonero per i beni acquistati dai laici e soggetti a decime, e mai per gli acquisti futuri.
Le decime personali vanno decadendo; ubi adhuc sunt in usu, si pagano alla fine di ogni anno, ed è il parroco che le va a raccogliere, mentre secondo il diritto comune dovrebbero essergli portate. Il periodo degl'illuministi vede disposizioni soppressive delle decime: così già il 20 gennaio 1759 nella provincia di Caserta si sopprimono tutte le decime dovute a parroci (eccettuate quelle a titolo feudale) sostituendosi alla decima la congrua: e la disposizione è estesa a tutte le parrocchie del Regno con il decreto 25 luglio 1772. Con decreto 29 luglio 1797 le feudalità e le decime signorili erano soppresse in Piemonte. Les dîmes de toute nature vengono soppresse dall'Assemblea Nazionale francese il 4 agosto 1789; e dopo di allora la sorte delle decime precipita rapidamente dappertutto.
All'unificazione del regno d'Italia si ha una legislazione frammentaria; poi la legge 14 luglio 1887 n. 4728 sopprime "le decime ed altre prestazioni stabilite sotto qualsiasi denominazione e in qualunque modo corrisposte per l'amministrazione dei sacramenti o per altri servizî spirituali ai vescovi, ai ministri del culto, alle chiese, alle fabbricerie, o altri corpi morali che hanno per iscopo un servizio religioso": lascia sopravvivere le decime domenicali, ossia quelle corrisposte per un titolo non ecclesiastico, bensì per una ricognizione di dominio eminente sul terreno. Ma queste son sempre convertibili in un canone in denaro, se corrisposte in natura, e riscattabili mediante il pagamento d'una somma una volta tanto.
In pratica si presenta spesso la questione se un dato diritto di decima abbia natura sacramentale (e sia pertanto da ritenere soppresso), o se invece abbia natura domenicale (e sia ouindi da ritenere conservato). Varî progetti, volti a stabilire una presunzione di sacramentalità (e quindi di soppressione) della decima, non giunsero in porto: tuttavia la giurisprudenza più recente è venuta a raggiungere in pratica lo stesso risultato, con lo statuire che chi chiede in giudizio il pagamento della decima, deve dimostrare che si tratta di decima domenicale tuttora conservata. In materia di decime il vigente Codex iuris canonici non contiene che una disposizione improntata a grande prudenza e riserva, cioè il can. 1502 che detta: Ad decimarum et primitiarum solutionem quod attinet, peculiaria statuta ac laudabiles consuetudines in unaquaque regione serventur.
Oltre alle decime feudali, cioè alle decime ecclesiastiche possedute da laici a titolo di feudo, vi furono nel Medioevo e nei primi secoli dell'età moderna, molte altre imposte, chiamate decime, perché originariamente corrisposte nella misura del 10%.
Cosi, sin dal sec. X, si ha una decima sul reddito a Venezia; in Pistoia un'altra decima simile esiste già nel Duecento; e dal 1494 si levò la decima anche in Firenze, dove anche si impose la decima sopra le teste o decimino o testatico. Nel 1495 si creò la decima scalata, imposta progressiva con una progressione volutamente rapida per diminuire la potenza economica, e quindi politica, delle grandi famiglie. La decima scalata, riuscita perciò gravosissima, fu poi abolita.
Bibl.: P. Rebuf (Rebuffus), Tractatus de decimis, Lione 1564; Tyndarus, De decimis, in Collectio tractatuum universi iuris, XV, Venezia 1584, p. 1; A. Moneta, De decimis, Milano 1599; L. Thomassin, Vetus et nova ecclesiae disciplina, III, Venezia 1773, i, p. 12 segg.; G. De Vita, De origine et iure decimarum ecclesiasticarum, Roma 1759; L. Ferraris, Prompta bibliotheca canonica, s.v. Decimae, II, Roma 1766, p. 289 segg.; S. Gianzana, in Enciclopedia giuridica ital., IV, i; G. Salvioli, in Digesto ital., IX, p. 1.